Grazie all’assemblea “Contro le fabbriche della precarietà” dello scorso 10 marzo siamo entrati in contatto con alcune lavoratrici del Centro Commerciale Meraville, che stanno pagando sulla loro pelle la liberalizzazione degli orari dei negozi. Oggi, venerdì 20 aprile la Cgil ha indetto uno sciopero. Nel commercio per le precarie e i precari scioperare è però spesso molto difficile. Nei grandi magazzini dove il padrone è unico lo sciopero è possibile. O almeno sono possibili difficili prove di sciopero. Infatti oggi da Coin e da Decathlon lo sciopero c’è: certo difficile, sicuramente complicato, ma c’è. Nei centri commerciali, dove si lavora vicini e separati in diversi negozi, scioperare è invece davvero un’impresa. Alcune lavoratrici oggi hanno però deciso di cominciare a preparare l’impossibile sciopero precario. Per oggi scioperano a modo loro, organizzando all’inizio del turno di lavoro un volantinaggio nei negozi. Quella dei centri commerciali è una realtà dove il sindacato è praticamente assente. Qui si pagano tutte le difficoltà dell’estrema individualizzazione del lavoro, che impedisce momenti di incontro e di confronto tra persone che lavorano fianco a fianco ogni giorno. Queste donne hanno deciso oggi di fare un uso precario dello sciopero, consapevoli della necessità di inventare nuove pratiche di lotta che passano necessariamente per il coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici che non sono rappresentabili dal sindacato. Questa scommessa fa emergere la necessità di ripensare lo sciopero nella sua forma tradizionale e mostra il potenziale di organizzazione dei precari. Come al Meraville, anche altrove, il ricatto della precarietà proietta la sua ombra sulla possibilità di lottare contro lo sfruttamento subito nei luoghi di lavoro e genera la percezione diffusa di non poter reagire. L’esperienza di una lavoratrice di Decathlon, di cui riportiamo l’intervista, ci mette di fronte alle contraddizioni della condizione precaria. L’unica possibilità è fare di queste contraddizioni la leva per rovesciare i rapporti di potere. Quello che succede oggi a Bologna è un primo passo verso la connessione delle esperienze di lotta dentro e contro la precarietà.
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