di ISHITA DEY
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Pubblichiamo un breve contributo sulla situazione nell’India sconvolta dalla pandemia, scritto per ∫connessioni precarie da Ishita Dey, assistant professor al Dipartimento di Sociologia della South Asian University a New Delhi. Il governo centrale del nazionalista hindu e integralista del mercato Narendra Modi ha affrontato la ‘prima ondata’ della pandemia imponendo nel giro poche ore un lockdown totale senza alcuna preparazione, spingendo milioni di lavoratori migranti ad attraversare il paese. Con i dati ufficiali che segnalavano un numero di contagi piuttosto basso, il governo ha poi dichiarato finita la pandemia. Nel frattempo, sono stati autorizzati eventi di massa, soprattutto a carattere religioso. Il governo, che aveva criminalizzato eventi religiosi promossi dai musulmani in India, ha poi favorito e appoggiato grandi eventi di massa, come il Kimbh Mela che si è svolto in aprile, dove centinaia di migliaia di persone si sono ritrovate senza alcuna forma di precauzione. Il chiaro intento del governo era non solo pretendere di aver sconfitto la pandemia, ma di favorire i gruppi hindu per alimentare il supporto nazionalista al governo sostenuto dal partito BJP. In questo clima, si sono svolte elezioni statali in diversi Stati, con grandi comizi e manifestazioni. In un periodo di poche settimane, il numero dei contagi e dei morti ufficiali è cresciuto esponenzialmente fino a fare dell’India l’epicentro mondiale della pandemia, con migliaia di morti ogni giorno. Ma anche questi numeri sono lontani dal descrivere la realtà. Lontano dai dati e dai riflettori, i numeri reali sono del tutto fuori controllo e secondo alcuni calcoli superano di oltre dieci volte quelli ufficiali. In particolare, l’India rurale è nelle morse di un’epidemia senza controllo e senza alcuna efficace struttura sanitaria. I forni crematori a cielo aperto lavorano senza sosta da settimane e, lungo le rive dei fiumi, in particolare le rive del Gange, sono ormai sorte migliaia di tumulazioni improvvisate dove sono stati sepolti i corpi che non trovano posto nei crematori. Mentre si compie questa tragedia di proporzioni immani, il governo ‘business friendly’ di Modi continua a proporre l’immagine di un’India in piena crescita economica e a promuovere mega progetti di sviluppo infrastrutturale e urbanistico. Ma, mentre continua la mobilitazione dei contadini che da mesi protestano contro la riforma agraria, il voto non è stato favorevole al partito di governo. In diversi stati hanno vinto le forze che si oppongono al BJP e al discorso nazionalista. Nel caso del Bengala Occidentale, su cui Modi puntava per segnare, se non una vittoria, un’importante avanzata simbolica, la crescita del BJP ha subito un brusco arresto portando a una sconfitta bruciante. Il testo di Ishita ragiona in questo senso sull’intreccio tra una situazione pandemica che stordisce il paese e un senso di ‘attesa’ dietro il quale crescono l’insoddisfazione e i semi di rifiuto per le politiche dell’attuale governo.
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Il suono degli uccelli, i richiami occasionali dei venditori di verdura e di frutta e le sirene delle ambulanze hanno preso il sopravvento su una città che ho reso la mia casa decenni fa. Dopo essere risultata positiva al test per il Covid-19 nel novembre 2020, mi sono sentita curata dallo Stato (in questo caso il governo statale di Delhi). Due volontari civici hanno visitato il mio appartamento in affitto per controllare se avevo spazio sufficiente per l’isolamento domestico. Mi hanno dato un modulo, che doveva essere firmato da me e dal mio tutore/custode (in questo caso il mio padrone di casa), in cui dichiaravamo che avrei rispettato le regole dell’isolamento domestico. È arrivata una chiamata dal centro di monitoraggio per chiedermi se avevo medicine, termometro e ossimetro. Ho anche ricevuto una chiamata che mi chiedeva dettagli sulla persona con cui ero entrata in contatto per l’ultima volta. Ogni giorno un rappresentante del governo o di un’agenzia in appalto chiamava per controllare i miei livelli di saturazione di ossigeno, la temperatura e il flusso di urina. Il medico del centro sanitario locale mi chiamava ogni tre giorni. Un operatore sanitario locale mi chiamava per controllare se avevo bisogno di cibo. Tutto questo, mi è stato detto, faceva parte del protocollo del governo. Dopo aver completato il mio isolamento, quando ho chiamato una linea di assistenza, sono stata indirizzata al centro sanitario locale per ritirare il mio certificato di dimissione. Così, sono andata al centro sanitario locale per ritirare il mio certificato di dimissione.
Secondo i dati del governo, il 10 novembre 2020 Delhi ha registrato 7830 casi su 59.035 test effettuati. A maggio 2021, la storia è diversa. Non voglio annoiarvi con i numeri perché le cose continuano a cambiare ogni minuto, ma voglio ricordare che il 22 aprile 2021 un membro dell’Assemblea Legislativa dello Stato di Delhi ha twittato dal suo letto d’ospedale dicendo che mancava l’ossigeno, esortando lo stato dell’Haryana e Delhi a fare in modo che la gente non muoia per mancanza di ossigeno. Mentre sento un’amica per sapere se sua zia ha trovato un letto d’ospedale, lei risponde: «ieri è stata cremata». Ho paura di chiamare le persone e che non mi rispondano. E sono completamente d’accordo con la collega antropologa Atreyee Majumder, che ha scritto che «il lutto è un’emozione sacra» ed è importante separare la paura dal lutto. Ho la sensazione che siamo lasciati in uno stato permanente di ‘attesa’: in attesa di letti, in attesa di forniture di ossigeno, in attesa di strutture di assistenza d’urgenza, in attesa della prima o seconda dose di vaccinazione, in attesa di ‘pista’ che possa salvare la vita di nostro prossimo.
So che è importante capire il chi e il come della situazione e comprendo la necessità di un’analisi approfondita della governance. Ma è tempo di fermarsi e fare un bilancio di come la prima ondata abbia reso evidente la sfiducia nel marzo 2020 e di come l’India sia riuscita a celebrare la ‘democrazia’ organizzando le elezioni in cinque Stati senza misure di distanziamento sociale, o abbia lasciato i contadini in protesta ad attendere ai margini del confine statale di Delhi. I prigionieri nelle carceri hanno dovuto appellarsi ai tribunali per ottenere un tampone, mentre venivano autorizzati i raduni per le feste religiose, i matrimoni e altri eventi pubblici (tra cui conferenze, seminari e partite di cricket) e si sperimentavano l’apertura delle scuole e il ritorno alla ‘normalità’.
All’inizio di quest’anno (nel gennaio 2021), mentre curavo un numero speciale di una rivista sulle esperienze dell’Asia meridionale di COVID 19 avevo sostenuto che la pandemia ha cambiato la natura del sociale in termini di ‘fiducia’. Le immagini raccapriccianti dei migranti che scendevano in strada per tornare ‘a casa’ nella prima fase del lockdown mostravano semi di sfiducia. L’infrastruttura sanitaria pubblica statale è fatta di decine di medici, infermieri, assistenti di reparto, operatori sanitari, e ogni professionista collegato agli ospedali si affanna per salvare una vita, a parte gli operatori sanitari di comunità noti come ASHAs, che continuano a fare buon viso a cattivo gioco. Le farmacie locali hanno giocato un ruolo importante in questo fragile sistema sanitario. Oggi, nella cosiddetta seconda ondata, le immagini delle pire all’aperto nei forni crematori e dei parcheggi convertiti in forni crematori rivelano cosa significhi essere in uno stato di attesa – specialmente per i lavoratori dei forni crematori che stanno lottando con il «crescente numero di cadaveri», come segnala Mihir Pandey. I lavoratori del crematorio, ci ricorda Pandey, non sono vaccinati, non sono assicurati e tanto meno hanno degli adeguati dispositivi di protezione per lavorare in sicurezza, fatta eccezione per una mascherina. Il lavoratore che Pandey intervista non vuole essere nominato a causa dello stigma di casta associato alla professione. Il prete dice a Pandey che possono essere vaccinati solo se «il governo viene qui e ce li dà [i vaccini]».
In questo momento, sulla carta chiunque sopra i 18 anni può avere accesso alla vaccinazione, purché abbia un accesso a internet, uno smartphone, un documento d’identità e navighi sull’app o sito web CoWIN [la piattaforma istituita dal governo per la campagna di vaccinazione]. Mentre io sono stata una fortunata beneficiaria della possibilità di «aspettare» in una scuola gestita dal governo e fare la fila per la prima dose di vaccinazione gratuita organizzata dal governo dello stato di Delhi per i maggiori di 18 anni, resta da vedere come un enorme numero di persone in aree semi urbane e rurali in tutta l’India saranno vaccinate. Potrebbe essere un’altra storia di attesa da raccontare. Cosa impariamo da questo stato di attesa? Vi invito a considerare la postfazione di Shahram Khosravi al libro Waiting and the Temporalities of Irregular Migration, in cui scrive che l’attesa è una parte ineluttabile delle nostre vite moderne, ma chi e come si fa ad aspettare è definito dalla vulnerabilità. Alcune forme di attesa sono «forzate» e le esperienze di migranti e rifugiati ne sono una testimonianza. Inoltre, «l’attesa non è mai un atto individuale». Lo stato di attesa che stiamo vivendo nell’India ‘digitale’ non è dunque liminale o transitorio, ma forzato e autoperpetuante. Tuttavia, aspettare non è da equiparare a un sentimento di disperazione. Khosravi ci ricorda le parole che si usano in India per indicare l’attesa – intezzar, sabr, ecc – hanno tutte hanno un senso di speranza e l’attesa non è passiva. L’attesa è un atto politico, per la ‘giustizia’.
La pandemia ha esposto la nuda vita dello Stato, senza alcun meccanismo per intervenire né volontà politica di risolverla, e ha lasciato i cittadini in attesa. Mentre scrivo sono sicura che sono stati tagliati gli alberi e sono in corso lavori di costruzione nel cuore di Delhi, per realizzare il Central Vista Project, un mega progetto per costruire un nuovo parlamento, nuove residenze per il primo ministro e il presidente mentre lo Stato di Delhi è in lockdown. Permettetemi di ricordarvi che il Central Vista Project è in corso di realizzazione in una città che è sotto sequestro a causa della seconda ondata. Si investono miliardi di rupie per creare la storia cancellando la storia mentre i cittadini lottano per ottenere un vaccino, una bombola di ossigeno o anche un test. È un caso isolato? No. L’India è principalmente un paese agrario. Dall’introduzione di nuove leggi agrarie in nome del libero mercato, migliaia di contadini hanno protestato ai confini di Delhi. Continuano ad accamparsi vicino al confine di Delhi, aspettando che lo Stato li ascolti. Ma lo Stato ha smesso di ascoltare e ha invece utilizzato l’ordine pubblico e la crisi sanitaria per costringere la gente ad aspettare nelle case, in prigione, nelle custodie giudiziarie, negli ospedali e nei forni crematori. Natasha Narwal, un’attivista che è stata arrestata in base a una legge draconiana che permette la detenzione fino a 180 giorni senza accuse, è dovuta ricorrere a un tribunale per incontrare suo padre malato che ha contratto il COVID 19. Quando è arrivata il permesso per uscire su cauzione, suo padre era già morto. Il professor Haney Babu dell’Università di Delhi, che si trova in carcere, ha contratto un’infezione agli occhi e non ha accesso all’acqua pulita. La lista è infinita. L’attesa, da un’esperienza individuale è diventata un’esperienza condivisa e le condizioni di attesa sono modellate dalla nostra posizione collettiva, sociale e politica. Questo è destinato ad avere un impatto a lungo termine sulle disuguaglianze sociali esistenti in India, e la capacità trasformativa di queste esperienze collettive dipenderà dai molti semi di rifiuto alimentati dalle attuali politiche governative, e dalla volontà politica di rivendicare la salute e la dignità della vita contro le ingiustizie sociali messe in luce dalla pandemia.