Dichiarazione dell’Assemblea permanente contro la guerra dopo il meeting di Sofia
Più di 120 persone provenienti da tutta Europa e dall’Asia centrale si sono riunite il 10 settembre nel contesto del meeting transnazionale a Sofia per il primo incontro in presenza dell’Assemblea permanente contro la guerra (PAAW). La PAAW ha deciso di continuare a cercare la più ampia convergenza possibile per una politica transnazionale di pace attraverso altri incontri online e una nuova assemblea transnazionale in presenza che si terrà il prossimo inverno. Nel frattempo, sosterremo e daremo visibilità a tutte le lotte e le azioni che si stanno svolgendo contro la guerra e contro le sue conseguenze mortali. Oltre a riportare ciò che l’Assemblea ha discusso, con questa dichiarazione la PAAW ritiene necessario evidenziare gli ultimi sviluppi della guerra e la necessità di intensificare la lotta contro di essi.
L’assemblea si è aperta con interventi da Paesi che sono o sono stati direttamente colpiti dalla guerra – Feminist Anti-War Resistance in Russia, attivisti e attiviste dall’Ucraina, dal Kurdistan e dalla Georgia. Partire dalla situazione di quei Paesi ci ha permesso di cogliere il processo di ristrutturazione delle relazioni globali continuo e letale che cerca di annullare qualsiasi alternativa politica allo status quo. La PAAW ha riconosciuto fin dall’inizio che la guerra in Ucraina è estremamente divisiva, cercando di imporre ovunque un’alternativa tra atlantismo e filo-putinismo, paventando un presunto scontro di civiltà tra Est e Ovest, e affermando un discorso razzista e coloniale onnicomprensivo. La PAAW ha riconosciuto la necessità di costruire un movimento di massa transnazionale contro la guerra che superi e vada oltre queste divisioni. La discussione a Sofia e questa dichiarazione confermano l’importanza della PAAW come spazio in cui discutere apertamente della guerra e costruire una politica transnazionale di pace che riconquisti la possibilità di lottare per un futuro senza sfruttamento e oppressione.
I segnali di quella che abbiamo chiamato la Terza Guerra Mondiale stanno emergendo in modo sempre più terribile. Abbiamo assistito a un’escalation di tensioni militari in Asia centrale, nelle zone di confine tra Kirghizistan e Tagikistan e anche tra Azerbaigian e Armenia. La smobilitazione russa ha fatto sì che le tensioni tra i gruppi nazionalisti e religiosi nella zona esplodessero, causando ulteriore violenza e morte. Queste regioni sono già in ginocchio per gli effetti delle sanzioni che hanno colpito duramente non solo i patrimoni degli oligarchi, ma anche le rimesse dei migranti che permettono il sostentamento di milioni di famiglie. Sfruttando la lotta per l’egemonia in corso e approfittando della sua nuova centralità nel conflitto internazionale, il regime di Erdogan cerca di espandere il suo potere e di spezzare la rivoluzione in Kurdistan con una guerra a bassa intensità in Siria nordorientale e l’uso di armi chimiche sulle montagne. Secondo l’UE, in Ucraina si sta combattendo una “guerra per l’Europa”, una posizione chiaramente propagandistica che viene utilizzata per ignorare o giustificare il livello di violenza e miseria che l’aggressione di Putin e la reazione occidentale producono ben oltre i confini europei.
Mentre in Ucraina è in corso un’enorme crisi umanitaria, che rischia di aggravarsi con l’inverno alle porte, con milioni di sfollati bisognosi di aiuti che non arriveranno, la Russia minaccia di usare armi nucleari e i suoi avversari assicurano che ripagheranno con la stessa moneta. Un destino incombente che mira a impedire qualsiasi possibilità di intervenire nel presente rivendicando qualcosa di più della semplice sopravvivenza. Tuttavia, dopo l’annuncio di Putin della mobilitazione parziale di circa 300.000 uomini, quasi altrettante persone hanno lasciato la Russia, mentre in decine di città russe sono sorte proteste guidate da donne e seguite da migliaia di arresti.
Alcuni Stati europei stanno imponendo restrizioni più severe alla mobilità dei cittadini russi che attraversano i loro confini. Inizialmente, lo scopo dichiarato era quello di danneggiare ulteriormente la Federazione Russa, favorendo i sentimenti antiregime al suo interno. Ma dopo che Putin ha annunciato la mobilitazione parziale, l’UE ha dichiarato che fuggire dalla mobilitazione non equivale a rifiutare la guerra e che l’UE deve occuparsi innanzitutto della propria sicurezza, limitando il diritto di asilo come è solita fare. Gli stessi Paesi europei che hanno mostrato un atteggiamento benevolo e paterno accogliendo le donne e i bambini provenienti dall’Ucraina – donne che ora sono lasciate al destino che prima o poi spetta a tutte le donne migranti, cioè razzismo istituzionale e lavori mal pagati e sfruttati in settori essenziali – ora sono brutali nei confronti degli uomini che si rifiutano di compiere il loro dovere naturale di morire per il proprio Paese.
Vediamo un chiaro collegamento tra questo atteggiamento delle élite europee e la guerra patriarcale di Putin, che condanna gli uomini a combattere e morire, valorizza le “madri eroine” e fa campagne contro l’aborto con cartelloni di feti e bambini-soldato che dicono: “Proteggimi oggi, così posso proteggerti domani”. Le donne sono le procreatrici di soldati; i bambini sono i soldati del futuro. Vediamo una linea rossa tra la politica patriarcale di Erdogan contro la libertà sessuale e la volontà di mettere a tacere la resistenza curda e il suo progetto democratico femminista. Una linea patriarcale e patriottica che attraversa i fronti della guerra.
I prezzi dell’energia stanno salendo alle stelle in tutta Europa a causa dell’instabilità globale e della speculazione finanziaria aggravata dalla guerra. Questo colpisce in modo particolare i lavoratori e le lavoratrici e gli uomini e le donne migranti già impoveriti da anni di precarietà e di tagli alla spesa pubblica. Nel cuore dell’Europa, i governi sono apparsi avvolti nelle loro rispettive bandiere nazionali, per attuare ulteriori attacchi feroci contro i lavoratori, le donne, i migranti e le persone LGBTQ+. Nelle ultime settimane sono stati eletti nuovi governi conservatori, come quello svedese e italiano, che si vanno ad aggiungere a quello ungherese e polacco. Nel Regno Unito, la cricca che ruota attorno alla neonominata premier britannica Liz Truss sta preparando un assalto ai sussidi statali e ai servizi pubblici, mentre cerca di garantire che i salari siano distrutti dall’inflazione.
I politici britannici hanno ripetuto più volte che gli aumenti spropositati delle bollette energetiche e dei costi sono dovuti alla guerra in Ucraina. Dopo anni di austerità, i lavoratori stanno resistendo nei luoghi di lavoro e nelle comunità con una nuova ondata di scioperi per cercare di difendere i salari, e cresce il sostegno a campagne dal basso come “Enough is Enough” e “Don’t Pay”. Gli scioperi si stanno diffondendo in tutta Europa e aumenteranno durante l’inverno, a dimostrazione del rifiuto di massa di vedere il proprio salario ridotto dall’inflazione.
Rifiutiamo la logica della guerra e le divisioni nazionali e religiose che essa impone. Siamo al fianco di coloro che si difendono e di tutti coloro che rifiutano la coscrizione e decidono di non obbedire e di non morire per il proprio Paese. Siamo al fianco di tutti coloro che si rifiutano di pagare il prezzo della guerra con il proprio salario. Rivendichiamo confini aperti e libertà di movimento per tutti.
Gli stessi eventi che prima sembravano scollegati e parte di tensioni locali isolate, ci appaiono ora come tessere dello stesso conflitto mondiale e per la ristrutturazione dell’ordine globale. Abbiamo il compito di riunire questi frammenti. Rafforzeremo i legami transnazionali per districarci nella confusione mortale che abbiamo davanti, dal Kirghizistan al Regno Unito, dalla Siria del Nord alla Bulgaria, dalla Svezia all’Italia e alla Grecia.
I confini sono usati dagli Stati nazionali e dalle loro alleanze per imprigionarci e garantire che l’unica possibilità di muoverci sia a nostro estremo rischio e pericolo, a meno che non faccia comodo ai padroni. Ora ci chiedono sempre di più di dare la vita per difendere o ridisegnare quei confini. Abbiamo bisogno di una politica transnazionale di pace che rifiuti questo comando.
Stiamo assistendo a ondate di scioperi e manifestazioni di massa che si oppongono all’accatto alle condizioni di vita della classe operaia per pagare l’aumento della militarizzazione e per sostenere i profitti. Il rifiuto della minaccia nucleare; il rifiuto di obbedire e morire; il rifiuto di essere madri eroine di qualcuno destinato a uccidere o morire al fronte; il rifiuto di essere picchiate e violentate; il rifiuto di pagare il prezzo della guerra e dei suoi effetti collaterali: tutto questo può diventare un potente sciopero transnazionale contro la politica di guerra attuale.