venerdì , 22 Novembre 2024

Blockards from Frankfurt #4. La vittoria e lo spiazzamento

31494763-300x212Dopo i racconti dei giorni scorsi (#1, #2, #3) , in quest’ultima Blockard from Frankfurt presentiamo alcune interviste fatte dopo il grande corteo di sabato. Con Hagen di No One Is Illegal – Hanau e del No Border Network, con Marcus di Fels – Berlin e Martin della Interventionistische Linke e con Christos del collettivo Dikaioma di Atene parliamo di queste giornate, e delle prospettive che aprono sul piano della comunicazione e organizzazione transnazionale.

È spiazzante a volte vincere. C’è un punto sul quale infatti questi interventi convergono: si è trattato di una vittoria. Per quanto contraddittoriamente – non si può infatti negare, come nota Hagen, che i divieti dei primi due giorni abbiano limitato la partecipazione – il solo annuncio dei blocchi ha avuto l’effetto di interrompere l’attività della city finanziaria, mentre l’assenza di scontri ha reso del tutto ingiustificato lo spropositato dispiegamento di forze di polizia disposto dalle istituzioni. Persino la stampa tedesca – che fino a sabato ha lanciato l’allarme per gli inevitabili disordini – ha dovuto ammettere che il successo sta dalla parte dei protagonisti di #Blockupy.

Ancora con Hagen, però, vale la pena sottolineare che dopo queste importanti giornate la city ha riaperto i battenti. E tanto sul piano locale quanto su quello transnazionale si tratta di pensare alle possibilità che #Blockupy ha messo in campo. A Francoforte centinaia di realtà diverse – per la loro provenienza geografica e per la loro prospettiva politica – si sono ritrovate a condividere il rifiuto deciso delle politiche di austerity dettate dall’Unione Europea. L’unità che si è espressa in questi giorni, però, è solo il primo passo verso processi di organizzazione che, come sottolinea Christos, devono essere in grado di radicarsi nei contesti locali pensando su scala transnazionale. Su questo terreno, nessuna esperienza è direttamente esportabile, ma è necessario raccogliere la sfida di connettere i mille pezzi del labirinto precario. Per quanto possa apparire paradossale, considerando che si tratta del luogo europeo in cui la crisi mostra la sua faccia più spietata, in Grecia la precarietà viene formalizzata soltanto ora. Proprio il 15 maggio, data centrale per il movimento globale, lì è stata presentata una legge che spazza via ogni tipo di lavoro garantito. Se, come Christos afferma, la condizione precaria è quella attorno alla quale oggi si organizzano la produzione e la riproduzione del capitale, è allora necessario inventare nuove forme di organizzazione «per vincere anche quando tutto intorno sembra disintegrarsi». Non si parte da zero, evidentemente. E questo non soltanto perché giornate come quelle di Francoforte sono in grado di essere già e concretamente transnazionali ma anche perché, come afferma Marcus, esistono ovunque esperienze di lotta contro il potere del capitale che rendono visibile la possibilità di un’alternativa radicale. Se qualcuno ha evocato le giornate di Seattle – per il significato globale di cui #Blockupy è stato giustamente investito, ma anche per il timore che a Francoforte si scattassero le stesse istantanee di repressione violenta – qui secondo Marcus si è andati oltre lo slogan «un altro mondo è possibile» che aveva animato il momento inaugurale del movimento no-global. La possibilità è presente, ma la sua attualità pretende nuovi processi di connessione. Un’indicazione rilevante, in questo senso, è offerta proprio dal movimento No Border che, insiste Hagen, pone il problema di legare le lotte dei precari e dei migranti perché anche in questo sta la sfida del «pensare transnazionale». Non è scritto da nessuna parte che un’Europa diversa da quella di oggi, che apra la strada a qualcosa di diverso dall’austerity, non continui a farlo sulla pelle dei migranti, così come le conquiste sociali sono avvenute dietro l’ombra lunga del colonialismo. Per questo, nel mondo globalizzato di oggi l’opposizione all’austerity non è la soluzione al problema, ma casomai il campo di tensione dove cercare di rovesciare i rapporti sociali sui quali si basa il capitale.

Durante la manifestazione, una splendida rivisitazione del famoso aforisma di Bertold Brecht sulle banche recitava: «meglio la rapina in banca del land grabbing», a indicare la dimensione globale di ciò che passa dai grattacieli di vetro della city europea. Su questa scala bisogna pensare: da Francoforte a Tunisi, da Atene a Berlino fino a Chicago, la sfida di organizzare l’inorganizzabile è quanto siamo ancora chiamati a realizzare. 

Hagen – No One Is Illegal, Hanau / No Border Network 

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Christos – collettivo Dikaioma, Atene

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Marcus – Fels, Berlin / Interventionistische Linke

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Martin – Interventionistische Linke

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