domenica , 24 Novembre 2024

Il movimento sociale dello sciopero femminista in Italia

di MATILDE CIOLLI ‒ PAOLA RUDAN ‒ ALESSANDRA SPANO

Dopo l’introduzione di Cinzia Arruzza e il contributo di Alondra Carrillo Vidal dal Cile, pubblichiamo la traduzione del contributo sul movimento in Italia apparso sul numero speciale di «Viewpoint Magazine», New Dispatches from the Feminist International, dedicato allo sciopero femminista globale.

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Il 7 ottobre 2018 l’assemblea nazionale di Non una di meno (NUDM) ha proclamato lo «stato di agitazione permanente» verso l’8 marzo. Questo slogan è stato utilizzato per descrivere le tappe di avvicinamento (una serie di manifestazioni contro le politiche misogine e razziste del governo di destra italiano) al terzo sciopero globale femminista, ma anche per nominare lo sciopero come un processo. Oggi NUDM è il movimento sociale dello sciopero femminista. Lo è perché il tempo che separa un 8 marzo dall’altro non è mai stato vuoto, ma è sempre riempito dalle iniziative politiche di chi partecipa alle assemblee locali di NUDM e dalle numerose sollevazioni globali femministe che hanno alimentato questo movimento: gli scioperi e le manifestazioni in massa in Polonia, Irlanda e Spagna, la lotta argentina per un aborto libero, sicuro e gratuito, lo sciopero delle insegnanti negli Stati Uniti così come le lotte e gli scioperi locali delle donne, meno conosciuti ma non per questo meno importanti.

Il nome Non una di meno, che riprende l’urlo argentino contro la violenza maschile sulle donne, Ni una menos, dimostra che l’esperienza italiana è nata all’interno di un movimento transnazionale. Il lancio di uno sciopero delle donne in Argentina, a sua volta ripreso dallo sciopero polacco contro il divieto di abortire, ha trasformato le immense mobilitazioni contro i femminicidi in un movimento globale capace di mettere in moto diversi processi di politicizzazione. L’incontro tra il femminismo e lo sciopero ha modificato entrambi. Utilizzato contro la violenza patriarcale, lo sciopero ha acquisito una dimensione pienamente sociale: partendo dalla sua forma tradizionale di interruzione della produzione e portandolo oltre i suoi limiti, il movimento femminista ha spinto lo sciopero fuori dai luoghi di lavoro trasformandolo in uno strumento di lotta contro la riproduzione di una specifica oppressione che dà forma alla società in generale. Gli stupri e i femminicidi sono ora visti come la punta di un processo sociale che assume svariate forme: dalla tradizionale divisione sessuale del lavoro – intensificata dalle politiche neoliberali di tagli e privatizzazione del welfare – al suo inserimento nel mercato basato principalmente sullo sfruttamento del lavoro delle donne migranti; dall’attacco alla libertà di abortire al crescente razzismo istituzionale che colpisce per prime le donne migranti e legittima l’esistenza delle gerarchie sociali; dalla difesa reazionaria della famiglia patriarcale alle politiche di precarizzazione. Allo stesso tempo, lo sciopero ha portato il femminismo dentro i luoghi di lavoro, evidenziando il nesso tra violenza patriarcale e sfruttamento per mostrare come la violenza sessuale, la divisione sessuale del lavoro e la riproduzione di gerarchie basate sul genere siano strumenti necessari per disciplinare le lavoratrici e produrre divisioni tra tutti i lavoratori. In questo modo, il femminismo è stato trasformato dallo sciopero: la violenza patriarcale è presa di mira in quanto colonna portante dell’ordine neoliberale. Il neoliberalismo ha bisogno del patriarcato e del razzismo in quanto essi producono le condizioni politiche necessarie per la riproduzione del capitale come rapporto sociale, il quale non potrebbe imporsi senza questo surplus di violenza. Perciò, attraverso lo sciopero, l’iniziativa femminista pretende di essere il punto d’inizio di una messa in discussione generale della società capitalistica globale. La lotta contro la violenza maschile diviene l’occasione per tutte e tutti di prendere posizione e sostenere apertamente che nessuna liberazione può avvenire al prezzo dell’oppressione e dello sfruttamento di qualcun altro.

La necessità di ripensare e praticare lo sciopero come un’iniziativa femminista, così come di condividere discorsi e rivendicazioni comuni è stato e continua a essere un punto guida dell’organizzazione di NUDM. Fin dal 2016 sono nate assemblee locali in tutta Italia e molte di queste stanno comparendo adesso anche in piccole città. Queste assemblee sono coordinate a livello nazionale attraverso mailing-list, Skype call e incontri nazionali. Questi ultimi sono il momento in cui vengono discussi i passi successivi e vengono definite le priorità politiche. Le assemblee locali sono composte da «Centri anti-violenza» (luoghi femministi di supporto per le donne in fuga da rapporti violenti o che stanno combattendo le conseguenze di stupri e violenza maschile), collettivi femministi e queer, associazioni e sindacati di base, così come persone – per lo più donne, ma non solo – che non sono mai state attiviste prima. Per quanto concerne l’organizzazione, lo sforzo è sempre stato quello di andare oltre la semplice coalizione di gruppi organizzati già esistenti trasformando le assemblee in luoghi di produzione di discorsi condivisi da tutte e tutti, per organizzare azioni e iniziative politiche in grado di essere espansive, a partire dallo sciopero femminista inteso come un processo.

Data la composizione eterogenea delle assemblee ci è voluto tempo per definire un terreno condiviso di lotta e un vocabolario politico comune. L’articolazione di un’analisi condivisa delle forme molteplici assunte dalla violenza patriarcale ha permesso a NUDM di individuare delle rivendicazioni politiche condivise: un aborto libero, legale e sicuro contro i continui attacchi alla legge che ne regola l’accesso volti a limitare la libertà delle donne e reimporre la famiglia patriarcale come struttura necessaria per la riproduzione dell’ordine sociale; un salario minimo europeo per combattere sia la disuguaglianza economica che colpisce le donne come lavoratrici, sia il modo in cui i differenziali salariali transnazionali sono gestiti per intensificare lo sfruttamento del lavoro migrante nelle case e nei luoghi di lavoro; un «reddito di autodeterminazione» come strumento capace di sostenere la lotta delle donne contro la violenza, contro le nuove forme di workfare messe in campo dal governo nazionale per intensificare il controllo sulla forza lavoro e i cui effetti sono particolarmente evidenti sulle donne; un permesso di soggiorno europeo incondizionato per i migranti contro tutte le forme di razzismo istituzionale che sempre più legittimano lo stupro come strumento di governo dei confini e peggiorano le condizioni di sfruttamento del lavoro migrante. Negli ultimi due anni queste rivendicazioni hanno fatto parte di tutte le iniziative locali e nazionali di NUDM. Esse non sono un mero strumento di negoziazione con il governo in carica, né un programma appropriabile da qualche partito politico in campagna elettorale. Piuttosto, queste rivendicazioni sono l’espressione dell’autonomia di NUDM rispetto a tutte le organizzazioni politiche esistenti e definiscono una piattaforma per espandere e rafforzare processi di organizzazione sotto il segno dello sciopero femminista.

Questi processi in atto stanno risignificando lo sciopero da un punto di vista femminista. Visto che lo sciopero mira a interrompere il lavoro riproduttivo delle donne, salariato e non, NUDM si è misurata con il compito di dare visibilità a ciò che di solito rimane nascosto dietro le mura domestiche nonostante la sua centralità per la riproduzione della società in quanto tale. Insieme all’utilizzo dei simboli dello sciopero – come le bandiere di NUDM che vengono appese alle finestre delle case, o i pañuelos indossati per segnalare la propria partecipazione allo sciopero – in tutte le città italiane lo sciopero è durato 24 allo scopo di interrompere una giornata lavorativa globale di riproduzione sociale, resa ancora più visibile dai cortei. Negli ultimi anni, in Italia come nel resto del mondo, i cortei hanno costituito un momento aggregativo dello sciopero, un momento in cui è possibile prendere posizione per rifiutare i ruoli di genere e le gerarchie imposte dalla violenza sociale patriarcale. I cortei, quindi, sono il momento in cui chi non può prendere parte all’interruzione del lavoro produttivo – a causa dell’isolamento, della precarietà o dell’esposizione alle ripercussioni dei padroni – può rompere questo isolamento e comunicare con tante altre persone che sono nella sua stessa condizione. Nelle città più grandi le manifestazioni sono state enormi e hanno coinvolto decine di migliaia di persone. Anche in quelle più piccole esse hanno aperto processi di politicizzazione, organizzazione e protagonismo senza precedenti.

NUDM non si limita all’organizzazione dello sciopero dell’8 marzo, ma punta a stabilire una connessione politica con quelle lotte che fanno emergere il nesso tra oppressione patriarcale e razzista e sfruttamento. Nell’ultimo anno, per esempio, assemblee locali di NUDM, come quella di Bologna, hanno sostenuto con forza le lotte del movimento autonomo dei migranti contro la nuova legge sicurezza messa in campo dal ministro degli interni di estrema destra Matteo Salvini, la quale peggiora radicalmente la condizione dei migranti. Più di recente, le assemblee delle città vicine a Modena hanno preso posizione al fianco delle lavoratrici migranti in sciopero contro Italpizza, un’azienda che approfitta della condizione di ricattabilità delle donne migranti per non firmare contratti di lavoro idonei e colpire i loro salari. A Catania NUDM ha sostenuto la lotta di un gruppo di lavoratrici di un asilo nido del posto che non ricevevano lo stipendio da mesi; a Milano alcune migranti e lavoratrici domestiche si sono avvicinate all’assemblea di NUDM per denunciare le violenze sessuali e gli abusi dei loro padroni. In tutte queste occasioni il sostegno di NUDM non è stato un mero atto di solidarietà, ma un tentativo di rendere visibile il carattere politico e transnazionale delle lotte e degli scioperi di queste donne per produrre uno spazio in cui donne migranti e lavoratrici domestiche potessero far sentire le loro voci.

Fare lo sciopero femminista ha significato, e continua a significare, portare la lotta contro la violenza patriarcale dentro i luoghi di lavoro. A causa dell’opposizione dei sindacati questo progetto è oggetto di una contesa. È un dato di fatto che il movimento sociale dello sciopero femminista influisce fortemente sui sindacati provocando reazioni e ostilità, ma ancora di più obbligandoli a chiarire la loro posizione. Così, lo sciopero femminista ha costruito un fronte dello sciopero che include sia le lavoratrici e i lavoratori dei maggiori sindacati, in aperto disaccordo con le loro strutture, sia i sindacati di base, alcuni dei quali hanno proclamato lo sciopero. In questo modo il movimento sociale dello sciopero femminista sta ridefinendo lo sciopero come arma politica che sfida tutte le forme organizzative tradizionali e come processo di connessione di figure del lavoro che decenni di politiche di precarizzazione avevano diviso e indebolito. Lo sciopero femminista è uno sciopero politico in quanto si contrappone al patriarcato come fondamentale rapporto sociale di oppressione che sostiene lo sfruttamento capitalistico. La sua matrice politica fa sì che lo sciopero femminista sia già un movimento transnazionale che, in quanto tale, si sta facendo espressione di una potente opposizione alle politiche nazionaliste e reazionarie promosse dai sovranisti e dai populisti neoliberali di oggi come Bolsonaro, Orbán e Salvini. È innegabile che ognuno di questi paesi ha la sua specifica legislazione in tema di aborto, rapporti familiari, migrazioni, lavoro e welfare. Di conseguenza, in ognuno di questi paesi il movimento femminista sta definendo piattaforme atte a contrapporsi alle politiche reazionarie messe in campo dagli Stati che tentano di rispondere al grido di libertà lanciato da donne, migranti e precari di ogni genere. Ad ogni modo, proprio come queste politiche nazionali sono segnate dall’operare simultaneo e transnazionale di patriarcato, razzismo e neoliberalismo, così il movimento che lo contesta è a sua volta transnazionale. La dimensione transnazionale della pratica dello sciopero femminista, però, non è stata ancora trasposta sul piano dell’organizzazione.

Negli ultimi mesi NUDM in Italia ha iniziato a discutere l’urgenza e l’importanza di un incontro transnazionale. Alcune attiviste italiane, insieme a donne provenienti da Francia, Germania, Turchia, Argentina, Nicaragua e Cile, hanno preso parte all’incontro della Comision International 8M a Valencia avvenuto durante l’assemblea nazionale spagnola chiamata per organizzare lo sciopero femminista dello scorso 8 marzo. Il 29-31 marzo attiviste di diversi paesi hanno partecipato alla mobilitazione e all’assemblea organizzata da NUDM contro il Congresso mondiale della famiglia, in corso a Verona in quegli stessi giorni. Questo congresso reazionario evidenzia come i vari attacchi alla libertà delle donne e alla cosiddetta «ideologia del genere» sono parte di un tentativo congiunto ed esteso su scala globale di rimettere le donne «al loro posto» e riaffermare il ruolo della famiglia nel strutturare un ordine sociale gerarchico, in particolare in questo momento di intensificazione neoliberale dello sfruttamento. Lo sciopero femminista, e l’immensa manifestazione lanciata da NUDM contro il WCF il 30 marzo, quando circa 150.000 persone sono scese in piazza, mostrano chiaramente che questa combinazione di oppressione e sfruttamento non può essere contrastata con azioni solo su scala nazionale. Un incontro femminista transnazionale – in parte già discusso collettivamente a Verona da militanti femministe provenienti da almeno una decina di paesi diversi – promuoverebbe una comunicazione transnazionale più approfondita. Esso rappresenterebbe un passo in avanti verso la realizzazione di qualcosa di più di una semplice alleanza tra gruppi nazionali, pratiche e rivendicazioni già date, permettendo di ripensarle a partire da una prospettiva transnazionale. Le condizioni specifiche locali di sfruttamento e oppressione potrebbero essere lette alla luce dei processi che le producano all’interno delle catene globali del valore e della cura, ma anche a partire dal movimento che pretende di spezzare quelle catene. Un incontro femminista transnazionale sarebbe l’occasione di rinforzare un movimento dello sciopero che punta a sovvertire l’oppressione su scala globale, permettendo di lottare contro le sue manifestazioni locali e nazionali.

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