sabato , 21 Dicembre 2024

Mobilitazione in Russia: una prospettiva di sinistra

Traduciamo l’intervista al gruppo russo contro la guerra Nevoina (No alla guerra) pubblicata su Lefteast. L’intervista è stata condotta da una compagna dell’Assemblea permanente contro la guerra che ha partecipato all’ultimo meeting del Transnational Social Strike, coorganizzato con il collettivo LevFem, che si è tenuto a Sofia dall’8 all’11 settembre.

Dalle parole di Nevoina emerge come, in un clima già segnato da repressione e instabilità economica, la mobilitazione parziale in Russia abbia provocato un peggioramento delle condizioni materiali della popolazione. Mentre decine di migliaia di uomini – soprattutto delle classi più basse – sono obbligati a scegliere se provare a scappare, andare al fronte o rifiutare la coscrizione e rischiare la prigione, le donne devono invece farsi carico dell’aumento del lavoro riproduttivo mentre, da brave madri eroine, sono chiamate a mettere al mondo figli pronti a morire per la patria. Tuttavia, dall’inizio della mobilitazione parziale, una visibile e ‘silenziosa’ resistenza sta incrinando la legittimità del regime autoritario di Putin. Il rifiuto della guerra si vede nel sabotaggio collettivo e individuale del reclutamento, nel ‘voto con i piedi’ praticato da più di un milione di persone già fuggite dalla Russia, nelle testimonianze sui social dei mobilitati, nelle lotte delle donne che per prime si sono opposte alla guerra e alle rigide gerarchie sessuali che essa impone. Questo rifiuto della terza guerra mondiale apre degli spazi di possibilità per la costruzione di una politica transnazionale di pace che metta in connessione chi subisce e rifiuta la guerra in Russia, in Ucraina e altrove.

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Lefteast: Il 21 settembre Putin ha annunciato una mobilitazione “parziale”. Che cosa significa? Quanto è parziale?

Nessuno lo sa. Le autorità usano artifici retorici per nascondere ai russi la dura realtà. Il ministro della Difesa Shoigu ha detto che le autorità mobiliteranno “solo trecentomila persone”, cioè meno dell’1% della riserva di mobilitazione. I blogger filogovernativi hanno subito paragonato le persone a delle caramelle gommose: dicono che una caramella è poca cosa rispetto all’intero pacchetto.

Citando fonti vicine al governo, i giornalisti dell’opposizione hanno pubblicato informazioni secondo cui i piani di mobilitazione reali sono molto più grandi: 1 milione di persone, forse persino 1,2 milioni. In alcune regioni è già iniziata la seconda ondata di mobilitazione. È impossibile valutare con precisione i piani delle autorità militari, ma tutti conoscono qualcuno tra i 20 e i 50 anni che è stato convocato all’ufficio di registrazione e arruolamento militare (anche se questo non sempre significa arruolamento garantito). Al di là dei numeri, sui social networks ci sono sempre più testimonianze di uomini al fronte costretti a vivere nei campi, a dormire per terra e a scavare trincee perché non c’è abbastanza spazio. Questo dimostra che la portata della mobilitazione supera la capacità logistica delle autorità militari.

LE: C’è resistenza alla mobilitazione? C’è sostegno da parte della popolazione?

Secondo dati recenti, circa la metà degli intervistati (51-54%) approva la mobilitazione [metodo di campionamento casuale dei numeri telefonici (RDD), il campione è stratificato per distretti federali: Mosca e la regione di Mosca, San Pietroburgo e la regione di Leningrado]. Il 73% di loro è sicuro di non subire conseguenze.

Tuttavia, tra coloro che hanno maggiori probabilità di essere mobilitati, uomini di 18-29 anni e 30-39 anni, rispettivamente il 78% e il 69% sostiene di non essere pronto a partecipare all'”operazione speciale” o ha avuto difficoltà/si è rifiutato di rispondere alla domanda.

C’è una resistenza radicale, non molto estesa, ma visibile – ogni giorno arrivano notizie che riportano incendi agli uffici di reclutamento militare. Esiste una resistenza pubblica non violenta: picchetti solitari contro la mobilitazione e la guerra. Sappiamo di azioni collettive in regioni etnicamente non russe come il Daghestan, in cui sono coinvolte soprattutto le donne. C’è il “voto con i piedi”: dopo l’annuncio della mobilitazione, circa un milione di persone ha lasciato il Paese. Si tratta di una cifra da prendere sul serio, visto che stiamo parlando del nucleo della popolazione più giovane e attiva. Ma la resistenza avviene soprattutto in maniera silenziosa. Molte persone non aprono le porte agli ufficiali di polizia e di registrazione militare; molte non vivono dove risultano residenti e si trasferiscono persino in altre città. Recentemente si è verificato un caso particolare: in un villaggio del Nord non è stato possibile mobilitare nessuno. Tutti gli abitanti erano andati nella foresta a raccogliere mirtilli. Alcune regioni, come l’Altay, non hanno ancora inviato una sola persona al fronte. Ciò è dovuto al successo del sabotaggio e alla mancanza di forze per la mobilitazione da parte dello Stato. Secondo alcune fonti, il sabotaggio a volte parte dalle autorità locali – si prevede una grande ridistribuzione di potere e di proprietà e le autorità vogliono tenere a casa persone pronte a combattere, invece di mandarle a morire in Ucraina.

In ogni caso, il rovescio della medaglia della famosa dipendenza dallo Stato, che si pensa sia peculiare dei russi, è la buona vecchia abilità di sabotare lo Stato se questo si mostra particolarmente attivo nell’invadere la vita privata. Le dimensioni del Paese offrono buone opportunità in tal senso.

LE: Possiamo dire che alcune regioni/gruppi sono più soggetti alla mobilitazione? Si basa sull’etnia o piuttosto su fattori economici? Si è parlato di mobilitazione come pulizia etnica: sei d’accordo?

È difficile rispondere a questa domanda in modo univoco, perché le regioni etnicamente non russe tendono a essere le più povere e socialmente svantaggiate. È più probabile che i fattori sociali giochino un ruolo primario. Anche nelle regioni povere e agricole del Paese, popolate da russi, la mobilitazione è diffusa. In molte regioni, la popolazione è etnicamente mista e le agenzie di reclutamento non hanno la possibilità di segregare il gruppo etnico: la coscrizione è applicabile a tutti. D’altra parte, già prima della guerra alcuni intellettuali filo-regime ipotizzavano l’esistenza dei “nuovi cosacchi”, cioè una popolazione al servizio dei militari, il cui ruolo nell’impero russo era affidato alle minoranze nazionali. Ma questa dottrina non è mai stata formalizzata; non ha regolamenti, procedure, organi e budget propri. Un ruolo importante può essere svolto dai leader delle repubbliche nazionali, che dipendono totalmente da Mosca e da Putin in prima persona e che cercano di guadagnarsi il suo favore. Com’è ovvio, più una comunità è piccola, più ha da perdere dalla mobilitazione. Pulizia etnica potrebbe essere un termine troppo propagandistico e non particolarmente accurato, ma alcune minoranze etniche non russe sono sicuramente le più colpite dalla mobilitazione.

LE: Cosa promette lo Stato ai mobilitati? Se vengono pagati, ricevono qualche beneficio, possono avere un posto di lavoro riservato, devono pagare i prestiti, le loro famiglie ricevono un sostegno…?

Lo Stato promette ai mobilitati un salario relativamente alto, corrispondente a quello che era il salario dei militari a contratto e dei “volontari”. Si tratta di circa 200 mila rubli, tremila dollari e mezzo al mese, equivalente a dieci volte il salario medio delle regioni povere. Le leggi approvate negli ultimi quindici giorni prevedono che i mobilitati abbiano diritto a benefici sociali e che, in caso di morte, le loro famiglie ricevano ingenti somme di denaro, sussidi per l’istruzione e così via. Le autorità stanno anche promettendo di “riservare” posti di lavoro a coloro che sono stati mobilitati e al momento si sta discutendo di una deroga al pagamento dei debiti. Secondo alcuni funzionari i soldati dovrebbero rimborsare i debiti con i loro nuovi stipendi, mentre secondo altri dovrebbero essere sollevati dai pagamenti. Ma qui iniziano le complicazioni. Innanzitutto, come dice un proverbio russo, promettere non significa sposare. Le autorità spesso ingannano la popolazione. Negli ultimi sei mesi, ci sono stati migliaia di casi in cui i militari a contratto hanno ricevuto molto meno denaro del previsto. Ciò può dipendere dall’arbitrarietà dell’unità o del comandante dell’unità. I feriti stanno avendo difficoltà a ottenere i sussidi e, in caso di morte, le famiglie ricevono l’indennità solo se la morte è stata registrata dalle autorità. I dati sono secretati, ma migliaia di persone risultano “disperse”.

È importante tenere a mente che non più di un terzo dei russi ha un contratto formale di lavoro. Il resto sono lavoratori precari impiegati nei settori ‘ombra’ dell’economia o, se dipendenti di grandi aziende, i loro salari ufficiali sono 2, 3 o 10 volte inferiori a quelli reali. Per la maggior parte di loro, quindi, le garanzie statali sui posti di lavoro rappresentano una promessa vuota. Il secondo problema è la disuguaglianza regionale. La maggior parte dei salari e dei benefici sociali per i mobilitati viene erogata su base regionale. Pertanto, i soldati di Mosca, San Pietroburgo o della Cecenia – le regioni più ricche della Federazione Russa – riceveranno probabilmente molti più soldi di quelli della Buriazia, del Daghestan, di Tuva o di Krasnodar. Nonostante queste promesse, nel Paese c’è una massiccia renitenza alla leva. Sono poche le persone disposte a guadagnare dalla guerra, ad eccezione di pochissimi nazionalisti, il cui potenziale è già stato sfruttato nei mesi passati.

LE: Come influisce la mobilitazione sulle infrastrutture civili?

Per quanto riguarda l’economia, non siamo ancora al punto di collasso. In alcuni settori c’è carenza di personale e per colmare queste lacune si fa ricorso al lavoro migrante. Ci sono però fattori molto più potenti che minano l’economia russa. È molto più difficile sostenere l’economia che mandare un milione di persone in trincea. L’industria russa è debole e fortemente dipendente dalle importazioni. il regime oligarchico non è in grado di fornire le armi al fronte e nelle retrovie non arrivano i beni necessari. Nelle regioni russe confinanti con l’Ucraina i trasporti sono già congestionati, ma finora non ci sono segni di collasso. La questione è capire fino a che punto l’apparato militare-amministrativo riuscirà a far fronte a tutte le necessità della mobilitazione. Finora, il numero di fallimenti è notevole: gli uomini mobilitati non hanno locali, armi, uniformi, trasporti, medicine, nessuno li addestra e non c’è coesione. Le prescrizioni arrivano in modo caotico. Vengono ricevute da persone con disabilità, anziani e da chi ha molti figli. Questa situazione caotica indica il sovraccarico dell’apparato militare. Problemi simili si verificano nel sistema giudiziario e anche nell’apparato repressivo.

LE: Come cambia la posizione delle donne? Anche le donne sono mobilitate, ad esempio i medici e il personale sanitario?

Come in ogni guerra, per le donne c’è un’enorme quantità di lavoro ulteriore per la gestione della casa, dei figli e la cura dei parenti anziani. Ci sono esempi di donne arruolate, ma sono un’eccezione. L’esercito russo rimane prevalentemente maschile. Si può ipotizzare che il mercato del lavoro si stia femminilizzando. Questo, a lungo andare, minerà la morale sessuale e di genere conservatrice del regime di Putin. Ma questa è una prospettiva troppo lontana ed è solo uno dei tanti fattori che influenzano la situazione. Secondo la maggior parte delle indagini sociologiche, le donne sono più propense ad opporsi alla guerra rispetto a quanto lo fossero gli uomini prima dell’avvio della mobilitazione. La maggior parte delle proteste contro la mobilitazione sono state guidate dalle donne, anche in regioni islamiche come la Cecenia e il Daghestan.

LE: Quali sono le altre conseguenze della mobilitazione?

La situazione è senza precedenti ed è difficile fare previsioni. Ma l’effetto principale è il “risveglio” delle classi sociali più basse. L’intera costruzione del regime di Putin è stata edificata sulla totale alienazione di questa maggioranza dalla realtà politica. Il voto a Putin e il lealismo superficiale erano solo una forma di accettazione di queste regole del gioco. Tuttavia, ogni volta che le autorità interferiscono con la realtà materiale (ad esempio la riforma delle pensioni), scoppiano proteste di massa. La mobilitazione è stata un duro colpo a questo contratto sociale. La politica ha invaso la vita dell’‘uomo comune’ nel modo più brutale e traumatico. Sono in gioco la salute e la vita stessa di centinaia di migliaia di persone. E questo mina la credibilità e la validità delle fondamenta ideologiche del regime di Putin, costruito su promesse di stabilità, sicurezza e pace.

LE: Tra gli e le attiviste contro la guerra, si discute se le persone idonee alla leva debbano lasciare il Paese o resistere alla leva?

Gli uomini che partono sono quelli che rischiano di più la coscrizione e al contempo hanno le risorse necessarie per andare all’estero. Il compito principale di chi resta è di evitare il fronte, ma anche il carcere, da cui non sarà facile uscire anche quando il regime inizierà a collassare. Chi è all’estero ed è al sicuro dovrebbe cercare di raggiungere attraverso i media il maggior numero possibile di persone che vivono in Russia, ed essere pronto a tornare non appena la possibilità di influenzare gli eventi dall’interno sarà maggiore del rischio di essere repressi.

LE: C’è speranza ora? Cosa pensi che la sinistra possa fare ora in Russia?

È proprio in questo momento che c’è speranza. È ovvio che il regime russo è in trappola, che la Russia sta diventando un anello debole del capitalismo globale, come lo era cento anni fa. È evidente che la sinistra e le forze democratiche hanno la possibilità di mettere fine al progetto neoliberista in Russia e di influenzare così i processi globali. Non importa se la probabilità di un risultato così ottimistico è del 5% o del 50%. Importa solo che questa possibilità esiste e che dobbiamo fare tutto il possibile per sfruttarla. Cosa può fare la sinistra in Russia? Rafforzare sé stessa e i propri legami sociali. Chi non può partecipare all’attività clandestina contro la guerra dovrebbe impegnarsi, dove possibile, nelle questioni politiche non direttamente collegate alla guerra. Ad esempio, nel sostegno ai rifugiati, nell’attivismo ambientale, nelle lotte per i diritti dei lavoratori, per i diritti umani o nel supporto ai prigionieri politici. Un problema enorme è che dall’inizio della guerra è diventato più difficile per gli attivisti agire, non solo a causa dell’aumento della repressione, ma anche a causa della differenza di opinioni. Vale la pena dimostrare che le persone che non sostengono la mania militarista stanno ancora lottando per gli interessi del 99% dei russi – ecologia, diritti umani, diritti del lavoro… Qualunque cosa possa dividerci oggi, per quanto molti dei nostri compatrioti possano essere fuorviati oggi, domani potremmo ritrovarci nella stessa situazione. Tutti tranne i funzionari di Putin, i criminali di guerra e i propagandisti. Il compito della sinistra è fare in modo che questo campo sia unito dai nostri valori e dal nostro programma: uguaglianza sociale, libertà politiche, democrazia a tutti i livelli della società – dalla fabbrica al parlamento, alle autonomie locali, all’internazionalismo.

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