Intervista a JN di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM
Per la serie di interviste verso lo sciopero femminista dell’8 e del 9 marzo, pubblichiamo un’intervista a JN, lavoratrice turca del settore tessile in Turchia (leggi la prima intervista a Nina dalla Bulgaria). JN lotta ogni giorno contro una situazione che la espone non solo allo sfruttamento ma anche all’assenza di qualsiasi tipo di sostegno sociale da parte del governo il quale non fa altro che scaricare i costi della guerra in Siria tramite misure di austerity e l’aumento delle tasse e dei prezzi dei beni di prima necessità. Mentre le donne rischiano in ogni luogo di subire molestie e devono continuamente difendersi con i mezzi che hanno, il governo esercita un controllo opprimente su ogni forma di espressione di dissenso, producendo paura e un diffuso senso di impotenza. Di solo pochi giorni fa la notizia che il governo turco, che teme proteste e manifestazioni per la guerra sanguinosa con la Siria, ha di nuovo bloccato l’accesso a tutti i social media, mentre la polizia effettua controlli arbitrari ovunque. Parlando con la figlia che rifiuta il senso di impotenza che tutto concorre a trasmettere, JN ha deciso di unirsi quest’anno allo sciopero femminista.
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TSS: Cosa fai per vivere? Negli ultimi anni, come sono cambiate le tue condizioni di lavoro e di vita?
JN: Lavoro nel tessile e sono senza assicurazione. Ho uno stipendio di 500₺ (72 euro) a settimana, che, per capirci, è più basso del salario minimo mensile. 6384₺ (920 euro) al mese è la soglia di povertà in Turchia, e io guadagno circa un terzo di quella cifra. Avevo un mio negozio di borse, ma a causa della crisi economica è fallito e i miei debiti con le banche sono cresciuti. Oltre all’affitto del negozio, lo stato turco si prende soldi extra con la trattenuta fiscale. Mentre gestivo il mio negozio, le trattenute fiscali e gli affitti mensili erano piuttosto cari. Oltretutto, durante questa gestione, ho dovuto pagare 750₺ (108 euro) al mese per essere assicurata (indennità sanitaria). Dato che non ho potuto pagarle, in questo momento ho un debito di 11.000₺ (1500 euro) nei confronti del Bağkur (organizzazione turca di previdenza sociale per artigiani e lavoratori autonomi), oltre ai miei debiti in banca. Purtroppo, dopo 18 mesi di attività, sono finita in bancarotta. Ho dovuto lavorare perché dovevo sopravvivere e, dopo il fallimento, sono stata costretta a cambiare molti lavori “non qualificati”. Sono stata licenziata perché, in molti posti di lavoro, ero totalmente nuova nel settore. Ho perso mio marito sette anni fa, e per questa ragione ricevo oggi una pensione di 1240₺ (180 euro). Mio marito ha servito questo stato per quindici anni come lavoratore, e ha sempre avuto l’assicurazione. Ma adesso il mio stipendio nel settore tessile è al di sotto del salario minimo, e non è sufficiente per vivere. Non posso pagare né l’affitto né le bollette. Inoltre, ho anche debiti verso le banche. Tra l’altro questo mese non ho potuto pagare le bollette, dato che c’è stato un aumento del 70% dei costi del gas naturale, dell’elettricità e dell’acqua.
TSS: Essere una donna influisce su come vieni trattata a lavoro? Se sì, come?
JN: Certo, non è stato facile cambiare lavoro molte volte, proprio in quanto donna e dipendente “non qualificata”. Dato che sono nuova nel settore tessile in cui mi trovo attualmente, ricevo 200₺ (28 euro) in meno di stipendio mensile rispetto agli altri. Poi, sempre perché sono nuova nel settore, all’inizio ho subito varie umiliazioni. Per esempio: “Hai 42 anni, vuoi che ti insegniamo questo lavoro alla tua età?”, e cose così.
TSS: Hai mai assistito a molestie sessuali di qualsiasi tipo, ad esempio sul posto di lavoro, ma anche in famiglia o per strada?
JN: Sì, nei confronti di una donna che era incinta di 6 mesi. È stata molestata da un uomo al mercato. Così io l’ho aggredito con un ago per difenderla.
TSS: Hai avuto modo di partecipare a qualche lotta di recente, ad esempio in merito a qualche politica specifica promulgata dal tuo governo o a qualche provvedimento dei tuoi datori di lavoro? Quali sono stati i risultati? Quali sono stati gli ostacoli e i limiti che avete incontrato?
JN: No, non ho partecipato. Perché conosco le conseguenze di una tale azione in Turchia. Noi, come cittadini, viviamo le conseguenze del senso di impotenza che ci viene continuamente trasmesso.
TSS: Hai mai sentito parlare delle lotte che le donne stanno organizzando in tutto il mondo per combattere la violenza maschile, i tagli al welfare, le limitazioni e il divieto di aborto? Sei a conoscenza del fatto che in molti luoghi in giro per il mondo hanno organizzato uno sciopero delle donne per dimostrare il loro ruolo e la loro forza all’interno della società e per rivendicare la fine della violenza maschile?
JN: Sì, lo so. Nella risposta che ho dato alla precedente domanda ho fatto menzione del senso di impotenza che ci viene continuamente trasmesso. Mia figlia, al contrario, è una giovane donna che lo rifiuta. Dato che ogni tanto chiacchiero con lei e con le sue amiche, sono venuta a conoscenza dello sciopero delle donne e mi unirò allo sciopero delle donne dell’8 marzo.
TSS: Se potessi scioperare, contro che cosa sciopereresti? E come?
JN: Vorrei scioperare per diritto all’aborto: sul mio corpo decido io.
TSS: Cosa vorresti dire a tutte quelle donne che nel mondo si ritrovano a dover affrontare quotidianamente i tuoi stessi problemi nei luoghi di lavoro, a casa e nella società?
JN: Vorrei dire che dovremmo imparare a vivere insieme umanamente, a lottare per i nostri diritti e a imparare come vivere insieme nonostante tutto ciò che ci divide (lingua, religione, ecc.).