di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM*
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Dopo le interviste a Jeremy Brecher (Stati Uniti), a Ida Dominijanni (Italia), a Sasha della Feminist Anti-War Resistance (Russia), a Ranabir Samaddar (India), a Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya (Stati Uniti), oggi pubblichiamo un’intervista con Denis Pilash (Ucraina). Denis Pilash è un attivista e scienziato politico alla Kyiv National University. Fa parte del gruppo socialista Sotsyalnyi Rukh (Movimento Sociale) ed è membro del comitato editoriale della rivista “Commons”. Ha parlato con noi dall’Ucraina occidentale, dove è coinvolto nell’organizzazione di attività incentrate soprattutto sulla consegna di aiuti umanitari e sull’accoglienza di persone in fuga da altre regioni dell’Ucraina. Nell’intervista, realizzata prima del primo maggio e dell’iniziativa transnazionale Strike the War!, Denis discute il ruolo della resistenza popolare e lo spazio rimasto per una politica di base e per la lotta di classe in Ucraina dopo lo scoppio della guerra; la relazione tra la guerra e tematiche politiche come le migrazioni e i diritti dei lavoratori; l’importanza di rafforzare le connessioni transnazionali adottando una prospettiva globale. Sotsyalnyi Rukh collabora con i sindacati di base nell’organizzazione del convoglio di aiuti dei lavoratori internazionali che il primo maggio ha raggiunto l’Ucraina portando la solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori ucraini che si stanno organizzando.
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La guerra sta continuando da più di due mesi e ora i combattimenti si sono spostati, perlomeno temporaneamente, in alcune aree specifiche. Puoi raccontarci qual è la situazione dalla tua prospettiva di militante? Come sta cambiando la società ucraina, e che spazi sono ancora rimasi ai movimenti sociali per influenzare la situazione attuale?
Denis Pilash: Tutti qui sono stati colpiti dalla guerra. Milioni di vite sono state spezzate. Sono fuggite più di 10 milioni di persone: metà di loro sono rifugiati in altri paesi, metà sta cercando un rifugio relativamente sicuro in Ucraina. Le città più grandi, come Kyiv, Kharkiv, Lviv, Odessa, sono ancora bombardate di tanto in tanto, perciò ora come ora non posso affermare che esista un luogo sicuro. Per quanto riguarda i cambiamenti sociali, essi non riguardano solo chi ha scelto di combattere al fronte con le armi. Molte persone hanno continuato a lavorare e lavorano oltre il normale orario, rischiando la vita e facendo un incredibile lavoro umanitario in tutto il paese. Penso ai lavoratori e alle lavoratrici della cura, agli infermieri e alle infermiere, ai dottori e alle dottoresse, che continuano a lavorare nonostante le bombe. Anche i lavoratori delle ferrovie stanno dando un contributo eroico, aiutando le persone a spostarsi, e la lista potrebbe andare avanti. Trovi persone come queste, lavoratori comuni che danno il loro contributo non abbandonando il loro posto di lavoro, oppure agendo come volontari per aiutare gli altri in qualunque cosa di cui possano avere bisogno. Le autorità locali sono responsabili solo in parte dell’organizzazione dell’accoglienza dei rifugiati, la maggior parte degli sforzi è compiuta da persone normali che agiscono spontaneamente e che fanno quello che ritengono sia necessario: assisterli, aiutarli a raggiungere il confine, condividere i beni. Ci sono anche molti attivisti e attiviste che si stanno organizzando autonomamente in reti per offrire cibo, trovare una casa, distribuire medicine ecc. Quasi tutti noi siamo ora coinvolti in attività di questo tipo, anche attraverso il contatto con reti di solidarietà internazionali; abbiamo appena ricevuto il primo convoglio di aiuti dalla Bosnia, e altri ne stanno arrivando organizzati da compagni e sindacalisti da Francia, Svizzera, Gran Bretagna, Danimarca e Polonia. Un’ultima cosa che vorrei aggiungere è che in un simile contesto i diritti dei lavoratori sono sotto attacco, con il pretesto della guerra. Il nostro gruppo socialista, Sotsialnyi Rukh, sta organizzando un’iniziativa chiamata “Difesa del lavoro” per raccogliere esperienze e fornire assistenza legale ai lavoratori e alle lavoratrici i cui diritti sono stati violati, che non ricevono il loro salario o che sono stati licenziati. Pensiamo che questo sia importante anche alla luce delle recenti mosse neoliberali del parlamento ucraino, che sta spingendo per delle riforme orientate a liberalizzare il mercato del lavoro, il che non significa altro che ridurre le protezioni di lavoratori e lavoratrici e i diritti sindacali. Stiamo cercando di fermare questa legge, che finora non ha avuto il sostegno necessario per passare, ma questo significa che la lotta di classe non si ferma se c’è una guerra in atto.
Hai detto che i sindacati di base e i movimenti sociali sono i soli a opporsi al tentativo di far passare questa legge, che sappiamo essere parte di una onda lunga di liberalizzazioni del mercato del lavoro. Pensi che riuscirete a fermarla, anche grazie al ruolo cruciale che i movimenti di base stanno giocando proprio ora nell’assistenza delle persone?
Per quanto riguarda la vostra prima domanda, vorrei dire che il nostro successo è in gran parte dovuto a una coincidenza fortunata. In parte il ruolo dei movimenti di base è stato d’aiuto, ma principalmente la legge non è passata perché il parlamento in quel momento non era abbastanza compatto. In ogni caso, più riusciamo a organizzarci, maggiori sono le possibilità di fare pressione per un’agenda politica diversa e per fermare leggi come questa anche in futuro.
Questo ci porta al secondo punto che volevamo sollevare. Quanto avete affermato prima a proposito della lotta di classe è fondamentale, dal momento che noi abbiamo bisogno di pensare dentro la dinamica della guerra, ma andando oltre la sua logica, senza restarne intrappolati. La narrativa bellica tende a nascondere ogni genere di divisione all’interno della società. Come collegheresti la continuazione della lotta di classe con la situazione presente, e che spazio possono trovare le lotte sociali in Ucraina in questo momento?
Dovrei cominciare dal fatto che qui la resistenza è veramente popolare, e sta lasciando un’impronta di unità sociale. Chiunque viva in Ucraina adesso percepisce questa minaccia esistenziale per la propria vita, il che sta tenendo più vicine le persone, che si sostengono reciprocamente. Anche i gruppi più discriminati, come la comunità Rom, si organizzata volontariamente in unità di difesa territoriale. A questo livello, la società è unita. Nondimeno, in termini di composizione sociale gli interessi sono differenti. Alla vigilia della guerra, la maggioranza degli oligarchi ucraini ha abbandonato il paese, portando con sé quanto più denaro possibile. Le élite fuggono, lasciando la difesa dell’Ucraina alla gente comune. Non partecipano alla resistenza. Noi pensiamo che nel migliore scenario, la solidarietà che il movimento ha costruito dal basso può sopravvivere alla guerra e svolgere un ruolo efficace se riuscirà a riconsiderare la distribuzione del potere di classe. Dobbiamo organizzarci politicamente per creare una politica progressiva della classe operaia contro i partiti legati ai gruppi oligarchici.
Nelle maggiori città ucraine ci sono stati prima della guerra tentativi di organizzare diverse categorie di lavoratori, tra i quali riders, lavoratori della cura, ecc. Queste esperienze stanno continuando a produrre rivendicazioni, o si stanno spostando verso nuovi obiettivi? Ci sono lotte di classe in senso ‘classico’ anche durante la guerra?
Sì, ci sono state iniziative condotte da infermieri e infermiere, lavoratori e lavoratrici della cura, ma la maggior parte delle organizzazioni a causa della guerra si è orientata verso interventi di carattere umanitario. Tuttavia bisogna dire anche che questi interventi dal basso adesso sarebbero minacciati dagli attacchi dei padroni alle condizioni di lavoro. Adesso è molto pericoloso per questi lavoratori e lavoratrici dare l’impressione di voler danneggiare coloro che stanno sostenendo la resistenza. Non ci sono scioperi o manifestazioni di strada, anche perché le riunioni di massa sono pericolose, però il malcontento può essere comunicato per mezzo di altri canali, ad esempio con delle petizioni collettive. La situazione è molto pesante, e ora non abbiamo il tempo per fare altro oltre a quello che è necessario per sopravvivere; ma in questa esperienza si possono cogliere anche delle modalità per esprimere il malessere e contrastare gli attacchi ai lavoratori e alle lavoratrici.
Secondo te quanto è importante sviluppare connessioni transnazionali che vadano oltre il piano dell’urgenza di una solidarietà internazionale?
Vorrei partire da quello che stiamo già facendo in termini di solidarietà pratica. Assieme a dei compagni polacchi stiamo organizzando per alzare la voce contro le violazioni dei diritti dei rifugiati e delle rifugiate, affrontando dei problemi come quello degli affitti. Inoltre, che la questione dei diritti delle donne: l’invasione russa ha causato un numero impressionante di violenze sessuali contro le donne, molte ucraine sono state violentate. Queste donne ora vedono il loro diritto ad abortire negato in Polonia, a causa di una legislazione contraria all’aborto. Ecco, qui noi stiamo organizzando un coordinamento che mira ad aiutare le donne che cercano di raggiungere la Polonia. Sul piano politico, promuovere la cancellazione del debito ucraino sarebbe un ottimo esempio per altri paesi che come noi sono intrappolati all’interno del circolo infernale del debito; molti partiti europei di sinistra stanno sollevando questa questione nei loro parlamenti nazionali, anche in rapporto con altre istanze, ad esempio quella che riguarda la ricostruzione del paese. Saranno necessari enormi investimenti, e solitamente il capitale straniero approfitta di simili situazioni; noi avremo bisogno di più diritti per i lavoratori e di un progetto più orientato socialmente, da includere nel pacchetto delle politiche che verranno messe in atto per la ricostruzione dell’Ucraina. Inoltre c’è il problema più generale di come fermare questa guerra, così come molte altre. Per questo ci chiediamo chi sta alimentando questa macchina di guerra? Se si va alla radice della macchina capitalistica si può osservare che le azioni dell’espansionismo bellico sono all’ordine del giorno, per questo abbiamo bisogno di un’alternativa eco-socialista che metta fine al capitalismo dei carburanti fossili e ai regimi autoritari che continuano a condurre la guerra in altri paesi, anche con il sostegno dei grandi capitalisti occidentali. Mi sembra che le due minacce che l’umanità sta affrontando si tengano assieme: l’estinzione per una guerra nucleare o per un disastro ecologico.
Tu hai partecipato all’incontro dell’Assemblea Permanente contro la Guerra promossa dalla piattaforma del Transnational Social Strike. Come sai, noi abbiamo incentivato un ragionamento collettivo su quello che può significare oggi una politica transnazionale di pace. Questo ha significato parlare ai movimenti sociali, non agli Stati, agli eserciti o alle diplomazie. Quando abbiamo fatto questa proposta, volevamo distinguerci dal discorso del pacifismo puro e semplice, per guardare alle diverse lotte di cui abbiamo parlato anche in questa intervista. Tu hai fatto menzione del problema del debito, della questione del patriarcato, dei diritti dei lavoratori, della crisi climatica; tutte questioni che non sono specifiche di questa guerra, che però le ha esacerbate. La guerra stessa non è un evento isolato. Ritieni che un appello a una politica transnazionale di pace possa essere utile in un momento come questo? E pensi che queste connessioni transnazionali possano servire anche a superare i discorsi nazionalisti che oggi trovano legittimità a partire dall’invasione e dalla necessità di resistere?
I grandi poteri stanno cercando di dividere nuovamente il mondo in sfere di influenza; all’interno di questo sistema si perdono la soggettività e la capacità di agire. Gli individui sono considerati come oggetti, il che pone nelle medesime condizioni gli Ucraini presi di mira dai Russi e i Palestinesi colpiti da Israele, così come le popolazioni dell’America latina assoggettate all’influenza e agli interventi degli Usa. Penso che i popoli dovrebbero sempre disporre del diritto all’autodeterminazione e alla resistenza nei confronti delle aggressioni imperialistiche. So che l’aiuto militare all’Ucraina pone una questione controversa e divisiva, e tuttavia adesso le armi sono fondamentali per la sopravvivenza del popolo che resiste. Abbiamo visto esecuzioni di massa condotte dai Russi: fermare la resistenza non significa fermare la guerra, ma solo preparare la strada per un regime dittatoriale in Ucraina. I cittadini sono oppressi e soggetti a un regime di terrore: per poter condurre dei negoziati giusti e impedire alla Russia di appropriarsi di grandi porzioni dell’Ucraina abbiamo bisogno di disporre di un qualche potere. Sfortunatamente, questo potere dipende anche dalla resistenza militare che conduciamo oggi. Ai compagni e alle compagne che pensano che sia sbagliato sostenere la resistenza militare ucraina vorrei chiedere di pensare che cosa farebbero loro in questa situazione. In una simile situazione, è controproducente impedire l’aiuto militare al popolo ucraino. Ma vorrei anche che loro considerassero che se è contrario ai loro principi sostenere la resistenza armata, possono comunque offrire altre forme di aiuto, ad esempio nei confronti dei rifugiati e delle rifugiate, ma anche promuovendo iniziative politiche. Tutti i temi menzionati sono temi globali: giustizia climatica, diritti delle donne e dei migranti, per sostenere i quali abbiamo bisogno di superare i confini nazionali e agire sul piano transnazionale. La guerra in Ucraina è parte di una catena di guerre imperialiste e nazionaliste. Ogni guerra accresce inevitabilmente sentimenti nazionalisti, come è sempre avvenuto. Per questo è davvero importante che noi riusciamo a mostrare che la solidarietà internazionale esiste, e anche che la nostra sofferenza attuale è collegata alla sofferenza di altri popoli nel mondo. Milioni di rifugiati sono alla disperata ricerca di accoglienza, e questo ci ricorda dei rifugiati che in questi anni provengono dalla Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia, Sudan ecc., che hanno subito discriminazioni e ostacoli. Questo deve insegnarci a trattare le persone in maniera umana e a combattere ogni genere di discriminazione. Noi vorremmo non solo cambiare il modo di pensare in riferimento all’Ucraina, ma anche porre in evidenza la situazione di altri popoli oppressi, per questo c’è bisogno di connettersi con il contesto globale, in particolare con i popoli che, come noi, subiscono ingiustizie e diseguaglianze. Il che significa avanzare istanze in grado di sostenere una visione più egualitaria del mondo.
L’Assemblea Permanente Contro la Guerra ha pubblicato un appello “to strike the war” durante il primo maggio, a favore di una politica transnazionale di pace. Avete in programma qualche iniziativa per quel giorno, e pensate che il primo maggio possa rafforzare la comunicazione tra i movimenti attraverso i confini?
Vogliamo organizzare un evento a Lviv il primo di maggio, forse anche in altre città. Vogliamo celebrare la solidarietà tra lavoratori e lavoratrici e invitare ospiti internazionali; è previsto che quel giorno arrivi un convoglio di solidarietà internazionale. Penso che sia importante restare connessi e incrementare i contatti e la comunicazione.
* Subito dopo l’invasione dell’Ucraina, la Transnational Social Strike Platform ha pubblicato una presa di posizione intitolata No alla guerra. Per una politica transnazionale di pace, che ha avuto un’ampia diffusione in Europa, da Est a Ovest, negli Stati Uniti e in America Latina e ha portato alla creazione dell’Assemblea Permanente Contro la Guerra: uno spazio transnazionale di discussione e organizzazione non solo per opporsi alla guerra, ma per praticare una politica che si schieri dalla parte di chi è colpito dalla guerra in Ucraina, di chi si oppone alla guerra in Russia, e di tutti e tutte coloro che lottano per non essere uccise, sfruttate e oppresse e che subiranno le conseguenze della guerra sulle loro condizioni di vita e lavoro. Per sostenere e dare visibilità a questo processo di organizzazione e comunicazione, la Transnational Social Strike Platform ha aperto un dibattito a più voci su quali aspettative suscita la prospettiva di una politica transnazionale di pace, quali possono o devono essere i suoi contenuti, quali sono gli ostacoli alla sua realizzazione e i progetti di connessioni e azioni che la rendono possibile. Il risultato è una prima serie di interviste a studiosi e studiose, compagne e compagni che negli ultimi anni hanno contribuito al dibattito del movimento su temi, discorsi e pratiche che una politica di pace transnazionale non può ignorare.