Pubblichiamo la versione integrale della recensione uscita su «Il Manifesto» del 18 ottobre 2016
Prima di diventare una disciplina accademica con una molteplicità di partizioni interne che quasi s’ignorano reciprocamente, la sociologia si è costituita come teoria politica in grado di incorporare forme e figure sorte assieme alla modernità. Nel momento dell’affermazione definitiva della società con la sua organizzazione capitalistica essa ha afferrato il discorso politico moderno utilizzandolo per costruire un linguaggio che, prima di diventare specialistico, è stato nuovo e innovatore. Nel momento della sua genesi essa è stata necessariamente una «scienza d’opposizione». Questa genesi politica della sociologia è quanto mai evidente nell’opera di Ferdinand Tönnies, uno dei suoi padri fondatori, del quale sono stati ora opportunamente tradotti gli scritti su Spinoza (La teoria sociale di Spinoza, Mimesis, 2016) con una bella introduzione di Nicola Marcucci che li inquadra all’interno dell’opera tönniesiana nel suo complesso. La raccolta comprende tutti i testi spinoziani di Tönnies dal 1873 al 1932 quando, in un intervento sulla libertà di insegnamento e d’espressione, rivendica la necessità politica della spinoziana libertà di filosofare contro la montante marea nazista. Mancano purtroppo traduzioni italiane degli studi che hanno segnato il lunghissimo confronto di Tönnies con Thomas Hobbes. Hobbes e Spinoza sono per lui i massimi propugnatori di un razionalismo che alla fine del XIX secolo può essere utilizzato per criticare e correggere la fede illuministica nella ragione. Essi affermano congiuntamente la piena potestà che gli individui possono collettivamente esercitare sulle loro istituzioni. Nelle loro opere c’è una sorta di sociologia implicita che permette di interpretare i movimenti degli individui all’interno delle differenti situazioni associative. Tönnies non è più considerato il cantore nostalgico della comunità contro i guasti della civilizzazione societaria. Che la sua sociologia sia politicamente più articolata è mostrato dall’effetto combinato che la filosofia hobbesiana e quelle spinoziana producono sui suoi concetti fondamentali. Questa migrazione di concetti politici all’interno della scienza sociale fa sì che quest’ultima, lungi dall’esaurirsi in un sapere specialistico, divenga la forma contemporanea della teoria politica.
Se in Hobbes la società può esistere solo grazie alla mediazione decisiva dello Stato, vi è in Spinoza la rivendicazione del carattere necessariamente sociale dell’uomo. Non si tratta tanto di una propensione naturale alla socialità, quanto del fatto che solo in società l’uomo può essere tale. La comunità di conseguenza non può essere considerata un fenomeno necessario e naturale, perché è l’esito storico di precise scelte sempre riconducibili agli individui stessi. Allo stesso tempo, accanto alle convenzioni costantemente rinnovate, la possibilità che gli uomini scelgano di abbandonare le proprie passioni tristi è alla base della democrazia. Questo universo è sociale è, come la sostanza spinoziana, un «sistema di una causalità chiusa» che impone di ricondurre ogni fenomeno politico e sociale al suo interno. Questo determinismo radicale non consente la legalità di una causazione individuale, ma il dispiegarsi di connessioni tra diverse singolarità. Se la sostanza può essere conosciuta solo attraverso i suoi attributi, anche la comunità e la società possono essere spiegate solo grazie alle azioni degli individui che, tuttavia, dipendono in maniera decisiva dall’ambiente in cui si collocano. In qualche modo gli individui si trovano nella condizione di essere obbligati a volere le azioni che compiono.
Proprio Spinoza è per Tönnies colui che anticipa l’etica democratica dell’uomo moderno. Si tratta di un’etica che muove dalle passioni e dai desideri, ma che non può limitarsi a essi. Certamente non è un’idea della ragione. Merito del razionalismo moderno, infatti, è aver dimostrato che le idee separate dai processi sociali della loro produzione sono delle «superstizioni della ragione». In conformità a questa etica ogni individuo stabilisce una relazione con l’«uomo collettivo», ovvero con l’insieme di conoscenze, passioni e desideri che lo connettono consensualmente a tutti gli altri uomini. Alla base di questa idea dell’uomo collettivo c’è certamente la definizione dell’individuo che Tönnies ritrova in Spinoza, secondo la quale ogni cosa individuale riunisce in sé una moltitudine di parti, facendo a sua volta già parte di un insieme superiore come può essere la natura. All’interno delle condizioni materiali stabilite da questo specifico individualismo, le passioni si trasformano in azioni e viene affermato un universalismo che non considera semplicemente gli uomini astrattamente uguali, ma è uno strumento che muovendo dalla diversità delle loro condizioni punta a produrre l’uguaglianza. Nella sua introduzione Nicola Marcucci parla giustamente di un «universalismo situazionale» che mira a correggere l’universalismo astratto dell’Illuminismo. Si può aggiungere che esso può essere accostato all’universalismo empirico di cui parla Marx nell’Ideologia tedesca. D’altra parte Marx è un’altra delle fonti privilegiate di Tönnies, fin da quando lo osservava a Londra chino sul tavolo del British Museum senza trovare il coraggio di avvicinarsi. La posizione politicamente strategica del riferimento all’uomo collettivo esprime anche il limite costitutivo di ogni individualità, dal momento che nessun singolo può pretendere di avere un concetto adeguato di giustizia. Quest’ultimo, infatti, non può essere fondato «su un atto di conoscenza individuale, che sorge da un appetito, ma su una condizione sociale».
Si tratta di un passaggio rilevante della traduzione sociologica della filosofia spinoziana operata da Tönnies. Essa inaugura una specifica comprensione della società che diviene il punto di partenza e anche l’obiettivo della politica democratica. Risulta perciò a mio parere riduttivo limitare l’apporto spinoziano alla sola dottrina tönniesiana della comunità. Sempre problematicamente connessa alla lezione hobbesiana, essa stabilisce le basi della sociologia tönniesiana dello Stato democratico, che rappresenta il suo culmine politico. Lo Stato democratico è per Tönnies uno Stato sociologico, che mentre riconosce l’esistenza della lotta di classe deve attivamente operare per modificarne le condizioni. Esso non è uno Stato neutro. E solo quando si rivela all’altezza di questo compito, esso è quell’imperium «del tutto assoluto» annunciato da Spinoza.