di MILENA TRAJKOVSKA – da Bruxelles
Giovedì 6 novembre più di 150.000 lavoratori, studenti e migranti hanno marciato a Bruxelles per protestare contro il nuovo governo, in carica da poche settimane dopo lunghi negoziati. Giornata magnifica. In tanti hanno risposto alla chiamata dei tre sindacati (FGTB, CSC e CGSLB) contro le politiche economiche del governo di destra, come l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni, le misure che penalizzano i disoccupati, l’inasprimento della politica sull’immigrazione o i tagli di bilancio nei servizi pubblici. In piazza risuonavano slogan contro «l’austerità, la discriminazione, la disuguaglianza, gli sfratti, la povertà, le restrizioni!».
Un corteo colorato, rosso, verde, blu. La manifestazione è stata un successo di pubblico. La manifestazione è stata organizzata dai tre sindacati più grandi nel paese, ma è stata appoggiata anche dai moltissimi collettivi politici belgi. Dopo questa manifestazione, qualcosa cambia a favore dei movimenti sociali negli equilibri di potere e nelle trattative con il governo. I manifestanti rifiutano «un piatto di miseria» per i lavoratori, il piatto della fame, della povertà.
L’accordo raggiunto dal nuovo governo federale è semplicemente un orrore assoluto per i lavoratori e le famiglie. Solo i ricchi sono risparmiati dalle misure del governo: coloro che lavorano sodo saranno pesantemente tassati. Chi è sceso in piazza vuole invece che tutti contribuiscano, secondo la capacità di pagare e le risorse, senza impoverire ulteriormente la famiglia media, non costringendo altri lavoratori a vivere in condizioni inaccettabili, dopo anni di sacrifici.
Il gruppo «Jeunesse en résistance» ha chiamato a manifestare contro i provvedimenti di questo governo di destra e per rifiutare la distruzione del modello sociale. Per questo motivo si sono riuniti mercoledì sera in piazza Anneessens fino alla vigilia della manifestazione nazionale.
La città era chiusa: chiuse le scuole, chiusi i locali, chiuse le fabbriche e i mezzi di trasporto in sciopero. La rete Stib era quasi completamente ferma e giovedì 6 novembre nessun autobus, tram o metropolitana doveva circolare a Bruxelles. Il sindacato aveva spiegato che «non è possibile consentire ai lavoratori di esprimere il loro malcontento e allo stesso tempo garantire un servizio minimo per i passeggeri, anche in un evento nazionale».
Tutte le strade della città erano per il corteo. Pensavo a quando ci saremmo mossi dalla Gare du Nord, mentre dall’altra parte, vicino alla Gare du Midi, la testa del corteo era già arrivata e noi eravamo ancora fermi al punto di partenza. Erano strette e corte le strade di Bruxelles per il popolo che si esprimeva in colori e modi diversi.
Le donne saranno le più colpite dalle nuove politiche federali, e in tante hanno denunciato che le misure del governo aumenteranno ulteriormente la disuguaglianza tra uomini e donne. Questo è il motivo della piattaforma socio-economica del gruppo «Vie Féminine». Si camminava, si cantava e si ballava con tanta ironia raccogliendo applausi e solidarietà.
È stata una giornata storica per il Belgio: lo sciopero ha raggiunto livelli che non si vedevano da decenni, il leader della Confindustria locale (FEB) ha pensato bene di lanciare il tweet #Aujourd’huiJeTravaille (oggi io lavoro), mentre 150mila persone sfilavano per il centro di Bruxelles, dando voce alla rabbia contro il governo, colpevole di promuovere il ‘dumping sociale’ colpendo le pensioni, i salari e il welfare.
Nel corteo erano molte le tute da lavoro arancioni: tute non etichettate, tute senza simboli sindacali. Erano gli operai del porto di Anversa. Diverse centinaia di loro si sono scontrati duramente con la polizia. Il sito antifascista belga RésistanceS ha sottolineato come tra i portuali di Anversa vi sia, ormai da tempo, la presenza di simpatizzanti di estrema destra e come questi abbiano aizzato gli scontri. Durante gli scontri sono state segnalate anche aggressioni ad alcuni migranti lungo il corteo. Questo ha provocato reazioni contrastanti negli altri manifestanti e tra le persone che hanno partecipato al corteo in maniera pacifica. I portuali sono pieni di rabbia e sfiducia, considerando il fatto che sono ormai anni che lottano contro le misure governative e ogni volta portano a casa poco e niente: il governo precedente portava avanti delle trattative sindacali, mostrando timide aperture e offrendo sempre poco, tanto per tenere calma la rabbia. Ora col nuovo governo le porte sembrano chiuse e con le nuove riforme le loro condizioni di lavoro sono cambiate e cambieranno ancora in peggio.
La rabbia è giustificata, la fiducia ormai persa. Organizzare una manifestazione del genere a Bruxelles non è cosa da poco, ci sono voluti anni di lavoro, durante i quali i portuali hanno perso terreno. In questi anni l’estrema destra ha colto l’occasione per penetrare tra i portuali, e per fare da sponda alle esplosioni di violenza che finiscono per deviare l’attenzione rispetto allo scopo stesso della manifestazione e alla componente antirazzista e antifascista. Esattamente quello che prima della manifestazione gli organizzatori dichiaravano di rifiutare: non si voleva farla diventare un gioco di potere tra piccoli gruppi, per non cancellare le ragioni della protesta, della rabbia e dell’insoddisfazione. Queste ragioni sono però molto forti, e dopo il 6 novembre non si tornerà indietro. Il messaggio della manifestazione è che di qualsiasi parte sia il governo, di destra o sinistra, finché non cambiano le politiche governative nei confronti di tutti i lavoratori, gli studenti, i migranti, ci saranno altri eventi sorprendenti come quello del 6 novembre.
Questo evento è stato il primo passo per altre azioni già annunciate, per il 15 dicembre è già previsto uno sciopero generale.