Il taxi vuoto di un tassista musulmano a New York la notte del 13 novembre simboleggia il significato di ‘terrore’. «La gente», ha raccontato il tassista, «ha paura di me, pensa che io sia parte di quanto accaduto a Parigi, non si sente sicura e io non posso lavorare». Il rischio è infatti che ogni musulmano, ogni persona identificata solo dalla sua pelle, ogni migrante venga considerato un terrorista.
Il terrorismo ha conseguenze che vanno oltre i singoli attacchi e a dispetto della sua vocazione antioccidentale colpirà soprattutto i migranti, musulmani e non. Li colpirà nella vita quotidiana, con il razzismo più o meno velato dei piccoli gesti, ma soprattutto con il razzismo ufficiale delle cosiddette misure di sicurezza che sfruttano il terrore per limitare indiscriminatamente i diritti di cittadinanza, con la restrizione della libertà di movimento, annientando all’improvviso la fatica di migliaia e migliaia di uomini e donne che hanno costruito la loro vita in Europa, anche per sfuggire la guerra, anche per sfuggire il terrore, ma soprattutto per migliorare la propria vita, per qualcosa di più del solo salario. I seguaci del terrore lo sanno. Per questo nei loro scritti e nelle loro azioni dichiarano guerra ai migranti che cercano tutto questo in Europa.
Il terrore li insegue e improvvisamente sembra valere più di tutti i loro sforzi, dello sfruttamento che affrontano ogni giorno nei luoghi di lavoro, del coraggio con cui affrontano una battaglia quotidiana contro leggi razziste e contro il labirinto amministrativo in cui sono costretti per ottenere i documenti. Il terrore sembra valere più delle lotte che, a prescindere dalla religione professata, portano avanti contro la precarietà, quelle lotte che gli europei non sembrano più capaci di fare.
Questo terrore verrà usato da oggi in poi contro i migranti per sostenere con ancora maggiore forza e legittimazione il razzismo istituzionale e per trasformarli definitivamente in forza lavoro usa e getta. Saranno i migranti i primi a subire perquisizioni a tappeto e controlli arbitrari, perché a loro i diritti possono sempre essere tolti. Il terrore dei terroristi che si dicono musulmani verrà usato per sottomettere e privare dei loro già precari diritti i musulmani e i migranti tutti che non sono terroristi. Il terrore vale di più dei musulmani morti al Bataclan, o dei musulmani eroi del Charlie Hebdo o di tutti quei musulmani, altrettanto eroi, che fuori dall’Europa cercano di costruire un futuro migliore provando a sfuggire alla miseria e allo sfruttamento. Il terrore vale di più del fatto che i terroristi che hanno agito a Parigi erano pochi individui in mezzo ai milioni di migranti che da decenni attraversano l’Europa.
Secondo la stessa logica, i morti di Parigi valgono più dei morti di Beirut, Ankara o Nigeria, dei morti sotto le bombe occidentali in Iraq, Afghanistan e Siria. Di tutti i palestinesi innocenti uccisi a Gaza per la salvaguardia dello Stato di Israele. La verità è però che chi si arrende a questa logica si arrende al terrorismo, chi mette la nazione prima di tutto, proclama stati di emergenza e pretende di risolvere il problema della sicurezza interna togliendo la cittadinanza o espellendo «gli stranieri che pongono un serio rischio per la pubblica sicurezza» sta facendo il gioco del terrore, laddove il terrore fa il gioco dello sfruttamento e del razzismo. Un gioco che le istituzioni europee, in barba alla libera circolazione e ai diritti su cui dicono di fondarsi, hanno scelto da tempo perseguendo politiche migratorie fatte di muri e burocrazie.
Sappiamo che in corso non c’è una guerra tra Occidente e Oriente come spesso viene detto, perché fortunatamente l’Occidente è fatto anche di migranti, musulmani e non, che rifiutano il terrorismo e i regimi, che lottano per la libertà anche per gli europei, e che oggi, di fatto, sono l’Europa. Così come sappiamo che il mondo islamico è fatto anche di donne e uomini che lottano con estremo coraggio contro il terrorismo, il patriarcato, la violenza, come accade in Rojava, come accaduto nelle piazze della primavera araba, come continua ad accadere in luoghi che non hanno voce.
L’Europa è di fronte a una scelta che non è tanto tra guerra e pace ma tra lo stare dalla parte del terrore o dalla parte dei migranti e di chi cerca libertà e una vita migliore. L’Europa finora ha garantito la pace al suo interno, anche se spesso al prezzo della povertà e dello sfruttamento; cosa sceglierà di fare ora cambierà la vita di tutti.
Non è il momento di disertare, ma di scegliere da che parte stare: per questo la lotta quotidiana contro il razzismo istituzionale e la solidarietà non bastano. Per questo dobbiamo fare del prossimo primo marzo un giorno nel quale migranti, rifugiati, e precari mostreranno a tutta Europa qual è la parte da cui stare. Sarà il giorno in cui tutti insieme diremo il nostro no al terrore, al razzismo e allo sfruttamento. Diversi movimenti e sindacati europei hanno già detto che il prossimo primo marzo sarà il giorno dei migranti e dello sciopero del lavoro migrante, una grande giornata di mobilitazione in tutta Europa. Quel giorno torneremo a manifestare e scioperare in massa in Italia e in Europa contro ogni terrore.