di FELICE MOMETTI
Per ridimensionare questa grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, c’è voluto (e per la prima volta nel dopoguerra) la grande alleanza di tutto il sistema dei partiti, l’uso di tutti i corpi militari, una modifica radicale dello “stato di diritto”
Nanni Balestrini-Primo Moroni “L’Orda d’Oro”
È possibile evocare l’Orda d’Oro a SoHo, ex quartiere degli artisti e ora dello shopping selvaggio a Manhattan? Ci ha provato il CIMA – Center for Italian Modern Art di New York – con la mostra Nanni Balestrini: Art as Political Action – One Thousand and One Voices. Riconfigurare le parole, ricombinare le immagini, scardinare le armonie alla continua ricerca di nuovi territori sociali per sovvertire linguaggi, comportamenti e sistemi sono sempre stati i veicoli ibridi che Balestrini ha usato per intendere l’arte come azione politica. Lontano anni luce dagli approcci didascalici tanto cari a molti artisti “organici” negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso in Italia.
Il CIMA e Marco Scotini, curatore della mostra, procedono invece in modo lineare, quasi cronologico. Dalla partecipazione di Balestrini al Gruppo 63 ai lavori di fine anni ’70. L’Orda d’Oro che dal ’68 al ’77 sovverte l’Italia, ma non solo, non si vede. È una presenza tanto implicita da renderla invisibile. Non emerge, non attraversa il Cubo Bianco di questa, come della maggioranza delle gallerie d’arte. Non si va oltre la sequenza di parole, immagini e suoni in un percorso predefinito.
Nella stessa ricerca di genealogie futuriste in Balestrini, nonostante le cautele dichiarate dal curatore della mostra ci si infila nel vicolo cieco dello storicismo. Si storicizza relegando e confinando tutto nel passato. Senza scomodare il Benjamin delle immagini dialettiche dove convivono spazi e tempi diversi del passato che non arrivano a sintesi, ma che aprono alle possibilità di interpretare e sovvertire il presente.
Eppure nella mostra ci si imbatte anche nella collaborazione tra Balestrini e Luigi Nono nella composizione del 1968 di “Contrappunto dialettico alla mente”. Tra i testi di quella composizione c’era anche il Manifesto delle Enraged Women di Harlem. Chissà quale immagine poteva scaturire accostando un “contrappunto dialettico” al flow delle feminist rappers di New York? Una mostra muta che non esce dalle teche di vetro che contengono vecchi numeri di Potere Operaio e di Rosso, che non scavalca le pareti bianche di un elegante appartamento/galleria d’arte di SoHo. Forse le aspettative erano troppo elevate dopo che Thomas Hirschhorn nel 2013 aveva collocato una grande installazione interattiva in un piccolo parco del Bronx, chiamandola Gramsci Monument.
Uscendo dalla galleria e scendendo in Broome Street viene alla mente l’estate di quattro anni fa, durante la George Floyd Rebellion, quando di notte questa strada e quelle vicine erano popolate da giovani venuti dal Bronx, da East New York, da Brownsville che mettevano in pratica una forma di redistribuzione del reddito senza l’apporto di teorie economiche più o meno keynesiane. Che avrebbe detto Nanni Balestrini a quei giovani? E quei giovani come avrebbero guardato Nanni Balestrini?
La mostra ha chiuso il 22 giugno ed anche il CIMA ha chiuso definitivamente lo stesso giorno, a qualche decina di ore dal solstizio d’estate. Come dire? Dopo una grande e intensa luminosità astronomica si torna sempre all’imbrunire? Ci ostiniamo a pensare che non vada sempre così. In fondo anche per Balestrini il tempo non è l’ordine codificato dell’esistenza.