domenica , 22 Dicembre 2024

Né il fiume né il mare. Intervista dall’Università di Tel Aviv

di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE

Traduciamo e pubblichiamo un’intervista a David, membro del Partito Comunista israeliano e rappresentante del collettivo studentesco di Hadash all’Università di Tel Aviv, dove, la scorsa settimana, così come in altre università israeliane, si è tenuto uno sciopero di un’ora e varie azioni contro la guerra a Gaza. In diverse università, in Europa e negli Stati Uniti, gli studenti hanno organizzato delle “acampade” e hanno occupato i campus per dichiarare il loro no alla guerra e per protestare contro il genocidio che Israele continua a portare avanti. Dopo l’attacco brutale su Rafah le proteste studentesche hanno iniziato a crescere anche all’interno delle università israeliane, nonostante la repressione brutale e l’isolamento in cui viene gettato chiunque osi pronunciarsi e schierarsi rispetto al genocidio in Palestina.

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Come è partita la protesta degli studenti contro l’offensiva israeliana a Gaza e chi vi ha preso parte?

All’inizio della guerra volevo tenere un discorso pubblico all’università sui diritti degli studenti, l’Università non me lo ha permesso. C’erano diversi professori che denunciavano quello che stava succedendo a Gaza e venivano presi di mira dall’Università. Durante l’ultimo semestre, all’Università di Tel Aviv, abbiamo organizzato momenti di dibattito contro la guerra, minuti di silenzio e, il 15 maggio, una grande cerimonia di commemorazione della Nakba. Lo scorso mercoledì, dopo l’orribile attacco a Rafah, abbiamo organizzato uno sciopero di un’ora in tutte le università e i college di Israele insieme al National Council of Palestinian Students, un gruppo che è stato creato in risposta alla guerra contro Gaza per tenere assieme tutti i gruppi di studenti palestinesi dentro l’accademia israeliana, ma che non è mai stato molto attivo. L’obiettivo era semplice: sedersi e discutere di come, da studenti, far sentire la nostra voce contro la guerra.

La Hebrew University di Gerusalemme è stata l’unica che ha permesso lo sciopero in questa forma. Qui a Tel Aviv abbiamo annunciato lo sciopero, ma la destra si è opposta dicendo che si trattava di una manifestazione di ‘sostenitori di Hamas’ contro di loro. Allora il Rettore dell’Università ci ha chiamati e ci ha detto: “So che non siete voi il problema e che manifesterete in modo non violento, ma temo che la destra studentesca invece reagirà con violenza e non ho abbastanza forze di sicurezza, quindi non ho altra scelta se non chiamare la polizia e farla entrare nell’Università”. Noi non volevamo la polizia dentro l’Università, perché abbiamo una polizia fascista e questo significa che non avrebbero fermato gli studenti fascisti, ma solo i palestinesi e gli studenti ebrei di sinistra. Dunque, abbiamo annunciato all’Università che avremmo comunque scioperato, ma senza riunire gli studenti in un solo posto. Abbiamo convocato lo sciopero e l’Università ha permesso che questo si svolgesse. Alla fine, molti studenti sono venuti comunque dove avevamo detto a tutti di venire. Abbiamo parlato un po’ con loro, ma non è stato nulla di che. Martedì 4 giugno abbiamo intenzione di fare la stessa cosa, ma lo abbiamo annunciato solo a gruppi fidati di studenti, in modo che la destra e l’università non lo sappiano. Inoltre, come Hadash, lo stiamo organizzando anche per mercoledì 5 Giugno, che è il giorno in cui l’esercito israeliano ha occupato i territori della Palestina. Organizzeremo una nuova protesta davanti all’Università distribuendo alle persone dei quaderni con testimonianze da Gaza e dalla Hebrew University. Quest’ultima, quando gli studenti hanno annunciato il loro sciopero e si sono riuniti, lo ha permesso senza troppi problemi ed è stata in grado di assicurare che la protesta si svolgesse in sicurezza, mentre quella di Tel Aviv non è stata capace.

Professori e lavoratori dell’Università si sono uniti alle proteste degli studenti?

A Tel Aviv, qualche professore del gruppo “Academy for Equality”, che era già stato coinvolto in alcune delle attività che abbiamo organizzato, ha scioperato con noi. Due settimane fa ci sono stati professori che sono venuti alla nostra manifestazione per supportarla e che hanno parlato alla cerimonia per la Nakba. Penso che sia stato un passaggio molto importante nelle proteste studentesche contro la guerra a Gaza. Prima di questo gli studenti avevano molta paura di prendere parola contro la guerra, perché sapevano che era molto facile venir puniti per quello che veniva detto. All’inizio della guerra molti studenti palestinesi che hanno postato su Instagram e Facebook messaggi contro la guerra e in solidarietà alle persone a Gaza sono stati espulsi dalle università e qualcuno di loro è perfino finito in prigione. Ma penso che la Cerimonia in ricordo della Nakba, che è stata la prima grande azione contro la guerra e pro-Palestina che abbiamo fatto nel campus da quando la guerra è iniziata, abbia dato a molte persone una nuova percezione della propria forza.  

C’erano state anche in precedenza collaborazioni fra studenti israeliani e studenti palestinesi o è stata la prima volta in cui si è realizzata una mobilitazione insieme nelle università?

Prima di tutto è molto importante dire che noi siamo attivi solo in Israele, non in West Bank né nei Territori Occupati. Secondo la legge israeliana, entrare in contatto con studenti palestinesi della Cisgiordania o dei Territori Occupati potrebbe portare all’accusa di comunicazione con agenti stranieri, il che rende la cosa molto difficile e pericolosa. Durante la cerimonia in ricordo della Nakba abbiamo mostrato un video di una studentessa che è riuscita a scappare da Gaza al Cairo e ci ha raccontato la sua storia. Abbiamo anche compagni che aiutano le persone che vivono in West Bank e a sud dei monti di Hebron, ma sono casi molto isolati, non contano come una reale connessione. Questo è un punto su cui dovremmo cercare di lavorare meglio.

Per noi di Hadash e del Partito Comunista la necessità di costruire connessioni fra israeliani e palestinesi è sempre stata molto chiara da un secolo a questa parte. È una necessità che non viene riconosciuta dagli altri gruppi politici nello stesso modo, ma noi crediamo che la nostra lotta debba unire arabi ed ebrei insieme contro un sistema sociale sionista che colpisce tutti. Questa alleanza è iniziata già quando il Partito Comunista è stato fondato in Palestina. Erano davvero comunisti e credevano davvero nell’uguaglianza e nella giustizia sociale, per cui non vedevano alternativa se non lavorare assieme, arabi ed ebrei. Vivendo su questa terra, vediamo che il sistema lavora contro l’eguaglianza di tutti noi. È chiaro che la situazione per i palestinesi è ben peggiore, ma questo sistema danneggia tutti, ebrei, arabi, italiani e tedeschi – questo è ciò che dovrebbero pensare i veri comunisti. La nostra alleanza si basa su valori ideologici profondi e concreti. Penso che questo ci renda più forti di altri gruppi di arabi ed ebrei in Israele, che collaborano su un piano morale. Questi gruppi sostengono che l’occupazione è terribile, che il popolo palestinese è molto povero e che il governo israeliano sta sbagliando. Essi ritengono che tutti dovremmo rispondere all’appello morale e lavorare insieme per aiutarli a mettere fine all’occupazione. Credo che questo non sia abbastanza radicale, perché il senso morale può cambiare facilmente a seconda di chi governa un Paese. Per esempio, 20 anni fa ci furono grandi proteste in Israele dopo che l’IDF uccise una decina di civili innocenti nel tentativo di uccidere alcuni leader di Hamas. Ci furono grandi proteste, la gente andò alla Corte Suprema e ci fu un grande dibattito. Ora che abbiamo un governo molto fascista e populista, che può orientare il senso morale della maggioranza delle persone, la gente se ne frega. La società israeliana ha visto quello che è successo a Rafah domenica scorsa e non è scesa in piazza per dire: “Questo è male. Non è per questo che mando i miei figli nell’esercito”. Quindi, penso che l’appello alla moralità non sia abbastanza forte. È necessario avere valori ideologici concreti e profondi per innescare un vero cambiamento. E credo che questa sia la forza che abbiamo in Hadash e nel Partito Comunista.

È possibile aspettarsi mobilitazioni in altre università del paese e in West Bank? Avete contatti con le proteste studentesche che si stanno espandendo in tutto il mondo?

Abbiamo parlato con studenti e studentesse sia negli Stati Uniti che in Europa, provando a costruire connessioni e a rafforzare le voci di arabi ed ebrei che lavorano assieme dentro Israele per la fine della guerra e il riconoscimento di uno Stato palestinese. Non è sempre facile creare queste connessioni perché la società israeliana vede le proteste come antisemite e questo ci mette nella posizione di essere etichettati dai fascisti come terroristi che lavorano con gruppi antisemiti. Credo che, a prescindere dalle pressioni internazionali, è prima di tutto la gente di qui a dover capire che qualcosa deve cambiare nel profondo, perché solo coloro che vivono qui, “tra il fiume e il mare”, avranno la possibilità di porre fine a questa terribile guerra e a questa terribile occupazione. Ma credo anche che sia molto importante lavorare insieme per porre fine a questa guerra.

Per lo Stato di Israele le proteste pro-Palestina nelle università all’estero sono antisemite. L’accusa di antisemitismo è una tecnica populista molto facile da usare in Israele. Ogni sentenza contraria al governo di Netanyahu viene definita antisemita dai media, dal governo, da tutti. Persino le decisioni della Corte internazionale sono considerate antisemite. Questo dà la misura di quanto l’idea sionista sia radicata nelle menti delle persone. Possono dire a chiunque di essere antisemita e quindi di essere illegittimo. Naturalmente, si tratta di un’assurdità. Sono sicuro che ci sono persone nelle proteste studentesche che non hanno i migliori valori ideologici e potrebbero anche essere antisemite, ma sicuramente non la maggior parte di loro. Guardate tutti questi movimenti ebraici, gli studenti ebrei per il cessate il fuoco o Jewish Voice for Peace. Il governo ha collegato molto facilmente tutto ciò che riguarda l’antisionismo all’antisemitismo. E noi dobbiamo stare attenti a come parliamo pubblicamente.

Tra le richieste degli studenti in Europa e negli Stati Uniti, c’è la sospensione o la cancellazione degli accordi con le università israeliane per lo sviluppo di tecnologie militari. Alcune università hanno accettato queste richieste. Ne avete sentito parlare? Cosa ne pensate?

Penso che boicottare le università israeliane, anche se sono molto legate all’occupazione e all’industria militare, sia una mossa problematica. Le università sono gli unici luoghi in cui la sinistra può esprimersi pubblicamente e il nostro governo populista fascista farebbe di tutto – e lo sta facendo proprio ora – per mettere a tacere le università e togliere loro il potere. Per esempio, ieri il Consiglio Nazionale degli Studenti ha iniziato una grande campagna pubblicitaria per promuovere una legge che obbligherà l’università a licenziare qualsiasi professore che sostenga il terrorismo. Ma per loro sostenere il terrorismo significa parlare in solidarietà con Gaza e dire che il sionismo deve finire. Pertanto, questa pressione internazionale è qualcosa che aiuterebbe il governo fascista. Sono d’accordo sul fatto che le università dovrebbero interrompere tutti i loro rapporti con l’industria militare. Ma, ad essere realisti, purtroppo non credo che questo accadrà in Israele nel prossimo futuro. Soprattutto quando si tratta di armi e industrie militari, le università ricevono un’enorme quantità di denaro, sia da donatori ebrei e sionisti, sia dalla vendita dei prodotti stessi, alla quale le università, sia in Israele che all’estero, non rinunceranno tanto facilmente.

Una lotta che penso potrebbe aprire delle possibilità anche qui in Israele, sarebbe quella per dire alle università israeliane: “se volete avere relazioni accademiche dovete garantire a tutti i vostri studenti e professori una totale libertà di parola e di protesta”. Quando gli studenti e i professori della sinistra ebraica e palestinese qui avranno una reale libertà di parola allora qualcosa potrà effettivamente iniziare a cambiare. Potrebbe crescere anche un grande movimento studentesco, perché qui in Israele molti studenti palestinesi e cittadini israeliani hanno paura di uscire fuori e prendere parola. Sanno che le università possono accusarli o fare qualcosa contro di loro e allontanarli dall’accademia, come nel caso del Technion ad Haifa, che non permette alcuna attività politica dentro l’Università. All’inizio della guerra molti studenti palestinesi hanno pubblicato online messaggi a favore di Gaza, soprattutto il 7 ottobre, e sono stati cacciati. Non abbiamo libertà di espressione. Se le Università di tutto il mondo forzassero le università israeliane a concedere una piena libertà di parola, questo aiuterebbe davvero un movimento di studenti arabi ed ebrei che rifiutano la guerra. Mi sento di fare una sola eccezione: nessuna università dovrebbe avere rapporti con l’Ariel University, l’università dei Territori Occupati, che dovrebbe essere del tutto boicottata, sia in Israele sia all’estero.

Il brutale attacco a Rafah, che ha attirato critiche crescenti anche dagli alleati di Israele e dalla comunità internazionale, ha avuto un impatto sulle proteste e all’interno della società israeliana? Anche al di fuori delle università, le proteste contro Netanyahu continuano. Ad esempio, sabato scorso c’è stata una grande manifestazione a Tel Aviv. Cosa ne pensi?

La società israeliana è molto cieca rispetto a ciò che sta accadendo a Gaza: i nostri media non ne parlano e la gente pensa che tutti a Gaza siano di Hamas e che quindi debbano essere uccisi, non importa se hanno cinque mesi di vita. L’attacco a Rafah è stato forse un po’ diverso perché ci sono stati più articoli al riguardo e più persone hanno detto che non era giusto, ma comunque non è stato un grosso problema. Ma vedo che sta accadendo qualcosa di rilevante. Ogni giorno gli israeliani protestano per la restituzione degli ostaggi nelle mani di Hamas. Come Hadash partecipiamo a queste proteste con il blocco contro la guerra, e abbiamo detto fin dall’inizio che per riportare gli ostaggi dobbiamo porre fine alla guerra, perché gli attacchi a Gaza non riporteranno indietro gli ostaggi. Con il passare del tempo, sento sempre più voci in queste proteste che dicono che dobbiamo porre fine alla guerra ora per riavere gli ostaggi. Questo significa che c’è una porzione crescente della società israeliana che dice “dobbiamo porre fine a questa guerra”, non per le sofferenze dei palestinesi, ma soprattutto per gli ostaggi. Ciò che rende unica la voce del Partito Comunista è che, essendo persone di entrambe le nazionalità, diciamo entrambe le cose: sentiamo il dolore degli ostaggi e sentiamo il dolore dei palestinesi a Gaza, e capiamo che solo la lotta comune contro il fascismo e l’estrema destra può portarci alla pace e a una società giusta.

Gli ebrei sionisti di centro sinistra in Israele sono molto deludenti. Non sanno nulla di Gaza, non parlano di Gaza. Parlano molto degli ostaggi, che sono estremamente importanti. Sono il primo a dire che tutti gli ostaggi devono tornare a casa, ma dobbiamo anche vedere cosa sta succedendo a Gaza e dobbiamo parlarne. Il nostro esercito sta commettendo crimini di guerra a Gaza e sta uccidendo migliaia di persone innocenti senza motivo. Il nostro governo fascista vuole occupare Gaza e costruire nuovi insediamenti, ma non ne parla. Parlano soprattutto di ostaggi e del fatto che tutti gli ebrei ortodossi dovrebbero arruolarsi nell’esercito. Ma anche se queste proteste sono di solito molto deludenti dal punto di vista ideologico, con il nostro gruppo di Hadash e altri movimenti di sinistra continuiamo a parteciparvi ogni sabato, a fare il nostro blocco e a protestare contro la guerra, contro i crimini di guerra e per l’accordo sugli ostaggi. E anche prima della guerra, per quasi un anno e mezzo dall’annuncio del governo Netanyahu, siamo stati presenti ogni sabato con il blocco contro l’occupazione. Penso che sia molto importante, come comunista, essere all’interno di queste proteste e cercare di prendere parola con la nostra voce al loro interno perché, se non lo facciamo noi non lo fa nessuno. So che a volte può essere molto difficile protestare vicino a tutti quei sionisti che non hanno idea di cosa stia succedendo. Ma per avere un futuro migliore, dobbiamo essere presenti e farci sentire. Solo la maggioranza degli israeliani sarà in grado di fermare questa guerra. Dobbiamo essere presenti non solo per liberare gli ostaggi, ma anche per denunciare i crimini di guerra, fermare la guerra e dire che è immorale, orribile ed è un massacro.

In che modo la guerra di Israele contro Gaza, in un contesto segnato da decenni di occupazione e violenza, ha rafforzato un sistema già altamente militarizzato?

La società israeliana è estremamente militarista. Ho frequentato una scuola sionista, ho subito la propaganda sionista per tutta la vita. Io ho trovato la via d’uscita, ma la gente qui è molto influenzata dalla propaganda sionista e dal suo militarismo.

Dopo il 7 ottobre abbiamo assistito ad un’estremizzazione: mentre una volta si pensava che fosse sbagliato uccidere 46 persone solo perché i militari volevano uccidere un funzionario di Hamas, ora si tende a giustificarlo. La società israeliana è diventata molto più violenta, molto più militarista, molto più cieca, molto più colma d’odio; è diventato molto più difficile protestare contro la guerra e l’occupazione e chiedere giustizia per il popolo palestinese. I media si sono trasformati in megafono dell’esercito israeliano, i cui portavoce sarebbero gli unici portatori della verità. Siamo nella merda fino al collo. Non so quanto rapidamente la situazione cambierà, ma credo che, se in qualche modo riusciremo a porre fine alla guerra con un accordo sugli ostaggi, sui prigionieri e così via, ci sarà più spazio nella società israeliana per spingere l’opposizione al militarismo e all’occupazione, ed è per questo che dobbiamo continuare a lottare.

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