L’agente orange, ovvero l’ultimo emissario del capitalismo finanziario internazionale sul terreno della previdenza, riesce finalmente a far decollare l’operazione busta arancione, volta a notificare senza possibilità di scampo a milioni di lavoratori e lavoratrici del nostro paese che quella che li aspetta fra trent’anni è una pensione da fame, nel senso letterale del termine.
Intanto, per cominciare, un piccolo contributo a questo risultato viene subito fornito con la spesa di non meno di 50 milioni di euro per questa operazione di terrorismo previdenziale camuffata da campagna di corretta informazione. Un Istituto Nazionale della Previdenza Sociale con una governance sempre più improbabile: dopo la riforma attuata dal centrodestra berlusconiano del suo assetto istituzionale, con una presidenza che si porta appresso un direttore generale sprovvisto dei requisiti di legge, autosospesosi dal mese scorso dopo l’accertamento di un’omissione contributiva di 40 milioni di euro dell’Enel di cui è stato direttore del personale per un decennio. Ebbene, codesto Istituto Nazionale non trova di meglio, a vent’anni dall’esordio della previdenza integrativa sussidiata e cogestita, che riproporre ancora una volta il cosiddetto secondo pilastro previdenziale. Questa volta, però, lo fa in una logica di ricatto puro che non è più possibile dissimulare: a quanti sono già iscritti ai fondi integrativi di categoria dopo l’entrata in vigore della legge Dini del 1995 (poco meno di 5 milioni, che rimangono tali perché per legge non possono più ritirare la loro adesione) si vogliono aggiungere altri lavoratori. A loro – dopo il fallimento lo scorso anno dell’operazione diversiva «TFR in busta paga», con annessa «piccola rapina fiscale» del governo – si vuole propinare un’ulteriore bubbola che in realtà dovrebbe servire a supportare il processo di costruzione del welfare aziendale, detto anche di secondo livello, integrando l’azione concertativa di Confindustria e sindacati confederali impegnati nella riforma della contrattazione, vale a dire per l’appunto la sua aziendalizzazione.
D’altra parte, evidentemente, anche sul versante pensionistico si vogliono incassare risultati congrui alle azioni governative sul fronte della precarizzazione e della svalutazione del lavoro. Dopo aver venduto oltre 110 milioni di voucher nel 2015 e più di 9 milioni nel solo gennaio 2016, a suggello di tali devastanti risultati si punta a una nuova riforma delle pensioni che chiuda definitivamente la partita della socializzazione del loro costo. L’attacco al lavoro è sempre più esteso e determinato, gli ammortizzatori sociali storici si estingueranno quest’anno lasciando on the road centinaia di migliaia di dipendenti ultracinquantenni in massima parte: la tentazione di chiudere politicamente il conto è forte e i margini per eludere lo scontro vanno esaurendosi. Non va dimenticato, si parva licet, che l’agente orange non è riuscito a impedire la sconfitta statunitense in Vietnam. Una mossa come la busta arancione di massa potrebbe risultare la goccia che fa traboccare il vaso per milioni di precarie, operai e migranti: c’è un limite alle provocazioni dissimulate dalla neolingua della finanza globale.