venerdì , 22 Novembre 2024

Macchine urbane. New York tra rendita, finanza e architettura

di FELICE MOMETTI

Nel giugno del 2009, a New York, viene aperto il primo tratto della High Line. Un parco urbano lineare che recupera una parte, circa due chilometri e mezzo, di una dismessa ferrovia sopraelevata. L’idea, ispirandosi anche alla Promenade plantée di Parigi, era venuta una decina di anni prima a un gruppo di cittadini residenti nella zona tra Chelsea e Meatpacking, il distretto della lavorazione industriale della carne in via di smantellamento. L’intento era di impedire la completa demolizione della vecchia ferrovia sopraelevata, come invece volevano l’allora sindaco Rudolph Giuliani e le lobbies delle società immobiliari che si preparavano ad allestire il classico scenario della rendita urbana: acquisire i terreni, fare tabula rasa delle vecchie strutture produttive e infrastrutture connesse, rimettere i terreni sul mercato a prezzi moltiplicati più volte. Il comitato di cittadini, che nel frattempo si era dato un nome – Friends of the High Line ‒ e un minimo di organizzazione, promuoveva una serie di iniziative di sensibilizzazione per salvaguardare la vecchia ferrovia e recuperarla come spazio pubblico del quartiere.

Messa così sembra una delle tante situazioni in cui un gruppo di base di cittadini si oppone alla gentrificazione del quartiere. Due fatti però cambiano radicalmente il quadro. Il comitato di cittadini lancia un concorso di idee per recuperare la vecchia ferrovia. Il successo è inaspettato: arrivano più di 700 progetti da 36 paesi diversi. E, secondo fatto, al posto di Giuliani viene eletto sindaco il multimiliardario Michael Bloomberg, uomo dell’alta finanza e dalle mutevoli convinzioni politiche: prima democratico, poi repubblicano e infine ancora democratico con un intermezzo da indipendente. Bloomberg rispetto a Giuliani, passato alle cronache per la tolleranza zero nei confronti della popolazione povera e per il neoliberismo sfrenato, ha un’altra idea di governance della città e dei confitti che nascono. Non più, nel limite del possibile, contrapposizioni frontali tra amministrazione e cittadini ma attivazione di luoghi semi-istituzionali di compensazione delle rivendicazioni che provengono dal territorio. Viene istituita una commissione paritetica tra Amministrazione comunale e Friends of the High Line che valuta i progetti di recupero della ferrovia, ed è promosso uno studio di fattibilità che dimostra come l’incremento dei valori immobiliari generato dal parco urbano produrrà maggiori entrate al comune di New York, con le tasse sui valori aumentati degli edifici circostanti. Un guadagno di gran lunga maggiore rispetto al costo di realizzazione della High Line. Bloomberg pone anche una condizione: il gruppo di base di cittadini che si riconoscono nei Friends of the High Line deve trasformarsi in una società che reperisca fondi privati in modo da costituire una partnership pubblico-privato nella costruzione e nella futura gestione. In altri termini si passa dal conflitto alla governance urbana.

Il comitato di base di cittadini si scioglie per l’esplodere delle contraddizioni derivanti dalla nuova veste societaria. E il progetto della High Line progressivamente si separa dalle esigenze della popolazione residente per diventare un brand della città in cui si combina arredo urbano, architettura del paesaggio, percorso botanico e produzione dello spazio. Nel 2015 all’inizio della High Line apre la nuova sede, progettata dall’archistar Renzo Piano, del Whitney Museum. Una macchina espositiva di arte moderna e contemporanea che segna l’incontro tra arte, finanza e grandi collezionisti. Nel frattempo, tutto attorno i valori immobiliari si impennano e le vie adiacenti alla High Line diventano una palestra per le architetture delle archistar, da Zaha Hadid a Jean Nouvel. La macchina urbana è messa a valore, produce profitti e attira visitatori (8 milioni nel 2018), diventando in breve tempo un «iconic landmark» che segna il territorio della metropoli.

Gentrificare e turisticizzare sono gli obiettivi, che però devono essere perseguiti non in modo palese e tanto meno sfacciato. La High Line deve mantenere aspetti di informalità estetica e di imprevisto urbano anche dal punto di vista della produzione artistica e culturale. Lungo il percorso vengono attrezzati spazi espositivi e si programmano eventi culturali, performance musicali che a una prima impressione sembrano svilupparsi quasi spontaneamente ma che invece sono rigidamente pensati e controllati dall’ente che gestisce il parco urbano. Andando un po’ più a fondo emerge l’uso di una delle varianti della «Domestication Theory» applicata a uno spazio urbano gentrificato. Camminare in riva al fiume Hudson guardando lo skyline del New Jersey, sostare per guardare un paio di opere d’arte e sentire per alcuni minuti un piccolo concerto, informarsi sulle essenze arboree che si incontrano, sedersi o stendersi sulle panchine di materiale riciclato e dal design postmoderno è un’esperienza che coinvolge, perché avviene in quel luogo a New York, ma al tempo stesso rimanda a possibili se non probabili quotidianità vissute nelle città di provenienza. Sottotraccia si veicola un potente messaggio fatto di simboli, immaginari e comportamenti: solo in uno spazio urbano fortemente gentrificato ciò può accadere.

Nel marzo del 2019 il cerchio si chiude con l’apertura, alla fine della High Line, del Hudson Yards. Un agglomerato da 25 miliardi di dollari di grattacieli riflettenti, uffici di avvocati e broker finanziari, abitazioni da milioni di dollari, centri commerciali e negozi extra-lusso, ristoranti esclusivi, scuole private, piazze per turisti in cerca di selfie, lucide stazioni della metro, auditorium, spazi espositivi e museali, architetture ludiche (The Vessel). Qualcuno ha parlato di città-stato nella metropoli. Si può abitare, andare in palestra, portare i bambini a scuola, lasciare il cane al dog-sitter, andare in ufficio, fare shopping, mangiare fuori, visitare un museo, una galleria d’arte, andare al cinema o a un concerto senza nemmeno attraversare la strada. L’area è cablata con una fibra ottica che permette solo ai residenti di accedere alla rete, a vari tipi di servizi e comunicare tra loro ad alta velocità. Non è una classica gated community, non ci sono muri e cancelli. La divisione tra residenti e visitatori avviene sul diverso uso dello spazio urbano e sull’accessibilità, in base al reddito, ai servizi e alle merci. La macchina urbana della High Line è diventata anche, con gli opportuni adeguamenti ai singoli contesti, un modello esportabile. Si stanno realizzando progetti simili a Chicago, Atlanta, San Antonio e Washington. E recentemente se ne è iniziato a parlare anche a Milano. Non si tratta solo di vari episodi di valorizzazione capitalista dello spazio urbano, qui la posta in gioco è la rappresentazione e il funzionamento di un modello di relazioni sociali e di vita.

 

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