di PERMAMENT ASSEMBLY AGAINST THE WAR
Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e dell’escalation dello scontro tra blocchi capitalistici opposti che ne è seguita, stiamo assistendo ad una competizione tra gli stati per migliorare la loro posizione geopolitica all’interno del quadro della Terza Guerra Mondiale. La Grecia e la Turchia stanno partecipando a questa guerra, entrambe perseguendo la propria strategia e con azioni che sono considerate le più vantaggiose per gli “interessi nazionali”. La Grecia è pienamente schierata con la NATO e invia armi all’Ucraina. La Turchia – il secondo esercito più grande della NATO – inizialmente ha assunto una posizione più “neutrale” cercando di mediare tra Russia e Occidente, per poi passare definitivamente dalla parte dell’Occidente per poter soddisfare i propri interessi.
Entrambi gli Stati condividono storie di guerre sia all’interno che all’esterno dei loro confini nazionali: l’invasione della Siria e del nord Iraq e il governo militare della popolazione curda per la Turchia; la partecipazione ad operazioni militari in Medio Oriente, in Africa e nei Balcani per la Grecia. Inoltre, entrambi i paesi continuano a fronteggiare ostilmente i movimenti sociali e non smettono di fare la guerra ai migranti e alle migranti.
In questo contesto, è tornato alla ribalta il reciproco antagonismo dello stato greco e quello turco, una rivalità che dura da decenni e che più volte ha portato a scontri militari. Negli ultimi mesi lo spettacolo della guerra ha inondato i nostri schermi. Su entrambe le sponde dell’Egeo abbiamo sentito quotidianamente parlare di aerei greci o turchi volare oltre i propri confini nazionali verso quelli dell’altro paese (di fatto si è trattato di battaglie “virtuali” con il rischio che portassero a incidenti reali). Abbiamo sentito parlare del pericolo per l’integrità territoriale di ciascuno di questi paesi e dei diritti nazionali da difendere e naturalmente abbiamo sentito parlare anche dell’unità nazionale da provare di fronte al “nemico”. Sappiamo che nulla di tutto questo è vero. Che i veri punti alla base della tensione tra Grecia e Turchia sono i confini marittimi, lo spazio aereo, la ZEE e la demilitarizzazione delle isole dell’Egeo. In questa disputa, ciascuna delle parti ricorre alle proprie argomentazioni giuridiche per poter estrarre idrocarburi (cosa che ovviamente implica danni e disastri ambientali), ma soprattutto per mantenere il controllo delle tratte commerciali e dell’influenza che ne deriva. Questo dimostra che non è in gioco nessun “diritto” che le due parti difenderebbero, ma si tratta di una battaglia puramente militare, politica ed economica. Gli argomenti giuridici sono usati strumentalmente nel quadro della competizione capitalista tra i due Stati. Il problema non è infatti giuridico, ma politico, economico e sociale e la falsa retorica giuridica viene utilizzata per rafforzare i sentimenti nazionalisti.
Gli oppressi da entrambe le parti dell’Egeo stanno già pagando il prezzo della competizione tra Grecia e Turchia. L’aumento delle spese militari sta portando a una riduzione delle spese sociali e a un peggioramento del welfare. Nazionalismo e militarismo, oltre che contro i “nemici nazionali”, sono diretti anche contro i movimenti sociali e, tra l’altro, stanno già portando ad un aumento della violenza patriarcale e maschile. I migranti, trattati come una minaccia ibrida nelle mani dello Stato avversario, devono affrontare l’aumento delle violenze alle frontiere, fatto di respingimenti, omicidi e annegamenti. Infine, la militarizzazione di ogni aspetto della vita sociale fa sì che qualsiasi attività che ostacola i flussi di profitto e merci venga considerata una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Dopotutto, entrambi gli Stati si sono già apertamente schierati al fianco di gruppi fascisti (ad esempio durante la guerra contro i migranti a Evros nel marzo 2020) e non hanno esitato a trattare come traditori chiunque si opponesse a questa militarizzazione.
I migranti vengono usati come strumento politico in qualsiasi occasione con il benestare dell’Unione Europea. La Turchia li usa come strumento di ricatto, come si è visto nel recente accordo firmato tra Turchia, Svezia e Finlandia che ritira il veto alla loro adesione alla NATO, aprendo la strada alla deportazione dei richiedenti asilo curdi che vivono in questi Paesi e all’attacco alla Siria nord-orientale con l’autorizzazione dell’Occidente. Nel frattempo, in Grecia i richiedenti asilo subiscono i respingimenti violenti e illegali condotti dalla polizia e da altre forze militari.
Noi ci opponiamo alla guerra ai migranti portata avanti da Grecia e Turchia e alla retorica bellica che oppone i due Paesi e che avviene sotto la supervisione dell’Unione Europea che può così giustificare l’aumento delle spese militari e le conseguenze dirette che queste hanno sulla vita delle persone. Lo spettacolo della guerra viene usato per immobilizzarci e confonderci: per poter agire dobbiamo andare oltre il feticcio di questo spettacolo che mostra continuamente la minaccia di un potenziale disastro sui nostri schermi per allarmarci e portarci a ignorare la realtà della distruzione in corso intorno a noi. Per prevenire che l’antagonismo tra Grecia e Turchia sfoci in un conflitto militare tra i due stati, ora più che mai i movimenti sociali devono intensificare ulteriormente le loro azioni e le loro lotte. I movimenti sociali, i movimenti femministi e antirazzisti, i movimenti contro la guerra e quelli di lavoratori e lavoratrici devono unirsi e agire contro l’avanzamento della retorica della guerra e la ricaduta che questa ha sull’intensificazione della guerra contro le e i migranti, contro le donne e le persone LGBTQI+. Devono lottare contro la guerra e per una politica transnazionale di pace.