di MARIO NEUMANN via MEDICO INTERNATIONAL
Traduciamo e pubblichiamo un intervento di Mario Neumann, a lungo attivista per l’Institut Solidarische Moderne e redattore di Medico International. A partire dalla realtà tedesca, Neumann analizza lo spostamento a destra generale di tutto il quadro politico attraverso il rafforzamento del razzismo nei confronti delle e dei migranti come esito del susseguirsi di pandemia, guerra in Ucraina e ora in Palestina.
***
Una delle cose migliori sugli eventi dell’estate dei flussi migratori del 2015 è forse venuta, sorprendentemente, da Wolfgang Schäuble, un politico che è poi diventato famoso in tutto il mondo per la sua politica rigida nei confronti della Grecia in quegli anni. Egli ha infatti dichiarato che la migrazione è un “appuntamento della nostra società con la globalizzazione”. In tempi di rapidi cambiamenti, gli appuntamenti in politica non sono diversi da quelli in amore: raramente arrivano da soli. E dall’appuntamento di Schäuble, ci sono stati numerosi contatti tra la realtà della vita tedesca, tradizionalmente lontana dal mondo e orientata alla sicurezza, e le grandi crisi globali. La crisi climatica ha occupato il Paese, poi la pandemia, in seguito la guerra in Ucraina e ora, ancora una volta, la terribile recente escalation in Israele e Palestina. Tutti questi eventi, che sono al tempo stesso degli spettacoli mediatici, potrebbero essere visti superficialmente come un’enorme ripoliticizzazione della vita sociale quotidiana. Tuttavia, chi spera che si apra un processo di apprendimento, una nuova opportunità per le alternative politiche o almeno che ci sia un freno d’emergenza, rimarrà amaramente deluso. Gran parte della società sta reagendo all’appuntamento chiedendo un irrigidimento della politica di sicurezza dello Stato in modo da evitare il più possibile simili incontri in futuro.
Quello che si sta diffondendo nell’area di centro in Germania, che è anche espressione di una nuova repubblica in tempi di crisi incombenti, è un nuovo entusiasmo per la risoluzione dei problemi politici attraverso la polizia, l’esercito e il potere. Un nuovo autoritarismo di centro che si irradia anche a sinistra. Questo è il retroscena dell’avanzata della destra degli ultimi mesi, durante i quali le forze che sono effettivamente di destra hanno potuto rilassarsi tranquillamente. La novità è che le misure autoritarie vengono contemporaneamente diffuse attraverso l’apparato concettuale progressista. Tutto ciò disorienta e inganna: il male arriva in nome del bene. Durante la pandemia, la repressione da parte della polizia è stata portata avanti in nome della “solidarietà”, mentre la militarizzazione del pensiero durante la guerra in Ucraina è stata giustificata ricorrendo ai “valori occidentali” e alla “democrazia”. E l’attuale politica della Germania in Medio Oriente viene perseguita sotto la bandiera della lotta all’antisemitismo e di una Germania che ha purificato la sua memoria.
“Antifascismo” da destra
Il risultato è una voce progressista piuttosto insignificante che nasconde sotto di sè la mentalità di un nuovo autoritarismo tedesco. A questo proposito, i dibattiti sui massacri di Hamas e sulla guerra a Gaza sono l’ultima e forse la più grande farsa degli ultimi anni.
Quando al mattino si sente Hubert Aiwanger sproloquiare sull’antisemitismo dei migranti su radio Deutschlandfunk, si capisce in che momento ci troviamo: la narrazione della guerra culturale della destra viene ora ricodificata nel linguaggio del conflitto mediorientale. “Via gli stranieri” ora significa “via gli antisemiti”. Le “lezioni” tedesche della storia vengono usate contro la società migratoria e al contempo i dibattiti sulla necessaria decolonizzazione della Germania e del mondo vengono liquidati.
L’antisemitismo viene imputato ai migranti e l’onnipresente razzismo appare come una sorta di antidoto. “La caratteristica essenziale del pensiero proiettivo è quella di proiettare il male che è in noi su una figura esterna, in modo che questa diventi incarnazione del male, mentre noi stessi risultiamo completamente buoni e puri. Questo meccanismo di proiezione è solitamente efficace in guerra“, ha scritto a suo tempo lo psicologo sociale Erich Fromm.
Si perdono alcuni spazi importanti. L’Agenzia Federale per l’Educazione Civica cancella senza troppe cerimonie la conferenza “We still need to talk” su una possibile memoria multidirezionale. Ora si parlerà soltanto della memoria tedesca. Allo stesso tempo vengono bandite altre voci sgradite, come le poche celebrità internazionali di sinistra rimaste. Jeremy Corbyn, Greta Thunberg e Judith Butler sono stati ‘scomunicati’ in Germania, mentre il razzismo viene normalizzato nei parlamenti, nei governi e nei media. “In Germania preferiscono non sentirci. Siamo gli ebrei scomodi”, ha dichiarato a DIE ZEIT l’organizzatrice della conferenza Candice Breitz. Questo vale anche per le voci critiche provenienti da Israele, dove gli attivisti per i diritti umani, così come i parenti delle persone uccise e rapite, adottano un tono completamente diverso da quello di guerra. Ma in Germania si sta giocando una partita diversa. “Siamo nella terza guerra mondiale contro l’Islam radicale. Ecco perché non si tratta solo di Israele. (…) La guerra è anche all’interno dell’Europa”, afferma il ministro dell’Energia israeliano Katz in un’intervista rilasciata a BILD. Con articoli di questo stampo e simili, la testata Springer imposta un tono che anche alcuni a sinistra seguono a loro modo.
Questa logica è involontariamente sostenuta dall’atteggiamento di alcune parti del movimento di solidarietà con la Palestina, che celebrano ogni atto diretto contro Israele, anche i crimini dei gruppi islamisti, come un atto di liberazione, appiattiscono il discorso postcoloniale e lo usano impropriamente per un conferimento temporaneo di potere che porta a un vicolo cieco politico.
Attacco alla società dell’immigrazione
Sulla scia del dibattito non ci sono solo i divieti. Vengono letteralmente sbandierati interventi sui diritti fondamentali e sul diritto d’asilo. La declamata ragion di Stato ha improvvisamente la precedenza sulle norme democratiche fondamentali. Gran parte dell’opinione pubblica percepisce l’antisemitismo dietro qualsiasi forma di empatia con le vittime palestinesi. E alcuni politici chiedono addirittura che solo un chiaro impegno nei confronti di Israele apra la strada alla cittadinanza tedesca e che, in caso di dubbio, la si possa perfino revocare, come ha suggerito Markus Söder. Nel frattempo, Wolfgang Kubicki chiede che vengano imposti dei limiti massimi all’immigrazione nei quartieri delle città. Vengono approvate risoluzioni del Bundestag che mescolano la lotta all’antisemitismo con misure discutibili e con il sostegno militare e politico a Israele, mentre allo stesso tempo viene data forma di legge al crescente razzismo.
Il risultato è un antifascismo borghese bianco ridotto ad antisemitismo, che afferma un sospetto generalizzato verso arabi e musulmani. Il Presidente federale e il Ministro dell’Economia lo confermano e pretendono segni di resa. Questo clima lascia, da un giorno all’altro, molte persone con un vissuto migrante senza parole e disperate. Come possono aderire a questo unilaterale “Mai più è ora!” e al discorso culturale dominante se questo porta il ritorno al razzismo e l’attacco alla società dell’immigrazione a conquistare la maggioranza? È anche vero che nella civilizzata Germania i migranti spesso non sono protetti dalla polizia, ma devono anzi nascondersi. Vengono vessati dalle autorità e dalle istituzioni. Non c’è alcuna richiesta di protezione per loro, né scandalo per il razzismo, ma vengono consegnati alle espulsioni o alle persecuzioni.
Il fatto che molte persone in questo Paese abbiano vissuto il 7 ottobre con indifferenza o lo abbiano salutato con gioia; che molti ebrei in Germania oggi vivano nella paura e nell’angoscia: tutto ciò è una verità che suscita giustamente scandalo. Ma questa verità include anche il fatto che i morti arabi e palestinesi non commuovono molte persone e alcuni non sembrano nemmeno preoccuparsene. Questo incarna ciò che Giorgio Agamben chiamava “Homo sacer”: Persone talmente disumanizzate e degradate che violare i loro diritti o ucciderle non è considerato un crimine e che comunque appaiono soltanto come una massa amorfa. Questi doppi standard portano alla perdita di credibilità e all’abbandono della uguaglianza tedesca di trattamento. Ciò che avviene nel dibattito tedesco si verifica anche su scala globale. La politica estera “basata su regole” e “guidata dai valori” sostenuta in Ucraina sta subendo un’immensa perdita di credibilità. La guerra contro Gaza viene difesa, la guerra di Erdoğan contro i curdi viene taciuta. I principi o l’impegno per una politica basata su valori e regole e per il diritto internazionale appaiono diversi a seconda dei casi.
Eccolo, il “punto di svolta”. Ma al posto di un movimento contro la guerra e di un’ampia mobilitazione contro la sterzata a destra, c’è l’integrazione della lotta contro l’antisemitismo nel militarismo occidentale sotto l’egemonia della destra. Per evitare che ciò accada in futuro, è urgente districare la confusione concettuale che regna tra gli attori progressisti. Perché l’antifascismo ora necessario non è divisibile (#unteilbar)[1]. Soprattutto se si vuole che esso sopravviva all'”appuntamento con la globalizzazione”. Se non ci riuscirà, la destra continuerà a vincere.
—
[1] Dal sito unteilbar.org: “#unteilbar significa che le nostre lotte non sono divisibili; e ciò vale anche globalmente. Noi non permettiamo che lo Stato sociale, la fuga e la migrazione vengano giocate gli uni contro gli altri: per la solidarietà contro l’esclusione”.