venerdì , 22 Novembre 2024

L’effetto contagio dello sciopero: le lotte dei riders e il sindacalismo metropolitano. Intervista ad Angelo Avelli di Deliverance Milano

In questa lunga intervista con Angelo Avelli di Deliverance Milano abbiamo cercato di toccare tutti i nodi più rilevanti delle lotte e dell’organizzazione dei riders dentro e oltre la pandemia: il significato politico della vertenza sull’inquadramento giuridico del loro lavoro; che cosa significa la rivendicazione del carattere subordinato del lavoro dei riders, del quale è stato ora «scoperto» il carattere essenziale; la composizione soprattutto migrante della forza lavoro impiegata nel delivery con i conseguenti problemi di rinnovo del permesso di soggiorno per chi è in regime di Bossi-Fini e di sottomissione al dispotismo delle commissioni per i richiedenti asilo. Ci è sembrato poi importante fare delle domande sul tipo di sindacalismo che i riders stanno praticando, sulla sua originalità politica soprattutto ora che stanno chiedendo di essere inseriti nel contratto della logistica, mentre continuano a pensare alla possibilità di uno sciopero transnazionale dei riders.

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La vertenza dei riders ha ormai un’importanza che va oltre lo specifico segmento lavorativo. Cosa sono diventati i riders dopo questi anni di presenza pubblica? Come è cambiata la partecipazione alle lotte da parte dei riders nell’ultimo anno, tendendo conto che la pandemia ne ha intensificato i ritmi e quindi anche lo sfruttamento?

È arrivata in primo luogo la sentenza della Corte di Palermo che ha riconosciuto un rider come lavoratore subordinato; in secondo luogo, c’è stata una circolare che punta molto sul fatto che i riders sono lavoratori subordinati; in ultimo, Just Eat ha dichiarato che avrebbe assunto lavoratori, almeno a Milano e a Roma. Questa della subordinazione, quindi, nonostante sia una rivendicazione storica, ultimamente ha avuto forte slancio. Però quello che si era strappato prima era legato alla sentenza della corte di Cassazione e alle leggi perché ai sensi dell’articolo 2 del Jobs Act sulle collaborazioni tu, essendo un lavoratore etero-organizzato, dovresti vederti applicata la disciplina della subordinazione. Praticamente che cosa si dice? Che tu sei un lavoratore etero-organizzato però hai diritto alle tutele della subordinazione, quindi è un regime misto, una subordinazione leggera, una sorta di CO.CO.CO. che però ti apre a tutti i diritti della subordinazione. Questo dal punto di vista delle convergenze potrebbe rappresentare un orizzonte se solo quelli delle piattaforme non fossero dei criminali pazzeschi, si potrebbe cioè inserire quel pacchetto di tutele che rappresentano i pilastri della subordinazione: monte ore garantito, paga oraria secondo contratti collettivi nazionali, ferie, malattia e TFR. Poi una tutela sulla disconnessione e indennità che però sono previste dalla legge. Adesso per esempio nell’accordo con UGL AssoDelivery questa parte dell’indennità per lavoro notturno, maltempo e festivi è presente, ma non viene applicata. Ci può essere un diluvio, ma non ti danno un cazzo. È un accordo di facciata. È chiaro che noi vorremmo una subordinazione ma anche un Co.Co.Co. potenziato rappresenterebbe un viatico per i lavoratori che favorirebbe la possibilità di chiedere un permesso di soggiorno. Noi chiediamo quello. Le piattaforme adesso che cosa stanno facendo? Abusano dell’occasionalità e dei contratti occasionali e del modello del lavoro indipendente che nei fatti non è mai come la raccontano loro. Se l’azienda per cui lavori utilizza la formula della collaborazione indipendente facendoti aprire una partita Iva, ma non dandoti alcuna possibilità di fare scelte o contrattare qualcosa, che lavoratore autonomo sei? In più magari sei costretto a lavorare come un pazzo rimanendo loggato su due piattaforme, alcuni lavoratori lo fanno, ma per lo più ne hanno una fissa e una seconda sulla quale si appoggiano. Non c’è una volontà «imprenditoriale», ma il semplice bisogno di lavorare più di quanto una sola app non ti garantisca. Ora hanno messo il free login anche a Deliveroo, ovvero lo smantellamento del sistema di prenotazioni in turni e il fatto che ti metti online e nelle ore in cui è attivo il servizio tu puoi metterti in strada e sperare che ti arrivino consegne. Però tanto con Uber, che è il padre del free login, quanto ora con Deliveroo io vedo gente che sta in strada ore ed ore e non guadagna un cazzo. Vedo ragazzi africani che guadagnano 7 o 8 euro e fanno due o tre consegne nell’arco di una giornata. Io trovo che questa sia una forma di caporalato, sia per il controllo che viene esercitato sulle persone sia per le paghe da fame che vengono corrisposte.

La maggior parte dei riders è mano d’opera migrante. Sempre più spesso si tratta di richiedenti asilo in attesa del giudizio della Commissione. Molti altri vivono sotto il regime della Bossi-Fine e del ricatto del permesso di soggiorno. Non ci pare che questo aspetto abbia nel complesso un peso particolare nelle rivendicazioni dei riders. Qual è la partecipazione dei riders migranti alle lotte? Non pensi che la loro specifica condizione dovrebbe essere esplicitamente considerate nelle vostre rivendicazioni?

C’è un passaggio rivendicativo che è esplicito: quello legato all’inquadramento contrattuale. Diciamo che vorremmo dei contratti che facilitino i rinnovi dei permessi di soggiorno. La rivendicazione è molto classica, cioè legata alla subordinazione, per il semplice fatto che la subordinazione è quel modello che permette piene tutele e pieni diritti ai lavoratori. Ovviamente poi, se vai a parlare con il singolo lavoratore, della subordinazione di per sé non gliene frega un cazzo. La questione a cui invece rimane legato è quella delle tutele, della protezione sociale, dell’accesso al welfare e della necessità di uscire dal ricatto del cottimo che passa per la possibilità di avere un minimo garantito. Noi nelle rivendicazioni chiediamo una paga oraria per due ragioni: prima di tutto perché se non rompi il dispositivo del cottimo è molto più difficile rompere anche la narrazione aziendale, la retorica del «mi faccio il culo e guadagno tanto». D’altra parte, ci rendiamo conto che la logica del minimo garantito è al ribasso rispetto al fatto che l’unico modo per calmierare l’effetto di pressione, controllo e sfruttamento volto alla produttività che le aziende richiedono è quello della paga oraria. Perché ovviamente se c’è una paga oraria te la puoi prendere un po’ più comoda se hai un po’ di tempo. Mentre altrimenti hai quelle due ore in cui sai che devi guadagnare perché passato quel lasso di tempo o hai più turni o non lavori perché ci sono molte meno consegne. In questa seconda ondata pandemica io sto facendo soprattutto il fattorino, lavoro con Just Eat che ha paghe più alte in proporzione e mediamente ti riesce a garantire almeno una consegna e mezza ogni ora, però quando ho due ore e mezzo di turno e non ti arriva un cazzo ti girano i coglioni mentre al sabato quando se lì in attesa, sai che potrebbero arrivare molte consegne, sei puntato davanti a un ristorante in attesa della consegna e temi di perdere troppo tempo nel ritiro per i tempi del ristorante.

Che presenza c’è nelle lotte da parte di questi giovani migranti di cui parli?

Questi ragazzi di cui dicevo che sono soprattutto africani richiedenti asilo, così come la composizione di pachistani e afghani e bangladesi che ci sono adesso e sono soprattutto studenti delle facoltà tecniche o scientifiche, lottano. È stata una cosa in costruzione, è crescente, ma lottano. Molti tra questi sono richiedenti asilo che vivono ancora nell’accoglienza e ora stiamo cercando di far passare le comunicazioni politiche anche per le strutture. Per adesso il livello è sindacale, ovvero non ci sono ancora delle rivendicazioni puntuali che articolino diversamente il problema del permesso di soggiorno. Costruzione di rappresentanza, arginare il potere delle piattaforme e contrattualizzazione sono gli assi principali della lotta, che resta sindacale. Sul piano politico sanno che è importante mantenere un buon rapporto con le istituzioni con le quali è utile avere un dialogo propositivo. Un secondo aspetto del piano politico si è dato con la sanatoria: nonostante la mobilitazione sulla sanatoria non sia stata proprio una bomba e anzi sia stato uno strumento già spuntato dall’inizio, i lavoratori volevano comunque essere informati e presenti nelle rivendicazioni contro la sanatoria. Al momento il piano sindacale è dominante e noi auspichiamo che a partire dall’assestamento di quel livello della lotta si possano poi fare altri discorsi. A giugno la mobilitazione sulla vicenda dei treni ha visto muoversi oltre trecento lavoratori, in piena pandemia, così come adesso che, il giorno dopo l’entrata in vigore del contratto di Assodelivery, hanno abbassato le paghe come immediata reazione facendo incazzare tutti. Il livello di radicalità e di consapevolezza è schizzato alle stelle. Il 30 ottobre noi abbiamo convocato uno sciopero, pur sapendo che una settimana di sciopero per chi guadagna così poco ha un impatto molto pesante e c’è stata una buona risposta con un effetto contagio dello sciopero.

In che modo la pandemia ha influito sulle lotte dei riders? Di fatto in questi mesi, con l’ulteriore esplosione del delivery, il lavoro dei riders ha assunto una diversa centralità per certi versi siete diventati lavoratori essenziali. A questa trasformazione, all’incremento del lavoro ha corrisposto un incremento della lotta?

In realtà c’è sempre stato bisogno di un fattore scatenante, la pandemia all’inizio ha fatto da acceleratore, cioè noi eravamo in fase di allargamento sulla scala metropolitana e presa di contatto con altri lavoratori italiani e migranti. La pandemia ha messo i lavoratori nelle condizioni di trovarsi da soli in strada a lavorare di più e senza dispositivi di protezione individuale che non si trovavano nemmeno in giro. Questo, così come il fatto di essere considerati lavoratori essenziali, ha reso più evidente il problema dello sfruttamento.

All’inizio i riders si inscrivevano nell’ambito della gig economy in generale ora mi pare che questo quadro non basti più e si sia reso necessario attaccare dei punti specifici e il salario diventa una componente centrale.

Certo, certo, il salario, il diritto di contrattazione sono centrali. Con le piattaforme non hai diritto di contrattazione, sono dei nazisti, tu firmi i termini contrattuali e poi basta. Quelle sono le istruzioni per l’uso e te puoi solo dire di sì. Questa è la cornice più estrema del precariato che ci possa venire in mente, almeno a livello metropolitano. Ciò che accade nella gig economy è paradigmatico però non è il modello generalizzato ovviamente, noi abbiamo cercato di far ripartire dal punto di vista politico il dibattito sulla precarietà del lavoro. Dopo il Jobs Act non si è più mosso nulla per anni e la lotta dei fattorini, a Milano come a Torino, ha avuto l’effetto di riportare la precarietà nel dibattito pubblico. La critica che facciamo non è alla gig economy in sé ma al precariato, il punto è che se lavori lì sei senza anticorpi e paracadute. I lavoratori stanno riscoprendo adesso l’importanza del sindacato e le stesse strutture si devono aprire al confronto con soggetti nuovi tra rappresentanze autonome e quelli che noi abbiamo cominciato a chiamare «sindacati metropolitani».

Voi chiedete di essere inseriti nel contratto della logistica e quindi di riconoscere quello svolto dai riders in questi mesi come un lavoro essenziale. Puoi parlarci del significato di questa richiesta anche oltre l’orizzonte pandemico?

La rivendicazione storica è afferente al contratto collettivo nazionale della logistica sostanzialmente per una ragione politica che si articola su diversi punti: primo, l’oggetto del lavoro che svolgi, ovvero fai trasporto. Secondo: la qualità del contratto. Terzo: il fatto che il sindacato confederale, che era molto arretrato, mi pare nel 2018 ha inserito la figura del fattorino nel CCLN logistica perché non avevano fatto mai nulla prima per i riders. Questa cosa non ha portato alcun beneficio materiale perché la controparte non avrebbe mai firmato un accordo, però è stato un primo passo importante sia politico, perché per la prima volta i sindacati riconoscevano l’esistenza di una categoria per la quale non avevano mai fatto nulla, sia giuridico perché, per esempio nel processo Foodora, il giudice ha preso come riferimento il contratto della logistica perché c’era la figura del rider all’interno. La CGIL inizialmente ci considerava un movimento d’opinione, anche se ha dovuto ammettere che c’era in corso un processo di sindacalizzazione. Nel corso del tempo si è aperto poi il dialogo, su temi politici specifici, della categoria. Noi in termini di tutele siamo afferenti al contratto della logistica, ma non in quanto alla natura del rapporto, questo ha stabilito la sentenza della Corte d’Appello. In pratica non hanno smontato ma solo corretto l’impianto giuridico concepito dall’azienda, affermando che sono lavoratori autonomi però etero organizzati e dunque, visto quell’articolo del Jobs Act, gli spettano i diritti della subordinazione. I progressi fatti sul terreno della subordinazione si sono dati quindi più nel giuridico che nel politico visti gli attuali rapporti di forza.

Tra le vostre rivendicazioni c’è anche la maternità pagata. Colpisce perché l’immagine dei riders è in maniera prevalente maschile. Qual è la presenza delle donne? Che significato ha quella rivendicazione?

Sì, però quello in teoria è dato dalla legge, io non ho prova di quante persone l’abbiano chiesta, noi sappiamo che la tutela assicurativa dell’Inail è entrata in vigore nel febbraio 2020 e in teoria il nuovo pacchetto di tutele è attivo dal 3 novembre 2020. In generale noi come riders non abbiamo molte donne, è una cosa prevalentemente maschile e prevalentemente migrante, molti sono giovani ma ci sono anche persone più su con gli anni. Insomma, ci sono le donne ma sono molto rare e poi fanno orari diversi perché preferiscono lavorare di giorno invece che alla sera. Noi in questi anni abbiamo avuto tre ragazze. Ci sono poi delle donne che consegnano in macchina o in motorino e ultimamente forse sono in aumento, ma c’è meno di una donna ogni dieci uomini secondo me. È però un fatto di percezione e non certo perché non abbiamo dati; si stima che a Milano ci siano oltre tre mila riders, ma non abbiamo numeri certi né un’informativa certa da parte delle piattaforme.

In qualche modo sembra che stiate percorrendo in maniera accelerata la storia delle lotte operaie e sindacali. Un movimento di lotta composito e agguerrito, il contratto separato, l’UGL che si comporta come un sindacato giallo, sindacalizzazione e organizzazione che va oltre i sindacati confederali, mostrando di aver recepito la «lezione» dei movimenti sociali. Come descriveresti da questo punto di vista le forme di lotta dei riders?

Per rispondere bisogna partire dal quadro giuridico che è sostanzialmente così: i lavoratori occasionali hanno un pacchetto di tutele minime. Chi è in un regime di continuità vede l’applicazione delle tutele da subordinato. Questo è il quadro generale dell’impalcatura della legge. La controparte può derogare questa legge solo attraverso un accordo collettivo. Il governo ha dato tempo un anno da quando è stata promulgata la legge per trovare questo accordo oppure sarebbero stati applicati i minimi salariali di un settore affine. La scadenza dell’anno era il 3 novembre e lo stesso giorno UGL e Assodelivery hanno firmato l’accordo senza contrattare, ma derogando alla legge. Questa è stata un’assurdità anche strategica perché semmai tu fai passare la legge a favore dei lavoratori e poi tratti! Intanto la contrattazione sarebbe stata rinforzata. In virtù della legge potevi contrattare e non, come ha fatto UGL, escludendo la legge. Questa è stata in sostanza la condotta del sindacato. Questa deroga chi l’ha voluta? Assodelivery e il legislatore che ha preferito promuovere la contrattazione tra le parti sociali piuttosto che dare un’indicazione forte sul piano legislativo, assumendosene tutti gli oneri.

Ho l’impressione che la vostra esperienza si scosti tanto dal sindacalismo di base quanto dal sindacalismo sociale, avete mischiato un po’ le carte? Come sono i contatti transnazionali?

Sì, ci stiamo provando ad andare oltre a forme già viste e si sta creando un bel terreno di contaminazione, non ti nascondo però che questa cosa qua è continuamente messa in tensione in ciascun momento dalle necessità della lotta. Sul transnazionale bisogna dire che il tentativo di una federazione transnazionale non ha mai realmente funzionato per ragioni che sarebbe lungo esporre qui, continuano tuttavia ad esserci dei rapporti e delle comunicazioni, soprattutto con inglesi, francesi e spagnoli con i quali appunto c’è un piano di discussione. Nonostante le alterne fortune di queste iniziative per noi l’idea di uno sciopero transnazionale dei riders è, e resta, l’obbiettivo da perseguire.

 

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