di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE
Il 21 aprile è stato organizzato uno sciopero generale che ha coinvolto numerose città della Cisgiordania per opporsi ai violenti attacchi del governo israeliano, del suo esercito e dei colonialisti contro i palestinesi. Traduciamo e ricondividiamo le parole di M., un cittadino palestinese di Nablus che ha partecipato attivamente allo sciopero, pubblicate in inglese sul sito del Transnational Social Strike Platform. L’intervento mostra chiaramente come gli effetti devastanti dell’occupazione israeliana e della guerra contro Gaza si ripercuotono anche in Cisgiordania. Lì, migliaia di lavoratori palestinesi, uomini e donne che erano già oppressi dal regime razzista di occupazione e dal sistema di permessi lavorativi che regolava i loro movimenti e il loro lavoro nello Stato di Israele prima del 7 ottobre, stanno ora sperimentando gli effetti crescenti della repressione, dell’impoverimento e dell’isolamento. Questo sciopero dimostra che nemmeno la violenza più estrema dell’esercito e dei coloni israeliani ha distrutto la rete di sindacati e organizzazioni che, scioperando, hanno fatto sentire la loro voce e inviato un messaggio anche al di fuori dai confini dello Stato di Israele e della Palestina per chiedere il cessate il fuoco a Gaza e la fine dello sfruttamento e della violenza.
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Già prima del 7 ottobre molti palestinesi della Cisgiordania dovevano affrontare condizioni di lavoro difficili in Israele e negli insediamenti israeliani: salari miseri, mancanza di diritti, limitazioni di movimento. Dall’inizio della guerra a Gaza, queste condizioni sono peggiorate a causa dell’aumento delle tensioni e dell’inasprimento delle misure di sicurezza. La maggior parte delle persone che lavoravano all’interno dei territori occupati ora sono disoccupate, la disoccupazione è molto grave. Soprattutto per le persone che non hanno una laurea e dunque l’opportunità di cambiare il campo. La scarsità di entrate finanziarie o la loro totale assenza ha portato anche all’esacerbazione di malattie in alcune famiglie, a problemi sociali, all’accumulo di debiti e a ripercussioni psicologiche. Questa guerra ha infatti portato alla distruzione di tutti questi elementi e alla ricerca di qualsiasi altro mezzo di lavoro, indipendentemente dalle sue entrate finanziarie.
Lo sciopero ha coinvolto con tutta probabilità lavoratori palestinesi di vari settori, organizzati attraverso i sindacati o le reti di base. La principale rivendicazione politica è stata quella di protestare contro l’aggressione e l’occupazione israeliana, chiedendo la fine della violenza e dell’oppressione contro i palestinesi. Vari gruppi, tra cui sindacati e organizzazioni politiche, hanno partecipato all’organizzazione e alla partecipazione allo sciopero. La decisione di protestare attraverso uno sciopero è stata certamente una scelta strategica per interrompere la normalità e attirare l’attenzione sulle continue violenze e ingiustizie perpetrate dall’esercito israeliano e dai coloni. Si tratta di una forma di resistenza nonviolenta che mira a mettere in evidenza la condizione dei palestinesi e a fare pressione per un cambiamento.
Lo sciopero e le proteste contro le azioni del governo israeliano possono creare solidarietà e amplificare il messaggio a livello globale, collegandosi a movimenti più ampi per la giustizia, i diritti umani e i movimenti contro la guerra. Gli scambi con i palestinesi e i cittadini arabi in Israele possono contribuire a rafforzare la solidarietà e la comprensione delle lotte comuni contro l’oppressione e la discriminazione.