domenica , 24 Novembre 2024

Il Blockupy di domani, per farla finita con la tristezza

Fine della tristezzaEnglish

Nelle settimane che hanno preceduto il 18 marzo, il grande evento che avrebbe dovuto inaugurare la nuova sede della Banca Centrale Europea è stato sempre di più ridimensionato. Si è passati da un brindisi in grande stile a un più modesto aperitivo, fino ad arrivare a un rapido caffè il cui svolgimento è stato reso possibile da un incredibile dispiegamento di forze dell’ordine. Quando abbiamo raggiunto i blocchi di manifestanti provenienti da ogni parte d’Europa che all’alba del 18 marzo hanno presidiato i punti d’accesso all’Euro Tower ci si è parata davanti l’immagine di un’immensa trincea: filo spinato, idranti, il blocco nero della polizia tedesca bardato a festa. Dai cieli della finanza alla terra della precarizzazione, l’austerity è una violenza quotidiana che il 18 marzo ha mostrato chiaramente di avere bisogno di un braccio armato.

Quello del 18 marzo non è stato un assedio. Non solo perché i blocchi dei manifestanti si sono quasi subito mossi, spostandosi per la città e riorganizzandosi per resistere a un’azione repressiva altrettanto organizzata, ma anche e soprattutto perché è stato il frutto di un processo di lungo periodo, che a partire dal 2012 ha creato le condizioni per una reale convergenza di massa dei movimenti europei. Senza questo lungo lavoro di preparazione non ci sarebbe stato un luogo per la rabbia che si è espressa nelle strade, né si potrebbe spiegare l’imponente manifestazione del pomeriggio, quando decine di migliaia di persone si sono radunate a Römer Platz prima di attraversare in corteo la città. Il successo in termini di partecipazione – venticinquemila persone – è certamente dovuto all’impegno organizzativo del movimento tedesco e delle strutture che hanno sostenuto in questi anni il percorso di Blockupy, ma va ben al di là dello slancio nazionale. Francoforte è stata il centro dell’Europa non perché è la sua capitale finanziaria, ma perché migliaia di persone provenienti da ogni parte d’Europa si sono mobilitate per la fine della tristezzaFür ein Ende der Traurigkeit, per riprendere le parole di uno degli striscioni d’apertura – attraverso l’insubordinazione di un continente che rifiuta la sottomissione al dominio finanziario del capitale.

Si può dire, paradossalmente, che il successo di Blockupy sta nel fallimento del suo nome. L’apertura della nuova sede della BCE non è stata bloccata e anzi la nuova torre è entrata in funzione molto prima della farsa della sua inaugurazione ufficiale. Tuttavia, per le strade di Francoforte il 18 marzo è stata evidente la possibilità di organizzare l’insubordinazione quotidiana contro le politiche di austerità e precarizzazione anche al di là delle azioni simboliche o dello spettacolo di un riot ben riuscito, di cui pure la città è stata il teatro. Se l’esito delle elezioni greche ha indicato la possibilità di un rifiuto radicale dell’austerità e della sua presunta ineluttabilità tecnica, a Francoforte si è mostrata la necessità di un’iniziativa politica autonoma realmente europea. Per questo, l’apertura ufficiale della nuova sede della BCE pone fine a Blockupy, ma dopo la sua fine Blockupy non può che continuare.

La direzione, evidentemente, non è data. Se l’obiettivo di bloccare l’apertura della BCE è stato capace di tenere insieme una coalizione composita – un vasto spettro di realtà di movimento con sindacati e partiti della sinistra europea – ora si tratta di stabilire priorità politiche, non più solo simboliche o riferite a un grande evento contro-istituzionale, che sappiano tradurre la generale opposizione al dominio finanziario del capitale in un programma condiviso su vasta scala. Si tratta anche di rendere comunicanti e connessi i percorsi e gli spazi di discussione che nel frattempo si sono aperti e consolidati, dando visibilità e trasparenza al processo dello sciopero sociale transnazionale che intanto ha preso una direzione più decisa.

Anche da questo punto di vista, le giornate di Francoforte hanno indicato una possibilità: il 18 marzo uno spezzone composto dagli strikers italiani, dai lavoratori che hanno scioperato nel magazzino Amazon di Bad Hersfeld e dal Coordinamento tedesco di supporto agli scioperi ha attraversato il corteo. Contemporaneamente, nel magazzino di Bad Hersfeld centinaia di lavoratori scioperavano per dare un senso pratico allo striscione di apertura dello spezzone ‒ Block austerity: strike against precarity and crisis ‒ e per affermare la necessità di ripoliticizzare le lotte sul lavoro e contro la precarietà su scala europea. Di questo hanno discusso il 19 marzo più di cento donne e uomini, precarie, operai e migranti, sindacati provenienti dalla Svezia e dalla Francia, dal Portogallo e dall’Italia, dalla Germania e dalla Polonia, dalla Gran Bretagna e dal Belgio. Un’assemblea riunita attorno a una domanda: Verso uno sciopero sociale transnazionale?, piuttosto che a una risposta, perché la risposta non è data come non lo sono le forme dell’organizzazione transnazionale. L’individuazione di una giornata d’azione condivisa potrà essere un primo passo, ma non sarà la soluzione di questo rompicapo ed è chiaro che solo sul medio-lungo periodo si riuscirà a produrre allargamento e organizzazione reali, dentro e fuori i luoghi di lavoro. I workshop hanno reso evidente la necessità di farsi carico delle differenze profonde tra le condizioni di lavoro, i regimi del salario, le situazioni giuridiche e le modalità di intervento sindacale e di movimento attraverso i confini. E tuttavia, dalla discussione è emersa la ferma volontà politica di individuare modalità concrete per aggredire le catene globali dello sfruttamento e definire una piattaforma politica comune – per il salario minimo, un welfare, un reddito e un permesso di soggiorno minimo europei – attorno alla quale creare una comunicazione e un’organizzazione transnazionale di lotta contro la precarizzazione del lavoro e della vita. Abbiamo condiviso l’esigenza di non affrettare il complesso processo di connessione e coinvolgimento delle figure del lavoro e della precarietà. Abbiamo preso l’impegno comune a muoverci sin da ora, per accumulare forza e condivisione di discorsi e parole d’ordine verso il prossimo incontro, pianificato per settembre. Il tempo dello sciopero sociale transnazionale è arrivato, lo sciopero sociale transnazionale ha bisogno del suo tempo.

Blockupy è già andato oltre il 18 marzo; è già stato qualcosa di più dei blocchi e della manifestazione. Blockupy continuerà però a esistere se si trasformerà nello spazio in grado di consentire la continuazione dei processi maturati al suo interno. Altrettanto vale per le prospettive di social strike aperte dallo Strike meeting: lo sciopero sociale sarà possibile solo se non pretenderà di esportare il suo modello in Europa, ma sarà in grado di farsi carico delle contraddizioni, delle differenze e delle difficoltà che quella parola d’ordine incontra anche oltre i confini italiani. In entrambi i casi sappiamo che la sfida non è di produrre momenti simbolici, ma insubordinazioni reali in una lotta costante per andare oltre il presente. Questo è per noi un pezzo del domani di Blockupy. Questo è per noi un pezzo del domani dello Strike meeting. Non si tratta, evidentemente, di lasciarsi alle spalle la lotta contro le politiche di austerity e contro il governo finanziario dell’Europa, ma di mostrare la connessione costante e sistematica tra il cielo della finanza e la terra della precarietà e di portare le lotte contro il debito, contro l’impoverimento, contro la disoccupazione, contro lo sfruttamento del lavoro nel cuore dell’Europa, sfidandola nella sua attuale costituzione materiale. Per farla finalmente finita con la tristezza.

 

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