intervista a Karja Raetz e Charlotte Ruga – di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM
Pubblichiamo l’intervista a Katja Raetz, infermiera svedese, e Charlotte Ruga, ostetrica tedesca, che fanno parte della serie della Piattaforma dello sciopero sociale transnazionale verso la mobilitazione femminista globale dell’8 e 9 marzo (qui l’intervista #1 dalla Bulgaria e #2 dalla Turchia). Katja condivide la sua esperienza di lavoratrice e donna in uno dei supposti baluardi del welfare state. Il dialogo mostra come anche in Svezia l’attacco neoliberale alla sanità corrisponde all’aumento del carico di lavoro delle infermiere, in gran parte donne. La stessa denuncia dello smantellamento del sistema di welfare emerge dall’intervista a Charlotte, che mostra come pure nel lavoro di ostetrica il ricatto del salario pesi di più di qualunque ‘vocazione’. Le lotte in corso a cui le intervistate stanno prendendo parte e il crescente movimento delle lavoratrici della cura non riguardano però solo le loro condizioni lavorative e salariali ma rivendicano anche un migliore trattamento dei pazienti, facendo spazio a nuove potenziali lotte comuni.
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TSS: Che lavoro fai? Come sono cambiate le tue condizioni di vita e lavorative negli ultimi anni?
Katja Raetz: Sono un’infermiera, specializzata nella cura degli anziani, lavoro in un centro di assistenza sanitaria nella regione di Stoccolma che è parte del sistema sanitario pubblico in Svezia. Ho lavorato in diversi centri di assistenza sanitaria ed è piuttosto evidente che negli ultimi anni le pressioni a rendere efficienti le cure e a fornire la “giusta” forma di cura sono aumentate. Nella regione di Stoccolma il settore sanitario è stato il bersaglio delle privatizzazioni delle politiche neoliberali, che si sono tradotte in una carenza di pianificazione per i bisogni della popolazione e di personale, ma anche, allo stesso tempo, in un controllo minuzioso del nostro lavoro, aggiungendo alle nostre mansioni molto lavoro amministrativo.
Charlotte Ruga: Lavoro come ostetrica in un ospedale a Monaco in Germania. Durante la mia formazione professionale, che ho finito un anno e mezzo fa, ho potuto sperimentare come la mancanza di staff trasformasse noi praticanti in manodopera a basso costo. Fin da molto giovane sono stata abituata a essere costantemente stanca, sovraccarica di lavoro e sotto grande pressione per non fare errori. Nel mio lavoro in particolare le persone pensano sempre che farlo sia un dono o che lo facciamo perché i bambini sono così carini – ecco, indovinate un po’, abbiamo bisogno di guadagnarci da vivere come chiunque e essere dedite al proprio lavoro è una bella cosa, ma rende anche conto di differenze materiali. Questo succede in molti settori che impiegano soprattutto donne: negli ospedali, negli asili, nelle scuole e come madri. Non veniamo prese seriamente e questo ci porta peggiori condizioni lavorative. Con la femminilizzazione della forza lavoro, le ineguaglianze tra uomini e donne sono diventate più evidenti: il Gender Pay Gap in Germania è al 21%, una delle percentuali più alte d’Europa.
TSS: Come influisce il tuo essere donna su come vieni trattata a lavoro?
KR: Il settore sanitario in Svezia, come in tanti altri paesi, è soprattutto sorretto dalle donne, specialmente per quanto riguarda l’assistenza infermieristica e i lavori di cura, ma anche tra il personale medico. È quello che succede sul mio posto di lavoro dove ci sono davvero pochi uomini nel personale. In generale, penso che non sia una coincidenza che il settore sanitario così come tanti altri settori del welfare sia stato aggredito dalle politiche neoliberali. C’è stata un’indagine pochi anni fa, fatta dai sindacati, che mostrava che nelle professioni che richiedevano lo stesso livello di istruzione i lavori ‘tipicamente maschili’ venivano retribuiti di più di quelli ‘tipicamente femminili’.
CR: Dal momento che lavoro quasi esclusivamente con donne e per donne non saprei dire. Ho sperimentato molta arroganza e molto sciovinismo da parte di medici maschi, ma questo ha anche a che fare con le gerarchie interne all’ospedale. Più si va in alto in grado, più le posizioni sono occupate soprattutto da uomini. Non sono una migrante, quindi non posso parlare per esperienza personale, ma i lavori più precari nell’ospedale (pulizie, cucina…) sono per la maggior parte svolti da lavoratrici migranti, il che spiega il razzismo del sistema capitalista.
TSS: Hai mai assistito o hai mai avuto esperienza di molestie sessuali, per esempio sul posto di lavoro o anche a casa o per strada?
KR: Ho subito molestie sessuali e ho parlato anche con le mie colleghe delle loro esperienze. Una delle cose davvero positive di #metoo è che è un po’ più facile oggi parlare delle esperienze di violenza vissute. Un aspetto comune tra le mie esperienze e quello che ho avuto modo di sentire dalle mie colleghe è che il tipo di molestie subite non sono mai di tipo apertamente violento, come uno stupro, ma più del genere di un contatto fisico non richiesto, l’uso di certe parole eccetera… tutte cose che sono comunque molto fastidiose.
CR: In strada e nelle relazioni personali.
TSS: Hai partecipato a qualche lotta di recente, per esempio sul tuo posto di lavoro o contro determinate politiche del governo? Quali sono stati i risultati? Quali ostacoli hai dovuto affrontare?
KR: La lotta a cui sto già prendendo parte durante gli ultimi anni riguarda la situazione nel settore sanitario: carenza di risorse, di personale, di posti letto e allo stesso tempo privatizzazioni che generano profitti per le aziende. Più di recente ho preso parte alla lotta contro la perdita di posti di lavoro in alcuni dei più importanti ospedali di Stoccolma. Specialmente allarmante è la situazione nei pronto soccorso che sono spesso stracolmi e questo rende terribilmente difficile lavorare.
CR: Ci sono sporadicamente lotte e scioperi contro la situazione dello staff dell’ospedale, ma la maggior parte delle persone non è organizzata tramite sindacati. Tutti provano a farcela da soli in qualche modo, dato che ci sono state molte delusioni in passato. Non ho ancora partecipato a uno sciopero, ma ce ne sarà uno quest’anno. Purtroppo è difficile riuscire a farsi sentire come lavoratrici dal momento che i sindacati in Germania sono molto burocratizzati e lo sciopero sarà più o meno simbolico. Per questo mi sono organizzata con alcune colleghe in un gruppo che tenta di politicizzare i sindacati, che sono i nostri organismi per scioperare e tramite cui dovremmo essere noi lavoratrici a decidere contro cosa scioperare.
TSS: Hai mai sentito parlare delle lotte che le donne stanno organizzando in tutto il mondo contro la violenza maschile, i tagli sul welfare, le limitazioni della libertà di aborto?
KR: Ho letto molto della lotta per il diritto ad abortire per esempio in Argentina, Polonia e Irlanda. Ho anche sentito del movimento contro i femminicidi che si sta diffondendo adesso in America Latina. Penso anche che siano d’ispirazione i molti insegnanti in sciopero in diversi paesi.
CR: Sì, sono stata soprattutto ispirata dal movimento Ni Una Menos in America Latina. In tutto il mondo le donne si stanno sollevando e stanno lottando contro le proprie catene. Io stessa sono parte di un gruppo femminista internazionalista e socialista che si chiama “Il Pane e le Rose” (Brot und Rosen in tedesco), che sta combattendo in molti paesi per un mondo senza oppressione e sfruttamento.
TSS: Se tu potessi scioperare, contro cosa sciopereresti adesso? E come?
KR: Sciopererei contro la continua privatizzazione del welfare svedese and per la ri-nazionalizzazione ma sotto il controllo dei dipendenti. Proprio adesso è in corso un tentativo di cambiare la legge e rendere più semplice per il capo licenziare le persone senza motivo. Penso che abbiamo bisogno di uno sciopero politico contro tutte queste forme di politiche neoliberali.
CR: Io posso immaginare che uno sciopero sia efficace solo se è direttamente rivolto contro lo sfruttamento delle grandi imprese che hanno il mondo in pugno. Uno sciopero politico, come lo sciopero delle donne, deve fronteggiare i governi che proteggono un sistema che opprime le persone in molti modi… Ma al tempo stesso uno sciopero non può essere efficace se non attacca il sistema capitalista che sfrutta l’oppressione delle donne.
TSS: Cosa diresti a tutte quelle donne nel mondo che quotidianamente devono affrontare i tuoi stessi problemi a lavoro, a casa e nella società?
KR: Direi loro che le nostre lotte sono una cosa sola, che si rafforzano a vicenda in tutto il mondo e che insieme possiamo vincere.
CR: Direi che tutte percepiamo le nostre catene quando iniziamo a muoverci. E un mondo senza catene è possibile. C’è una storia di oppressione delle donne che sta alle nostre spalle, ma anche una storia di lotte delle donne. E siamo così tante, nessuna di noi è sola. Organizziamoci, facciamo domande, scioperiamo! Abbiamo tantissimo da imparare, ma abbiamo ancora di più da vincere!