La politica dell’accoglienza del governo Renzi è il Jobs act di profughi e richiedenti asilo. Alfano non poteva darne prova migliore con la sua idea di «centri di collocamento» in mare. Sì, perché questo sarebbero gli hotspot galleggianti che Angelino vorrebbe installare in mezzo al mare per smistare i profughi, scremare i migranti economici e selezionarli. Non ci scandalizza certo la fantasia di Alfano, né la faccia tosta del Commissario europeo per la migrazione che la trova «interessante». È però senza dubbio degno di nota il cambiamento di atteggiamento nei confronti della cosiddetta «crisi migratoria». Non c’è più spazio neppure per la retorica dei diritti, dell’Europa accogliente, della democrazia. A dire il vero ora non si parla più di «emergenza profughi», anzi Angelino va dicendo – sulla base di statistiche tutte sue – che le commissioni territoriali per i profughi sono «ad arretrati zero». Forse perché negano l’asilo e distribuiscono permessi umanitari come fossero il «riparti dal via» del gioco dell’oca, ma ora che l’Europa ha un po’ alleviato, per quest’anno, la pressione del debito, Angelino, il guardiano dell’acquario, vuole dimostrare con questa trovata l’impegno italiano nel custodire la frontiera meridionale. Anche Gentiloni si affretta a dire che si tratta di mettere le mani avanti preventivamente, di gestire ora lo smistamento, prima che sia troppo tardi.
Renzi fa il poliziotto buono e dice che bisogna smetterla con questa storia dei muri e delle recinzioni e che è invece ora di accordi bilaterali sul modello di quello con la Turchia. È ora di finanziamenti ai paesi africani e di cooperazione, come annunciava il vertice a La Valletta dell’anno passato. Ora che in ballo c’è la poltrona al Consiglio di sicurezza dell’Onu, l’Africa rischia di essere davvero importante per l’Italia, che per ingraziarsi i suoi Stati è disposta persino a cancellare, come ha fatto ieri, il debito al Ciad, figurarsi se non è disposta alla selezione coatta della forza lavoro profuga. Forza lavoro che però in questo modo non è più profuga ma è solo forza lavoro, senza diritti e senza tutele, collocabile dove serve. Basta pescare bene nell’acquario. Se poi l’idea è quella di piattaforme di «allevamento» in mezzo al mare, non c’è bisogno nemmeno di congelare nei centri di accoglienza chi attende un permesso umanitario o l’asilo. Isole di profughi a disposizione dell’Europa e dei suoi scambi con l’Africa. La stessa Africa da cui molti migranti fuggono per forza o per scelta. Entrambe le cose non sembrano di nessuna importanza a chi, come Renzi, vuole gestire «il dramma dei profughi».
Lo sfruttamento è l’unico permesso di soggiorno concesso ai migranti. Pensare di gestire l’identificazione in mezzo al mare significa spostare le frontiere in acqua in modo che sia impossibile oltrepassarle davvero. Siccome non sono muri, dovrebbe essere invece possibile governarle senza interferenze e gestire il lavoro migrante a costo zero per gli Stati. Tutto questo suona tanto cinico e ridicolo, ma è perfettamente in linea con la politica dell’accoglienza italiana. Una ricetta di repressione, reclusione, ricollocamenti, permessi a breve termine, integrazione e volontariato che è finalizzata a produrre lavoratori e lavoratrici disponibili just in time e senza costi. Proprio quello che accade sul mercato del lavoro europeo, ma profughi e migranti, che pure pagano con la vita il loro Jobs Act, continuano a muoversi, a migrare, a sfidare questo stato di cose per conquistarsi continuamente la propria libertà. Questo tentativo di fare del lavoro profugo un lavoro migrante senza potere e senza voce avviene non in barba, ma in ragione di quelle convezioni europee sui diritti umani che dovrebbero rappresentare la tanto sbandierata identità politica dell’Europa. L’unica identità politica dell’Europa oggi è invece basata sulla precarizzazione del lavoro e sullo sfruttamento. Sarà per questo che Alfano può parlare di profughi come di pesci nel mare senza che nessuno dica nulla. Però, se la questione è come andare a pesca, si tratta di sapere chi fa il verme.