In questa data storica, che unisce le lavoratrici e i lavoratori di tutto il mondo nella lotta per i loro diritti, convochiamo – a partire dai nostri femminismi che sono una forza transnazionale e una potente memoria delle lotte – un
Primo maggio Femminista Transnazionale
Continuiamo ad alzare le nostre voci con forza di fronte all’urgenza di denunciare insieme la crisi della riproduzione della vita di fronte a cui ci pone la pandemia, che precarizza e intensifica ulteriormente il lavoro produttivo e riproduttivo che facciamo noi donne, lesbiche, trans, queer e non-binarie. Per questo dobbiamo organizzarci e lottare insieme.
La pandemia globale generata dal COVID-19 ha reso ancora più visibile non solo la crisi capitalistica e patriarcale, ma anche l’urgenza di trasformare complessivamente la società e combattere le sue disuguaglianze. Milioni di lavoratrici e lavoratori durante questa pandemia continuano a lavorare nei magazzini logistici senza protezione e con salari bassi. Le condizioni di lavoro delle e dei migranti diventano ancora più precarie: tanto le misure che di fatto mantengono irregolari le e i migranti, quanto quelle che li/le regolarizzano in maniera selettiva, sono ugualmente funzionali a poterli/e mettere a lavoro in condizioni di maggiore sfruttamento. Milioni di operatrici sanitarie e di operaie lavorano senza sosta, con salari bassi e in condizioni inadeguate, mettendo a rischio la loro vita ogni giorno. Migliaia di lavoratrici domestiche vengono licenziate senza ricevere alcun sussidio. Milioni di donne sono sovraccaricate di lavoro domestico e milioni di lavoratrici informali, delle economie popolari e precarie si ritrovano senza lavoro. La crisi pandemica mostra chiaramente che i lavori necessari per la riproduzione sociale sono i più sfruttati e precari, svolti il più delle volte da donne e migranti.
Allo stesso tempo, l’attuale isolamento dimostra che migliaia di donne, lesbiche, e trans non possono rimanere a casa e proteggere la loro salute perché devono continuare a lavorare. Coloro che possono rimanere a casa, si vedono obbligate dal sistema patriarcale ad assistere e prendersi cura degli anziani e dei bambini, aumentando ancora di più il loro lavoro domestico per il quale non c’è mai stato né un limite di ore né una retribuzione. Per molte, le case non sono luoghi sicuri perché significa essere esposte alla violenza dei propri partner ogni giorno. I femminicidi e la violenza contro le donne e le persone LGBTQI+ si sono intensificati con questa crisi, la cui gestione securitaria omette questa realtà. La crisi invisibilizza anche il ruolo nella società delle donne diversamente abili, la cui cura e vita quotidiana sono soggette a ritmi molto particolari.
Non vogliamo che il futuro assomigli a questo presente e ci rifiutiamo di ritornare alla normalità neoliberale, la cui insostenibilità si rivela in modo indiscutibile in questa crisi. Lottiamo per porre fine all’estrattivismo, agli allevamenti intensivi e alla produzione industriale di alimenti su larga scala, che subordinano tutte le specie viventi e la terra ai profitti del capitale.
Oggi stiamo combattendo per sopravvivere nella pandemia, ma ci stiamo anche organizzando per affrontare le conseguenze a lungo termine che questa avrà sulle condizioni economiche e di vita di milioni di persone in tutto il mondo.
Non vogliamo uscire da questa “emergenza” ancora più indebitate e precarie! Chiediamo che la ricchezza sia utilizzata per garantire che nessuna persona sia lasciata senza entrate economiche o costretta a indebitarsi per sopravvivere. La ricchezza dovrà servire per sostenere la vita e non più per essere appropriata da una minoranza privilegiata. Chiediamo che l’accesso al sistema sanitario sia garantito gratuitamente e che i diritti alla salute mentale, sessuale e (non) riproduttiva siano riconosciuti come diritti essenziali, perché il confinamento obbligatorio non può essere una scusa per impedirci di decidere sul nostro corpo e garantire la nostra autonomia.
Nei quartieri popolari si stanno organizzando ruidazos (azioni rumorose) contro i femminicidi e reti di autodifesa contro la violenza maschile. Nelle comunità, le donne indigene, che hanno sempre lottato contro la devastazione ambientale, si trovano ad affrontare uno Stato che approfitta dell’isolamento per realizzare progetti estrattivi. In ogni carcere, le e i detenute/i denunciano le condizioni disumane di detenzione e la mancanza di protezione. Ovunque, le e i migranti si ribellano contro il sovraffollamento dei centri di detenzione e rivendicano i loro documenti, senza i quali la loro vita, ancor più con questa pandemia, è soggetta a condizioni di maggiore sfruttamento e violenza. Nei magazzini e nelle fabbriche si moltiplicano gli scioperi che richiedono che si continuino solo le attività essenziali e in condizioni dignitose.
Lo sciopero femminista è stato negli ultimi anni lo strumento che ha unito le nostre lotte a livello globale e che ci ha permesso di rifiutare la violenza patriarcale nella sua dimensione strutturale: nelle case, nelle strade, nei luoghi di lavoro, attraverso le frontiere. Nello sciopero dei passati 8 e 9 marzo abbiamo invaso le strade con la nostra potenza femminista, siamo state milioni in tutto il mondo. Durante la pandemia e nei prossimi mesi il processo di insubordinazione alimentato dallo sciopero femminista deve convertire il nostro lavoro riproduttivo in un campo di lotta per contestare la divisione sessuale e razzista del lavoro e per esigere la socializzazione del lavoro di cura. Vogliamo che sia data totale attenzione alla salute e che i servizi essenziali siano rafforzati.
Pretendiamo che tutti i lavori non indispensabili a sostenere la vita siano sospesi: i lavori non necessari devono essere interrotti! Vogliamo la fine della subordinazione, dello sfruttamento, della precarizzazione. Pretendiamo anche che si forniscano le protezioni necessarie contro il virus per i lavori essenziali.
Vogliamo sovvertire tutto per mettere fine alla violenza patriarcale e razzista della società neoliberale, per poter abortire in modo sicuro, libero e gratuito, per non indebitarci ancora di più, per poter disporre delle nostre libertà. Lo sciopero femminista globale ci ha insegnato che quando siamo unite siamo forti e ora più che mai dobbiamo alzare le nostre voci nella stessa direzione per evitare la frammentazione che la pandemia sembra imporci.
Vogliamo un’uscita femminista transnazionale dalla crisi per non tornare più a una normalità fatta di disuguaglianze e violenze. Nella giornata internazionale delle lavoratrici e dei lavoratori grideremo tutta la nostra rabbia contro la violenza di una società che ci sfrutta, opprime e uccide.
Il Primo Maggio diciamo più che mai che le nostre vite non sono al servizio dei loro profitti.
Nella giornata internazionale delle lavoratrici e dei lavoratori affermiamo ancora una volta che la società può essere organizzata su nuove basi, che è possibile una vita senza violenza patriarcale e razzista e libera dallo sfruttamento.