Qualche giorno fa, a Buenos Aires, è stato sgomberato il barrio Papa Francisco, un quartiere situato al confine meridionale della Villa 20 di Lugano, nel cordone sud delle villas miserias della città. Le villas miserias sono spazi di segregazione urbana, dei barrios chiusi situati dentro e ai margini della città di Buenos Aires, che nascono a partire dalle prime migrazioni (dall’interno dell’Argentina e, soprattutto, dall’Europa) all’inizio del XX secolo. Pur attraversando processi diversi, tra cui qualche sporadico tentativo di sradicamento e di urbanizzazione, oggi le villas sono quartieri sempre più popolati, fondamentalmente auto-costruiti e completamente (o in gran parte) privi di infrastrutture (dalle strade, all’acqua, a un sistema di fognature). Da cinque mesi migliaia di persone stavano abitando lo spazio sgomberato, uno spazio di terra lasciato vuoto per anni, iniziando a costruirci le proprie case e lottando per ottenere un processo di urbanizzazione da parte del governo. Mandati dall’attuale Ministro della Sicurezza Nazionale, Sergio Alejandro Berni (che nel 2010 si occupò di sgomberare la toma de la tierra nel parco Indoamericano causando tre morti), centinaia di uomini in assetto antisommossa hanno caricato le famiglie con lacrimogeni e pallottole di gomma passando con le ruspe sopra le case in costruzione, lasciando un deserto di macerie e una decina di feriti tra donne e uomini. Ora centinaia e centinaia di famiglie che si ritrovano senza un tetto stanno presidiando di fronte al terreno sgomberato e molte altre hanno marciato dalla piazza dell’Obelisco alla Presidenza del Governo e alla Legislatura della Città di Buenos Aires chiedendo soluzioni immediate che, per ora, stentano ad arrivare. Non è di certo una novità che il governo della Ciudad Autonoma de Buenos Aires (un governo, quello di Mauricio Macri, fondamentalmente di destra e conservatore) si impegni, sotto direttiva nazionale kirchnerista, a reprimere con la violenza numerosi tentativi di occupazione di terre da parte delle classi più povere ed è anzi proprio a partire da questa costante e da una non soddisfatta necessità abitativa che, in particolare negli ultimi anni, si sta ampliando un movimento di lotta per la casa che coinvolge, trasversalmente, abitanti delle villas e giovani della città.
Sono entrata in contatto con questa toma de tierra grazie a Charly, un compagno dell’organizzazione politica ex-piquetera FOL (Fruente de Organizaciones en Lucha) che sin dall’inizio ha partecipato al processo di organizzazione dell’occupazione. Il primo giorno che ci conosciamo, nel mese di aprile, Charly mi mostra l’intero perimetro della toma: uno spazio immenso che si affaccia da un lato sulle case semi-costruite della Villa 20, dall’altro su un enorme campo da golf accanto a uno dei centri commerciali più grandi della zona Sud. Un terreno enorme, quello della toma, che solo un anno fa la gente della Villa aveva ripulito dalle carcasse di automobili che lo occupavano essendo adibito, un tempo, a cimitero di macchine. Al centro di questo spazio vuoto corre un muro che separa le precarie baracche degli occupanti dal perimetro presidiato dalla polizia federale che registra, con una parabola installata sopra un furgoncino, movimenti e chiamate telefoniche dal lato opposto.
«La toma della Lugano» mi spiega Charly «si trova in uno dei punti più poveri della città se non il più povero, che è la Comuna 8, composta dai quartieri Lugano, Soldati, Villa Riachuelo e dove c’è una grandissima quantità di villas miserias. La particolarità è che questa cintura è situata in posti dove ancora ci sono appezzamenti vuoti di terra disponibile per essere occupata e per costruirci case». Charly mi racconta che, sin dall’inizio, il tentativo del FOL era stato quello di intervenire nel processo di occupazione provando a rompere con le logiche clientelari e di cooptazione portate avanti da alcune organizzazioni burocratiche del governo e da altre mafiose o di narcotrafficanti che operano nelle villas sottomettendo e capitalizzando (con fini economici e politici) i bisogni primari delle famiglie che vi abitano. La lotta del FOL e di altre organizzazioni politiche come il Movimiento La Dignidad, pur scontrandosi con reti di potere ostili a un’idea di autonomia e di auto-organizzazione dal basso, è consistita, prima di tutto, nel creare delle assemblee di settore autorganizzate dalle e dagli abitanti e, in secondo luogo, nel premere affinché venisse applicata la legge 1770, promulgata nel 2005 dalla Legislatura della città, che prevedeva l’urbanizzazione (niente più che la costruzione di abitazioni a norma, provviste di impianti idraulici e di sistemi di scarico e la costruzione di strade che possano permettere la circolazione) dell’intera Villa 20. Anche se può sembrare che si collochi su un piano puramente rivendicativo, la vittoria di questa battaglia e soprattutto i suoi processi di organizzazione attraverso pratiche di democrazia diretta avrebbero potuto fornire un precedente importante per tutte le centinaia di occupazioni di terre che avvengono nella città e che rapidamente si trasformano in villas miserias riproducendo delle condizioni abitative e di vita inaccettabili e chiudendo a vere possibilità di trasformazione sociale.
«È un affare fantastico, una villa», mi dice Charly, «totalmente funzionale al capitale, al governo e alle diverse mafie e reti economiche che stanno direttamente dentro o fuori dalle villas. Si tratta di settori popolari che caratterizzano quello che potremmo pensare come un plusvalore relativo, no? Si proletarizza sempre di più la forma di vita così che ai padroni gli costa meno la manodopera». A contribuire alla segregazione spaziale e alla svalorizzazione della manodopera si aggiunge anche un fattore razziale che ha a che fare con la composizione sociale delle villas, quasi per la totalità migrante. La maggior parte della gente che ci vive proviene infatti dalle regioni più povere dell’Argentina (quelle colpite dall’economia estrattiva e dalle piantagioni intensive) oppure da Bolivia, Perù e Paraguay e che, non potendo accedere al mercato formale degli affitti in città (per il quale è necessario dimostrare la proprietà di una terra in suolo argentino) sono costretti a vivere in condizioni precarie, sia di vita sia lavorative, all’interno delle villas. Tuttavia, mi racconta ancora Charly, è da alcuni anni che anche molte e molti giovani della classe media proletarizzata stanno iniziando a spostarsi nelle villas: «l’altro giorno c’era una ragazza alla toma della Lugano. Era col suo ragazzo che ha un handicap al piede, avranno avuto vent’anni e poco più. Beh, avevano formato una famiglia, avevano una figlia, lei stava studiando alla facoltà di architettura e lui lavorava nell’amministrazione o qualcosa del genere, e mi dice “non possiamo comprarci una terra per questo siamo venuti alla Lugano… abbiamo visto un pezzo di terra e siamo venuti ad occuparlo”».
Si tratta di un problema, quello della casa, che coinvolge sempre più persone, in particolare giovani e migranti, e che non trova una risposta attiva da parte delle politiche statali, federali e metropolitane; l’unica risposta sta in un piano repressivo e di criminalizzazione delle lotte sociali, in progetti di cooptazione dei movimenti, oppure nel lasciar passare attività speculative e mafiose. Anche se certamente diverse per quanto riguarda le loro condizioni di esistenza, queste esperienze argentine di lotta quotidiana per la casa parlano direttamente ai movimenti sociali che stanno dall’altra parte dell’Oceano a partire dall’Italia: situazioni che, se messe realmente in connessione, possono determinare degli spazi transnazionali importanti di solidarietà e di organizzazione dal basso. In entrambi i casi, l’assoluta ostilità dei governi a prendersi carico del problema abitativo e l’inesistenza di un piano welfaristico a cui potersi appellare, rende necessario un ripensamento totale della direzione delle lotte che, pur mantenendo un piano rivendicativo, si muovono ora nella direzione di cercare spazi e tempi organizzativi autonomi, di sperimentazione e di incontro tra esperienze diverse.
In solidarietà alle compagne e ai compagni sgomberati dalla Villa 20 di Lugano.