Il 23 settembre 2011 su iniziativa del Coordinamento migranti Bologna e provincia e di (s)Connessioni precarie si è svolta l’assemblea costituiva del Laboratorio metropolitano per lo sciopero precario. Proposti e discussi nell’ultimo anno all’interno degli Stati generali della precarietà, i laboratori sorgeranno in ogni città nella quale si svolgerà un lavoro comune in vista dello sciopero precario. Pubblichiamo di seguito il report di questa prima assemblea che è allo stesso tempo anche il documento costituente del Laboratorio bolognese.
La precarietà è una condizione che deve poter parlare. La precarietà non è un argomento di cui parlare. Questa è la sfida raccolta dalla prima assemblea del Laboratorio metropolitano per lo sciopero precario che ha visto la partecipazione di una cinquantina di precarie e precari, migranti e italiani, sindacalisti e attivisti del movimento bolognese. Trasformare le parole dei precari in un discorso articolato, in una forza che travolge i silenzi e le chiacchiere: tutti insieme abbiamo riconosciuto la necessità di una laboratorio delle voci precarie.
Nel corso dell’assemblea hanno preso parola quei precari e quelle precarie di cui troppo spesso si parla, e su cui sempre si specula, ma che troppe poche volte fanno sentire la loro voce. Troppe poche volte hanno la possibilità di discutere tra loro, di mettersi in connessione e trasformare il loro isolamento in una comunicazione collettiva capace di esprimere forza. Questa forza va prodotta e moltiplicata: migranti e non migranti, lavoratrici e lavoratori più o meno precari, come soggetti della precarietà e non come oggetti di una precarizzazione che si svolge a loro spese, devono esserne protagonisti. La sfida del Laboratorio è di uscire da una visione esclusivamente individuale della precarietà e riconoscerla come condizione strutturale del lavoro contemporaneo, seppur caratterizzata da differenze e gerarchie di tipo contrattuale, sessuale e di cittadinanza. Queste differenze devono potersi esprimere nella voce precaria, devono poter parlare affinché l’isolamento si rovesci in forza. I migranti e le migranti sono perciò centrali in questo percorso, perché fanno esperienza come e più di altri delle gerarchie che dividono e fanno la precarietà e perché, nonostante tutto, hanno già trovato la forza di scioperare denunciando la loro condizione particolare come condizione che investe tutto il lavoro. Altrettanto centrali sono le donne, perché la divisione sessuale del lavoro le costringe a una precarietà del tutto specifica, e perché come «prestatrici di servizi» (nel lavoro domestico e di cura, negli ospedali, nelle scuole) mostrano che il welfare che ancora sopravvive è sempre più anche luogo di lavoro e di precarizzazione.
Partendo da questo processo di connessione di esperienze lavorative diverse, il Laboratorio vuole essere il luogo a partire dal quale immaginare e sperimentare le forme dello sciopero precario, perché noi questo sciopero abbiamo intenzione di farlo sul serio. Questo non può essere la replica delle forme tradizionali di sciopero: la sua stessa realizzazione sarà “precaria”, perché precari sono i soggetti che lo immaginano e lo mettono in pratica, a partire dalle contraddizioni che la condizione precaria innesca. Non c’è niente di scontato: «ma tu sai per chi lavori?» è una delle domande emerse nel corso della prima assemblea del Laboratorio. Conoscere la posta in gioco di questa domanda è allora centrale, perché lo sciopero precario deve saper individuare i precarizzatori se vuole colpire i loro profitti, se vuol far male. Non c’è niente di scontato perché troppo spesso la precarietà non riconosce se stessa. Non è raro che un magazziniere del reparto logistico o un operaio in catena di montaggio di una fabbrica sia in realtà assunto tramite un’agenzia interinale. Non è raro, soprattutto nell’ambito socio-educativo, culturale e sanitario, che gli operatori e le operatrici si trovino a lavorare all’interno di strutture pubbliche pur facendo parte di una cooperativa. Non è quindi un caso che un interrogativo apparentemente semplice come «Ma tu sai per chi lavori?» possa non ricevere risposta o forse, e qui sta il nodo della questione, ne trova più di una.
Lo sciopero precario non può essere una replica delle forme tradizionali di sciopero perché la precarietà ha già mostrato l’insufficienza delle forme tradizionali di organizzazione dei lavoratori. Nel corso della prima assemblea, la discussione tra un lavoratore precario e un delegato metalmeccanico ha fatto emergere con forza la crisi della rappresentanza sindacale. Il problema non risiede solo nell’organizzazione del sindacato in categorie, che non tiene conto della profonda mobilità del lavoro vivo contemporaneo, ma anche nel fatto che per i lavoratori precari la rappresentanza sindacale non è una strada percorribile. Tanto è vero che un lavoratore precario, che formalmente può essere eletto come delegato nelle RSU, in pratica corre il rischio che il suo contratto non sia rinnovato proprio in virtù della funzione politica che assumerebbe sul posto di lavoro. Una delle maggiori difficoltà della rappresentanza sindacale così come è strutturata, perciò, sta proprio nella incapacità di mettere in comunicazione lavoratori e lavoratrici che spesso si trovano in situazioni radicalmente diverse, anche quando lavorano fianco a fianco. La rappresentanza sindacale rischia persino di accentuare, anziché colmare, la distanza tra le diverse figure del lavoro. Più che una generica crisi della rappresentanza, la precarietà ne mostra l’impossibilità pratica. L’intento del Laboratorio consiste perciò nello sperimentare forme di comunicazione tra diversi soggetti che nella quotidianità delle pratiche non entrano in connessione, neppure quando lavorano alla stessa catena o nello stesso ufficio, e mostrare il legame globale tra le figure della precarietà. Un laboratorio formato da precari e precarie, migranti e nativi, attivisti sindacali e di movimento non può essere né un parlamentino né tanto meno una mera raccolta di testimonianze. Esso è il tentativo di creare un discorso della precarietà che risulti politicamente incisivo, in grado cioè di costruire conflitto. La forza del Laboratorio non sta nella somma di gruppi e collettivi che vi partecipano, ma consiste nel riconoscere l’esistenza di un terreno comune di precarizzazione, sul posto di lavoro e fuori, che con la crisi si fa sentire sempre di più, facendo emergere in maniera netta gli interessi contrapposti di chi lavora e di chi sfrutta e precarizza. Da qui abbiamo cominciato e da qui vogliamo andare avanti, continuando a prendere parola e ascoltarci, costruendo iniziative, facendo inchiesta per rompere l’isolamento dei lavoratori e delle lavoratrici, e creando reti di comunicazione e di lotta su un piano collettivo e globale, dentro e contro la precarietà.
L’assemblea del 25 settembre è stata un passo in questa direzione, ma solo un primo passo. Porteremo avanti questo percorso per coinvolgere un numero sempre maggiore di lavoratori e lavoratrici, precari, precarie, migranti e per dare corpo alla scommessa dello sciopero precario. Nel Laboratorio metropolitano per lo sciopero precario la precarietà può parlare… spargete la voce…