Traduciamo in italiano e pubblichiamo il dialogo sull’organizzazione transnazionale che abbiamo avuto con le attiviste e gli attivisti di No One Is Illegal (Hanau/Germania) – impegnati nella rete transnazionale Alarm Phone (AP).
L’idea di questo dialogo è nata da una serie di incontri avvenuti tra il 2023 e il 2024 in cui ci siamo resi conto di essere attivi in due reti transnazionali molto diverse, ma di affrontare sfide simili con approcci simili.
Entrambi i collettivi hanno una lunga tradizione di organizzazione transnazionale ed avevano già partecipato insieme alla rete di Frassanito tra il 2003 e il 2009. In quel periodo si sono mobilitati insieme all’interno delle lotte per l’autonomia dei migranti, contro il regime di sfruttamento razzista e contro le frontiere dell’UE. Successivamente, nel 2013, sono stati coinvolti nelle mobilitazioni di Blockupy. Oggi continuano a muoversi nelle prospettive delle lotte sociali globali con un forte legame con i movimenti migratori, convinti che sia necessario organizzarsi a livello transnazionale per sfidare e superare l’attuale sistema. Per dare forma al dialogo e far emergere alcune esperienze e aspettative centrali, Connessioni Precarie e None Is Illegal hanno risposto alle seguenti nove domande.
(1) Vi muovete continuamente in reti transnazionali, entrambi (TSS e AP) – da circa 10 anni. Nelle prospettive più rosee, come vi vedete tra 10 anni? Dove volete essere nel 2034? Per il TSS: forse una ripresa di più scioperi simultanei? Per AP: forse organizzando traghetti contro Frontex?
Connessioni Precarie (CP): Dieci anni sono un tempo enorme in termini politici. Ma poi, come ricordato, in effetti dieci anni sono già passati da quando il TSS è nato. Quindi, l’immaginazione del futuro deve confrontarsi con il fatto che la continuità dell’iniziativa politica è una sfida continua. È difficile formulare un’aspettativa quando le cose intorno cambiano così rapidamente. Fin dall’inizio, l’obiettivo del TSS è stato quello di leggere eventi tanto importanti quanto slegati tra loro – singoli scioperi nei luoghi di lavoro, come la lotta nei fast food statunitensi per il salario minimo, lotte dei migranti, proteste nazionali come quella contro la loi travail in Francia – come parti di un “movimento dello sciopero” transnazionale. Questo tentativo ha coinciso, in primo luogo, con una ridefinizione dello sciopero al di là dell’idea tradizionale di interruzione della produzione, spesso monopolizzata dai sindacati. Come movimento sociale e transnazionale lo sciopero è diventato per noi anche il nome di una capacità collettiva di rifiutare le condizioni sociali e politiche dello sfruttamento. Di conseguenza, il movimento dello sciopero ha evidenziato la necessità di realizzare l’infrastruttura politica, cioè l’organizzazione, che è necessaria per sostenerlo e promuoverlo al di là degli eventi specifici. Insomma, se ci viene chiesto di immaginare il futuro, non immaginiamo tanto una grande azione coordinata, quanto piuttosto il miglioramento e il consolidamento di un’organizzazione che ci permetta sia di essere pronti ad affrontare i rapidi cambiamenti e a trasformarli in opportunità, sia di consolidare la forza sovversiva dei movimenti sociali che altrimenti rischiano di dissolversi quando le singole mobilitazioni giungono al termine.
None Is Illegal (NOII): sì, ora nell’ottobre 2024 Alarm Phone ha compiuto dieci anni ed è ancora una storia incredibile. Un esempio: quando abbiamo iniziato, nell’ottobre 2014, lo abbiamo fatto principalmente in riferimento alla situazione nel Mediterraneo centrale. Ma non potevamo immaginare in che modo la nostra hotline potesse intervenire anche nel Mar Egeo, segnato – già in quel periodo – da continui respingimenti da parte della Guardia Costiera greca. Ma nel 2015 la situazione è cambiata completamente e il movimento migratorio ha superato le frontiere marittime e terrestri, ha aperto passo dopo passo la rotta balcanica e si è verificata in modo assolutamente inaspettato quella che chiamiamo l’estate della migrazione. Alarm Phone ha quindi ricevuto – in contatto con le comunità siriane, irachene e afghane in movimento – centinaia di chiamate e ha potuto sostenere al meglio queste autonomie migratorie. Quello che vogliamo dire, e che abbiamo imparato di nuovo nel 2015, è che le dinamiche dei movimenti sociali possono sfidare e cambiare una situazione repressiva apparentemente “stabile” nel giro di pochi mesi o settimane.
Dal 2016 a oggi abbiamo dovuto assistere a un costante contraccolpo con un’insopportabile “normalizzazione” delle morti in mare e una brutalizzazione del regime dei respingimenti. Ma non possiamo certo escludere che si verifichino di nuovo sviluppi contrari. Perciò il nostro sogno per il 2034 è ovviamente quello di mettere nuovamente in crisi il regime dei visti e delle frontiere dell’UE – con “Ferries not Frontex” come slogan realizzato per affermare passaggi sicuri e porre fine alle morti in mare. Allo stesso tempo sappiamo che questo potrà essere possibile solo all’interno di un ciclo più ampio di lotte per la giustizia globale.
(2) Torniamo al presente. Come vedete, in sintesi, le molteplici crisi e gli attacchi, ma anche le lotte globali? Quali sono le sfide principali e quali sono i vostri punti focali di intervento nell’orizzonte di breve e medio termine?
CP: Oggi molti parlano di crisi multiple, “policrisi” è il nuovo termine per definirle. Tuttavia, questo modo di pensare tende a riprodurre la frammentazione. C’è una sola crisi, che è quella del capitalismo neoliberale. La crisi è stata innescata da molteplici processi: da quelli finanziari alla pandemia di Covid-19, ma anche da lotte che hanno messo radicalmente in discussione i rapporti di forza su cui si basa la riproduzione della società capitalista. Per fare solo un paio di esempi, quella che abbiamo chiamato “la tempesta dei migranti” del 2015, quando milioni di migranti siriani e mediorientali hanno scioperato “con i piedi” e hanno semplicemente rifiutato la miseria imposta dallo sfruttamento e dalla guerra, scuotendo le istituzioni politiche sia a livello nazionale che europeo; oppure lo sciopero globale femminista contro la violenza patriarcale, che ha alimentato una moltitudine di lotte per la libertà sessuale e la liberazione dalla violenza e dallo sfruttamento in tutto il mondo, e che è stato anche in grado di ottenere qualcosa, come l’aborto libero in Argentina e in Irlanda… Questi movimenti hanno contribuito ad innescare la crisi del capitalismo neoliberale, che è razzista e patriarcale nella sua stessa costituzione. In un certo senso, la guerra – non solo quella specifica in Ucraina, o quella in Palestina e in Libano, ma la Terza guerra mondiale, cioè l’estensione mondiale della logica bellica in tutti gli aspetti della nostra vita – è un sintomo e una risposta a questa crisi. Gli attacchi contro coloro con cui ci schieriamo si intensificano come conseguenza della Terza guerra mondiale: la crescita del razzismo, il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita ovunque, l’inasprimento delle politiche e dei discorsi reazionari, lo smantellamento dei piani di transizione verde. Dobbiamo continuare a intervenire contro tutto questo, giorno dopo giorno, per poter collegare le lotte di migranti, donne, persone Lgbt+ e lavoratori al di là delle frontiere. Per fare questo, dobbiamo anche affrontare il problema politico radicale della mancanza di un movimento transnazionale contro la guerra, di cui abbiamo urgentemente bisogno. Nel medio periodo la guerra non finirà. Ciò significa non solo che è necessario un forte movimento per un cessate il fuoco immediato in Ucraina, Palestina e Libano, ma anche che dobbiamo creare le condizioni di quella che la Permanent Assembly Against the War (PAAW) ha definito “una politica transnazionale di pace”, per contrastare la capacità della guerra di dividere e chiudere gli spazi di lotta. Questo è e sarà un campo cruciale della nostra iniziativa.
NOII: Lotte e crisi, la questione dell’uovo o della gallina… pensiamo che queste andrebbe intese in interazione continua. Guardando alle migrazioni, vediamo entrambe le cose: le conseguenze della distruzione coloniale e capitalista, ma anche come movimento di riappropriazione, come globalizzazione dal basso. Guardando al moderno regime dei confini e dei visti: si è sviluppato ovviamente come risposta e tentativo di ricontrollare le autonomie della migrazione, che sfidavano e sfidano tuttora il sistema di gerarchie e disuguaglianze. Le morti in mare, la brutalizzazione e l’esternalizzazione dei confini sono reazioni, si tratta di una politica determinata a tutti i costi a mantenere le frontiere come filtri e come differenziali di sfruttamento. Il razzismo serve come strategia di tensione, come elemento cruciale per dividere e governare. Le strutture neocoloniali intrecciate con il razzismo dovrebbero mantenere e giustificare un evidente sistema di ingiustizia globale. Guerre, sfruttamento e povertà, catene globali di produzione e riproduzione, classe, genere e cambiamenti climatici – i movimenti di fuga e migrazione portano in sé le varie crisi e attraversano tutti i conflitti. Per noi, quindi, le lotte per la libertà di movimento acquistano un’importanza strategica: minando e superando le frontiere stesse e chiedendo pari diritti, ma anche attraverso le rimesse come ridistribuzione della ricchezza. Infine, contiamo sulla rete transnazionale che costruiamo in queste lotte tra sud e nord, per contribuire con fili sottili a creare nuove relazioni con l’obiettivo di sfidare l’economia di mercato.
(3) Quali sono i principali limiti che incontrate nel rafforzare l’organizzazione transnazionale? Come affrontare la non simultaneità delle lotte? E gli squilibri e le gerarchie globali delle condizioni di vita e di lotta? Come cercare di superarli?
CP: Ci sono due ostacoli, oggi, sulla strada della costruzione di un’organizzazione transnazionale più forte: la tendenza a mettere il locale contro l’organizzazione transnazionale e il pensare che ci sia un’opposizione tra la costruzione di un discorso politico condiviso e la costruzione di un’iniziativa o di un’azione politica. Il primo limite dipende, da un lato, dalle differenze nelle nostre condizioni di vita, di lavoro e di lotta, che cambiano da un paese all’altro: diversi livelli di precarietà, diversi rapporti di lavoro e differenziali salariali, diversa disponibilità di servizi pubblici di welfare e di libertà sessuale, diverse leggi sull’immigrazione e così via. D’altra parte, questa falsa opposizione tra organizzazione locale e transnazionale dipende anche dall’abitudine dei gruppi e dei movimenti organizzati ad agire quotidianamente con l’obiettivo di perpetuare la propria esistenza come gruppi e movimenti organizzati. Il secondo limite riguarda ciò che intendiamo per “iniziativa” politica. Possiamo ovviamente organizzare una giornata d’azione transnazionale – come abbiamo fatto, ad esempio, sostenendo e organizzando gli scioperi dei migranti il primo marzo, o lanciando una campagna “strike the war” il primo maggio 2022. Tuttavia, i movimenti più importanti degli ultimi anni non sono stati organizzati da “noi”, ma sono emersi all’improvviso. Le ragioni immediate di questo emergere – un nero ucciso dalla polizia nel caso di Black Lives Matter; una legge che vieta l’aborto nel caso dello sciopero delle donne in Polonia, o un femminicidio nel caso del recente sciopero di infermiere e medici in India – sono sia contingenti sia parte di condizioni strutturali: razzismo e patriarcato. Un discorso strategico in grado di mettere a fuoco queste condizioni strutturali è anche il primo passo per entrare a far parte di un vero e proprio movimento in grado di promuovere l’organizzazione, evidenziando ad esempio la relazione tra razzismo, patriarcato e la ristrutturazione contemporanea del capitalismo neoliberale in tempo di guerra. Senza questo tipo di organizzazione, e senza la capacità consolidata di costruire connessioni tra le diverse condizioni e lotte, il potere di questi movimenti si affievolisce, come è evidente con i movimenti e le manifestazioni per il clima: magari possono raccogliere molte persone intorno a un problema specifico, ma poi non riescono a garantire continuità ed espansione. Per questo motivo, un discorso politico condiviso è necessario per l’azione e per qualsiasi tipo di iniziativa transnazionale, per avere continuità e capacità di consolidare una forza politica. Ciò significa anche che dobbiamo affrontare le nostre differenze, cosa che non possiamo evitare. Ad esempio, in Italia è in corso uno scontro sul futuro di un’azienda come Stellantis a Torino. Lo scontro riguarda la produzione di auto elettriche e i padroni chiedono finanziamenti pubblici minacciando di esternalizzare la produzione in Polonia. Non esiste una soluzione nazionale o locale. Inoltre, il rapido smantellamento del welfare pubblico si basa sempre più sulla disponibilità di lavoratori migranti, soprattutto donne, costretti ad accettare qualsiasi salario e condizione lavorativa a causa del ricatto del permesso di soggiorno rischiando altrimenti di essere espulsi fuori dall’Europa, nei loro paesi d’origine o in un paese “terzo”. Nessun approccio nazionale è sufficiente a rovesciare questa situazione. Oggi non c’è situazione o lotta locale che non sia attraversata da forze transnazionali e il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di trasformare queste connessioni materiali transnazionali in processi di organizzazione, assumendo la differenza come qualcosa che dobbiamo prendere sul serio come parte del problema transnazionale che affrontiamo.
NOII: Sì, in questo mondo fatto di gerarchie e disuguaglianze affrontiamo condizioni molto diverse e anche i cicli di resistenza e di lotta variano nei tempi e nelle dinamiche. Quindi un concetto semplificato di lotte comuni o addirittura simultanee non funzionerà. Lo abbiamo già visto quando abbiamo indetto le giornate di azione comune con l’aspettativa tradita – perché molto statica – di poter organizzare passo dopo passo una lotta più forte con sempre più gruppi e città. Pensiamo invece di dover contare sull’ispirazione e sull’apprendimento reciproci. Nel 1997 abbiamo creato la rete tedesca No One Is Illegal avendo come punto di riferimento le impressionanti lotte dei Sans Papiers a Parigi. Siamo stati in grado di costruire forti campagne contro la criminalizzazione dei migranti e contro le deportazioni, pur sapendo che non possiamo copiare quanto avveniva in Francia. 20 anni dopo, tra il 2016 e il 2019, siamo riusciti a portare in piazza 10.000 persone, grazie alla nuova alleanza di We’ll Come United, all’indomani dell’estate migratoria e in opposizione ai contraccolpi in corso. È stato un grande ciclo di tre anni, ma la forza accumulata non poteva essere mantenuta a lungo termine, quando le condizioni sono cambiate di nuovo. Poiché siamo convinti del valore della memoria collettiva, potremmo tenere a disposizione almeno le strutture di base e le esperienze importanti, su cui costruire i prossimi cicli di lotte.
– (4) Qual è la vostra percezione delle lotte sociali e del vostro ruolo come gruppo politico e rete transnazionale? Quali tipi di lotte sono più importanti per voi? Come guardate alle pratiche quotidiane di resistenza visibili e invisibili?
CP: Negli ultimi anni abbiamo cercato di rendere visibili i molteplici “scioperi sociali” che si sono verificati, rendendo evidente la possibilità di organizzarsi al di là e contro il peggioramento delle condizioni materiali. Mentre molti movimenti e reti organizzate europee si rivolgevano al “cuore della bestia”, cioè al nucleo finanziario dell’Unione Europea simboleggiato dalla Banca Centrale Europea a Francoforte, noi abbiamo organizzato il primo incontro del TSS in Polonia, dove si stavano svolgendo diverse lotte nei luoghi di lavoro, lungo i nodi delle catene di produzione transnazionali. Siamo stati in grado di anticipare l’importanza strategica che la Polonia e l’Est rivestono oggi, non tanto in termini geopolitici, quanto per l’organizzazione transnazionale della produzione e della riproduzione in tempo di guerra. Durante l’emergenza Covid-19, quando i lavoratori essenziali, soprattutto donne e migranti, lottavano e scioperavano contro uno sfruttamento insostenibile, aggravato dalla pandemia, il TSS ha lanciato una rete chiamata E.A.S.T. – Essential autonomous struggles transnational – per mettere in comunicazione e rendere visibili quelle lotte. Il punto non è tanto chiedersi quali lotte siano “più importanti”. Il punto è che alcune lotte hanno il potenziale per diventare “connettori” di molte lotte quotidiane e pratiche locali che – pur essendo importanti per migliorare le condizioni di vita di molti soggetti – rischiano altrimenti di rimanere isolate e frammentate. Il punto è fare di questa connessione un progetto politico. Per questo motivo, i collettivi di migranti e gli attivisti antirazzisti di tutta Europa e non solo hanno organizzato, all’interno della piattaforma TSS, il Transnational Migrant Coordination (TMC): uno spazio che ha l’obiettivo di collegare le diverse lotte contro il razzismo e lo sfruttamento che si svolgono all’interno dell’Europa, lungo i suoi confini e al di là di essi.
NOII: Con Alarm Phone ci piace riferirci all’immagine della ferrovia sotterranea, la lotta abolizionista nascosta contro la schiavitù. I movimenti migratori sono prima di tutto lotte sociali quotidiane e invisibili che minano il regime delle frontiere. Nel 2006, quando negli Stati Uniti si sono svolte enormi manifestazioni di migranti contro le nuove leggi repressive, alcuni compagni di Los Angeles le hanno definite “un gigante addormentato che si è svegliato”. La storica marcia della speranza del settembre 2015 in Ungheria, che ha poi portato ad alcuni mesi di libertà di movimento nel corridoio balcanico, è stata “solo” il punto di picco visibile di una lotta più nascosta nei mesi precedenti. Arriviamo all’anno scorso, il 2023, nel Mediterraneo centrale, nonostante e contro un governo post-fascista della Meloni, più di 150.000 persone in movimento sono arrivate dalla Tunisia o dalla Libia in Europa, uno dei record. Allo stesso modo, in Germania, nonostante i crescenti discorsi razzisti e le nuove leggi repressive, nel 2023 sono stati registrati più di 330.000 nuovi richiedenti asilo, uno dei numeri record nella storia della Germania. Questi divari tra politiche ufficiali e realtà sociali devono essere interpretati e riconosciuti come autonomie e tenacia silenziose ma vincenti dei movimenti migratori.
– (5) La vostra ambizione è di dare vita a nuove mobilitazioni ed eventi? O vi vedete più in una posizione di “attesa” e di preparazione a nuovi cicli di lotte sociali autonome e spontanee per poi cercare di intervenire con strutture transnazionali?
CP: Questo è in qualche modo legato a quanto abbiamo già detto. Ad ogni modo, prepararsi a nuovi cicli di lotte non è una posizione di attesa. È un lavoro attivo di anticipazione, l’instaurazione di una comunicazione politica tra gli attivisti, i collettivi, i sindacati che sono disponibili a realizzare un’infrastruttura politica transnazionale, a partire dal riconoscimento della loro insufficienza e dell’urgenza che c’è bisogno di qualcosa di più, di quello che possiamo già fornire.
NOII: Noi – come movimento politico – abbiamo tutte le ragioni per essere umili e per conoscere i nostri limiti. Possiamo amplificare e rafforzare le lotte sociali sostenendo gli interventi e costruendo – come si dice – infrastrutture per la libertà di movimento. Siamo d’accordo con Connessioni Precarie che possiamo e dobbiamo cercare di catalizzare le connessioni come una sorta di delegati e di costruire reti transnazionali. Ma non possiamo darci il merito di creare nuove dinamiche e cicli di lotte. Guardando alla (grande) estate migratoria del 2015 o anche alla (piccola) estate migratoria del 2023, il nostro ruolo di sostegno non è stato in alcun modo cruciale. Potremmo e dovremmo accompagnare al meglio – cosa che abbiamo fatto in entrambi i casi – ma dovremmo riconoscere e rispettare le autonomie. Questo vale ancora di più per il 2011 e le rivolte arabe che, fino a poche settimane prima, nessuno nel movimento si sarebbe potuto immaginare e poi, nel giro di poche settimane, sono riuscite a cambiare tante cose tra cui far crollare anche il regime di confine esternalizzato attraverso le migrazioni. Sì, “posizione di attesa” suona molto passiva e andrebbe semmai riformulata per il nostro caso come il tentativo di muoverci e dare sostegno negli spazi di lotta.
– (6) Il TSS agisce perlopiù organizzando incontri, mobilitazioni decentralizzate, costruendo discorsi e collegando le lotte in corso attraverso prese di parola comuni. La pratica di AP ruota attorno a una hotline che interviene quotidianamente in supporto alle persone in movimento, agendo quindi come una infrastruttura per la libertà di movimento. Dove vedete i rispettivi vantaggi e limiti?
CP: AP è una grande esperienza, in grado di sfidare il governo europeo delle migrazioni e il regime delle frontiere. Questo ha un valore incredibile per centinaia di migliaia di donne e uomini migranti che perseguono la loro libertà. TSS adotta una strategia in qualche modo diversa e si concentra maggiormente sul collegamento delle lotte, piuttosto che su una singola questione come il salvataggio dei migranti. Infatti, i migranti devono affrontare molteplici ostacoli nel loro viaggio verso la libertà. Coloro che riescono finalmente a entrare in Europa devono affrontare non solo l’incubo del regime di Dublino e del “sistema di accoglienza”, ma sono costretti a trasformarsi in una forza lavoro usa e getta, che è centrale per la produzione e la riproduzione, ma che è anche isolata a causa del suo specifico status giuridico. Ciò influisce anche sulla capacità di organizzare le lotte nei luoghi di lavoro, siano essi i campi agricoli, l’industria automobilistica, la logistica o il lavoro di cura. In questo senso, il TSS non è in grado di ottenere risultati immediati, come può fare AP che è impegnato soprattutto a fornire un sostegno immediato ai migranti mettendo un bastone tra le ruote al regime di frontiera, senza necessariamente cercare di perseguire un progetto più ampio di connessioni politiche. Ciò che li accomuna, sicuramente, è il riconoscimento della centralità politica della libertà dei migranti e la necessità di lottare contro il razzismo e lo sfruttamento.
NOII: AP per noi è ancora un piccolo miracolo in termini di continuità, responsabilità ed efficacia nella storia di Noborder. Ovviamente è stato possibile – collegati attraverso una hotline comune con il compito molto chiaro di accompagnare e sostenere le persone in movimento in mare – creare una rete sostenibile a livello molto decentrato ma con una pratica comune. Negli ultimi dieci anni abbiamo sviluppato una struttura molto complessa e – cosa più importante – siamo riusciti a conquistare la fiducia di molte comunità di migranti. Questo tipo di interconnessione e di contatto quotidiano con i movimenti migratori è un grande punto di forza. Dato che dobbiamo imparare e adottare molte cose a livello operativo e siamo coinvolti ogni giorno in tante micro-lotte, rischiamo di trascurare il livello politico. La nostra cornice comune è ovviamente il no-border e la richiesta di libertà di movimento. Ma spesso si tralasciano discussioni più profonde sulla narrazione del discorso migratorio o sul collegamento della nostra lotta con altre lotte sociali. Non di rado è un problema di capacità, ma in questo senso possiamo imparare da TSS. AP è anche molto coinvolta nell’organizzazione dei “transborder summer camp”, che si svolgeranno per la terza volta nell’estate del 2025 e nei quali cerchiamo di creare spazi dedicati all’approfondimento e alle discussioni trasversali.
-(7) Parliamo delle vostre rispettive strutture interne. Come condividete il lavoro, come si costruisce il vostro network? Come gestite il processo decisionale, le responsabilità e le fluttuazioni? Cosa si fa nelle strutture più centralizzate e cosa in quelle più decentrate? È un’area di scontro?
CP: Il TSS ha sia un gruppo di coordinamento, sia progetti specifici, ognuno dei quali è nato sotto la spinta di eventi e lotte che li hanno resi necessari. Ho già citato EAST, PAAW e TMC. C’è anche un’iniziativa chiamata Climate Class Conflict (CCC), attivata durante l’ondata di scioperi per il clima per evidenziare la necessità di affrontare l’urgenza ecologica dal punto di vista di lavoratrici e lavoratori, sapendo che quando, ad esempio, questi sono impiegati nel settore minerario del carbone le contraddizioni esplodono. Il gruppo di coordinamento è sia il luogo in cui questi ambiti di iniziativa vengono condivisi e messi in comunicazione, sia il luogo in cui vengono prese le decisioni. La composizione di questi gruppi varia inevitabilmente, a causa delle condizioni contingenti, dei picchi di lotta e della situazione particolare dei gruppi o collettivi locali. La composizione varia anche perché gli incontri fisici che organizziamo regolarmente mettono a disposizione nuove forze che richiedono anche un lavoro di sincronizzazione, dato che non tutti hanno la stessa esperienza di organizzazione transnazionale. In alcuni momenti, come durante la pandemia, data l’impossibilità di agire come di consueto nei nostri contesti locali, lo spazio transnazionale che abbiamo messo a disposizione ha ospitato molti nuovi soggetti con il desiderio di superare l’isolamento imposto dalla pandemia. Lo stesso è accaduto dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quando abbiamo lanciato un’assemblea online a cui hanno partecipato centinaia di compagni da decine di paesi e abbiamo dato vita al PAAW. Alcuni sono rimasti, altri no, e questa fluttuazione è inevitabile e rappresenta una sfida per la continuità dell’iniziativa politica. Per quanto riguarda i conflitti, essi non riguardano tanto il funzionamento delle strutture interne, quanto le prospettive politiche e l’organizzazione. Le opposizioni tra locale e transnazionale, tra discorso e azione, hanno innescato discussioni difficili e importanti. L’elemento critico, tuttavia, è stata la guerra in Palestina. Fin dall’inizio della guerra in Ucraina, i compagni della PAAW si sono rifiutati di assumere la divisione imposta dei fronti di guerra, che impone di schierarsi o con il regime autoritario di Putin o con il progetto neoliberale dell’UE. Piuttosto, abbiamo sottolineato l’importanza di costruire connessioni contro la guerra al di là dei confini nazionali: tra lavoratrici e lavoratori, donne, persone lgbt+ e migranti. Nonostante questo, un disaccordo radicale è emerso dopo il 7 ottobre 2023, quando qualcuno, ricadendo proprio nella logica della guerra, ha sostenuto che fornire un sostegno incondizionato alle persone in Palestina e opporsi alla guerra equivale a considerare tutte le persone in Israele colonizzatori, o nemici, e a considerare Hamas come l’unica resistenza possibile e legittima. Questo tipo di conflitto è lo stesso che ha investito i movimenti locali ovunque. Affrontarlo senza paura, però, fa parte della costruzione di una prospettiva condivisa, che non può che essere conflittuale.
NOII: La nostra hotline è una sorta di call-center auto-organizzato e anche il coordinamento del sistema di turni deve essere fatto con alcuni strumenti centralizzati. Ma i turni e la copertura 24 ore su 24, 7 giorni su 7, dipendono già dalla responsabilità decentrata dei team locali. Poiché siamo attivi in almeno quattro regioni diverse – Egeo, Mediterraneo centrale, Mediterraneo occidentale e Canale – ci troviamo ad affrontare condizioni molto diverse e il solo sviluppo dei rispettivi piani di allarme – procedure standardizzate, modalità di intervento in caso di emergenza – è molto complesso. Dobbiamo necessariamente condividere e decentralizzare questo lavoro. Così i piani di allarme, i rapporti, la comunicazione interna ed esterna, le questioni tecniche, i contatti con le autorità e le relazioni con le comunità sono tutti processi di apprendimento con decisioni a livello decentrato. Anche dal punto di vista economico molte decisioni sono prese principalmente dai vari gruppi di lavoro e non abbiamo nemmeno una posizione retribuita. Il nostro organigramma sembra una sorta di labirinto, ma allo stesso tempo riteniamo che sia uno dei nostri punti di forza, internamente nella condivisione del lavoro, esternamente per non essere così vulnerabili alla potenziale repressione. Qualche anno fa abbiamo discusso della necessità di organizzarci come un’idra: se le autorità cercassero di tagliare una testa, ne crescerebbero altre due. Nel frattempo la nostra rete appare molto consolidata, in modo da poter affrontare e gestire i consueti processi di fluttuazione. Naturalmente le persone lasciano o vanno via in una rete così grande, con circa 300 membri e così tanti compiti. Cerchiamo di discutere la necessità di pause e di come riorganizzarci se dei compagni o addirittura intere squadre se ne vanno. Ci sembra fondamentale la stabilità dei rispettivi gruppi di base nelle quattro regioni in cui è attiva la nostra hotline.
– (8) Entrambe le vostre reti seguono un approccio e un’aspettativa di superare o minare le gerarchie e le ingiustizie globali tra sud e nord. Che cosa significa e come funziona in concreto? Quali passi potrebbero essere fatti? Quali sono i limiti e le sfide principali nelle vostre strutture e nei vostri programmi?
CP: Abbiamo già parlato della nostra “svolta a Est”, che ha favorito l’organizzazione di incontri non solo in Polonia, ma anche in Slovenia, Georgia e Bulgaria. Il significato politico di questa svolta è stato quello di guardare all’Europa non dal “centro” del suo governo – come la Germania o la Francia – ma dai suoi margini, sia interni che esterni, che sono cruciali per comprendere l’Europa non solo in termini istituzionali, ma guardando alla dimensione transnazionale delle politiche neoliberali, e al modo in cui i differenziali in termini di salari, relazioni di lavoro, o gerarchie razziste e patriarcali sono prodotti come parte di un’organizzazione complessiva di produzione e riproduzione. Abbiamo anche stabilito connessioni con compagni turchi e curdi, perché conosciamo il ruolo della Turchia nella gestione dei confini europei e gli attacchi contro il popolo curdo in relazione alla guerra o alle lotte sociali come il movimento iraniano Donna-Vita-Libertà. I limiti stanno soprattutto nel fatto che queste connessioni sono spesso radicate in contingenze specifiche come, ad esempio, il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, che ha infiammato per alcuni mesi l’iniziativa di EAST. La sfida è quella di consolidare queste connessioni al di là delle contingenze.
NOII: Recentemente si è svolta la nostra assemblea per i dieci anni di AP, all’inizio di ottobre 2024, a Dakar. È stato importante dal punto di vista pratico e simbolico andare in Senegal, dove opera la nostra équipe più a sud. Di solito ci incontriamo con 100-150 persone due volte l’anno e la maggior parte dei nostri membri del sud non può ottenere il visto per partecipare alle riunioni nel nord. Pertanto, uno di questi due incontri si svolge nel Sud. Negli ultimi anni abbiamo tenuto diverse assemblee generali e, ancora più spesso, riunioni di gruppi di lavoro in Tunisia e Marocco. Alcuni dei nostri membri hanno fatto esperienza di cosa significhi attraversare il mare e nei gruppi regionali i compagni che vivono in Tunisia e Marocco sono fondamentali per l’aggiornamento, l’analisi e la sensibilizzazione. Come già detto, abbiamo potuto creare buone relazioni con le comunità in movimento e abbiamo forti legami con i nostri progetti gemelli a sud, ad esempio con Alarm Phone Sahara in Niger, con Boza Fii in Senegal o con Refugees in Libia. Inoltre AP è molto impegnata nella rete transnazionale CommemorAction, in cui collaboriamo con molte famiglie di persone annegate e scomparse in Nord e Ovest Africa. Sebbene tutti questi sforzi e cooperazioni influenzino e modifichino l’approccio e le priorità dell’AP, non dobbiamo fingere di avere già una struttura paritaria. È chiaramente nel Nord che si hanno le risorse e i conseguenti privilegi di avere il tempo per viaggiare e partecipare a molti incontri. Inoltre le équipe in Europa presentano troppo di rado una composizione mista, cioè con membri con e senza esperienza di migrazione. Insomma, pensiamo che alla fine ci sia ancora un certo predominio del Nord, anche se nelle strutture citate il processo decisionale è molto decentralizzato. Si tratta di un processo continuo e permanente di riflessione e cambiamento delle nostre strutture.
– (9) Lotte interconnesse! TSS riflette questa aspettativa già nelle sue strutture, AP cerca di creare spazi di incontro per discussioni trasversali. Qual è la vostra valutazione finora? Si tratta davvero di un rafforzamento reciproco? O un sovraccarico di complessità e capacità?
CP: Entrambe le cose, ovviamente! A volte – e alcune esperienze descritte sopra ne sono un esempio – siamo riusciti a creare uno spazio in cui le differenze potevano parlare ed essere parte di un progetto e di un’iniziativa condivisi. Lotte locali che altrimenti sarebbero rimaste isolate sono diventate ampiamente note, sono state discusse e sono diventate parte di un problema e di un progetto comune. Ma ogni successo aumenta la complessità e solleva nuove domande e problemi. Infatti, i tempi che abbiamo di fronte sono di per sé complessi, la frammentazione dei movimenti organizzati non è mai stata così radicale, anche a causa della pressione della guerra, e non possiamo aspettarci soluzioni facili.
NOII: Questa resta una domanda difficile. Negli ultimi anni AP è stata coinvolta in diversi raduni più grandi, che dal punto di vista dei contenuti andavano oltre la fuga e la migrazione. Nel 2019 e nel 2022 abbiamo fatto parte dei transborder summer camp, nell’autunno del 2021 abbiamo co-organizzato le convergenze simultanee di Palermo e Dakar. In tutti questi eventi si è voluto adottare un approccio trasversale e sono stati organizzati workshop più puntuali, ad esempio sui retroscena della migrazione, sulla situazione nei vari paesi di origine o sulla migrazione e il lavoro migrante. Ma alla fine questi eventi sono stati momenti singoli e non hanno portato a strutture più durature per interconnettere le lotte. In teoria, tutti i membri dell’AP sono sicuramente convinti della necessità di un impegno trasversale. In pratica, spesso ci si perde nelle agende delle nostre riunioni e forse i compagni sentono che i discorsi rimangono troppo astratti se non riusciamo a sviluppare pratiche adeguate. E naturalmente tutti noi lottiamo con le nostre limitate capacità. Nel nostro ultimo incontro a Dakar, i membri di AP hanno appreso molto di più sulle realtà e sulle lotte sociali non solo in Senegal, ma in diversi paesi dell’Africa occidentale. La sfida è che queste occasioni diventino qualcosa di più di un interessante momento di scambio. La prossima occasione sarà il transborder summer camp che si terrà ad agosto 2025. Cercheremo di avviare un processo di interconnessione delle lotte già a partire dalla preparazione e poi di radicarlo maggiormente anche in AP. Ci auguriamo che il TSS ci aiuti supportando e rafforzando questa nostra ambizione.