venerdì , 22 Novembre 2024

14N: riflessioni in ritardo dalla Grecia, per uno sciopero che non c’è stato

14NGrecia-300x300di CHRISTOS GIOVANOPOULOSDikaioma, network of precarious and unemployed workers, Atene

La giornata europea di protesta del 14N, lanciata dai sindacati contro le misure di austerity, in Grecia ha occupato le testate dei media e ha causato una forte mobilitazione delle forze di polizia. La strategia di chiudere la stazione della metropolitana di piazza Syntagma ad Atene, per un evento che si è poi dimostrato di piccole dimensioni, mostra tutta la paura e l’incertezza del sistema politico greco di fronte anche solo all’esile possibilità di una mobilitazione di massa.

Sfortunatamente il 14N non è stato nemmeno questo. La data è stata schiacciata tra le due giornate di sciopero generale contro il terzo memorandum e le sue misure di austerità (il 6 e 7 novembre) e le celebrazioni della rivolta del 17 novembre 1973 contro la dittatura greca. Quest’ultimo evento si ripete ogni anno ed è il barometro dell’influenza della sinistra greca. Questa volta, tuttavia, il suo contenuto antifascista ha assunto una particolare importanza come protesta di massa contro Alba dorata.

Il 14N poco meno di 2000 persone si sono radunate e hanno manifestato nel centro di Atene. La giornata è stata indebolita proprio da coloro che l’hanno convocata, i leader della GSEE (il sindacato generale del settore privato) e dell’ADEDY (il sindacato nazionale del settore pubblico), che non hanno indetto lo sciopero, ma una manifestazione di tre ore, tra le 12 e le 15. Come sempre, i lavoratori non prendono parte a questo tipo di manifestazioni. Sanno bene che si tratta solo di un trucco dei leader sindacali per salvare le apparenze, così come è stato un trucco la loro decisione di firmare l’appello per un cosiddetto sciopero paneuropeo. Per evitare di vivere di miti (greci), è importante sottolineare questo punto. In Grecia l’idea dello sciopero è stata minata alle fondamenta dall’abuso – piegato agli scopi dei politicanti sindacali – degli «scioperi generali», che spesso, nonostante l’occasionale presenza di massa (principalmente dei lavoratori del settore pubblico) non sono affatto tali. Non sarebbe perciò saggio, e certamente non aiuta, immaginare che una cosa sia come la si è desiderata, ma è necessario osservarla per ciò che effettivamente è.

È opportuno aggiungere che nessun altro, anche al di fuori dei sindacati ufficiali, ha davvero mobilitato per il 14N, fatta eccezione per alcuni appelli circolati su Facebook e qualche annuncio (ma neppure un volantino) da parte di gruppi di estrema sinistra o di organizzazioni sindacali di base. Tuttavia, questi ultimi sono ben lontani dall’essere in grado di organizzare o convocare uno sciopero, e non lo è nemmeno il PAME, la struttura sindacale di massa del KKE che, le poche volte che ci ha provato, ha fallito. Si tratta di qualcosa che solo la GSEE e la ADEDY sono in grado di fare, e ciò può servire a fotografare la realtà dei sindacati e del movimento operaio in Grecia.

Ci sono anche ragioni «oggettive» per spiegare la scarsa partecipazione popolare al 14N. Anche se in Grecia è frequente (più di venti scioperi generali negli ultimi due anni e mezzo), scioperare è diventato sempre più difficile, rischioso (per il licenziamento) e costoso (per la diminuzione del salario). La gente perciò ci pensa due volte e sceglie con cura quando scioperare, valuta se vi sono questioni reali, cruciali, per farlo. Dopo le due giornate di sciopero contro il terzo memorandum, che hanno visto una partecipazione di massa, dopo lo sciopero preventivo che, per la stessa ragione, aveva avuto luogo due settimane prima e un terzo sciopero contro la visita di Angela Merkel, molti lavoratori (specialmente nel settore pubblico) hanno perso circa due settimane di stipendio, considerando le riduzioni imposte dalla recente legislazione contro gli scioperi. Un simile approccio logistico può sembrare politicamente scorretto, ma è l’unico che permetta di valutare i considerevoli effetti materiali della crisi sulla vita delle persone, ed è anche un modo tangibile di calcolare il valore attribuito al proposito dello sciopero e quanto esso sia connesso con gli interessi dei lavoratori.

Con questo non voglio ridurre l’importanza che il 14N ha avuto nell’offrire un diverso approccio alla crisi, nel dare risonanza alla voce della classe operaia con un’azione coordinata contro le misure di austerità europee (con o senza la Troika) e nel definire visioni e soggettività transnazionali per un’Europa popolare. Tutto ciò certamente risponde alla necessità di costruire un fronte popolare e operaio contro quello delle elite economiche e politiche europee, che stanno sferrando un attacco antipopolare e antioperaio unitario. In questo senso, il 14N è stato importante come «strumento di propaganda», come un tentativo di dare sostanza e portare sulla scena un’alternativa che vada oltre l’attuale configurazione dell’Europa, tanto sul piano nazionale quanto su quello internazionale. E anche per mostrare come uno «sciopero generale» possa contrastare con le caratteristiche originarie dello sciopero generale come sciopero politico, e non come una protesta difensiva dei soli lavoratori, nonostante l’obiettivo di proteggere i diritti del lavoro della gente.

Tuttavia, alla luce di questa «tensione» tra uno sciopero politico – che eccede la classe operaia – e le posizioni difensive dei sindacati contro la crisi, il 14N è anche utile per riflettere su quali rivendicazioni possano facilitare una convergenza delle lotte e delle prospettive locali, da una parte, e di quelle internazionali dall’altra, costruendo una prospettiva più ampia. E diventa cruciale la connessione tangibile (e non solo ideologica, programmatica o immaginaria) di questi scioperi internazionali con le lotte locali o nazionali. Qui emergono alcune caratteristiche storiche che sarebbe un errore sottovalutare, specialmente per quel che riguarda la Grecia. La Grecia non condivide la stessa esperienza della «famiglia europea». Il suo legame con l’Europa è sempre stato iscritto in un processo soffocante dall’alto verso il basso. I greci hanno guardato all’Europa come a un sogno o come a un colonizzatore, prospettive che lo collocano comunque nella medesima posizione di inferiorità all’interno di un rapporto di potere con l’Europa. Di fatto, quindi, i greci sembrerebbero più i rifugiati o i lavoratori ospiti o i servi della visione europea, ed è questo che definisce il loro legame con le altre realtà d’Europa. Questo specifico posizionamento ai margini ha alcuni effetti tangibili nell’immaginazione politica e sociale del popolo greco e dei suoi movimenti. Alla Grecia mancano prospettive come quelle che possono derivare dal facile attraversamento dei confini da parte degli europei prima degli accordi di Schengen e nonostante le guerre, o con il riferimento ai sentimenti comuni a lavoratori spagnoli e portoghesi che li aiutano a immaginare una lotta comune. Così, se è già problematico il discorso dominante di un’eredità europea comune (nominalmente multiculturale e non univoca, nella quale è possibile parlare benché non sia detto che le voci, che non hanno certamente lo stesso valore, saranno ascoltate), il contro-discorso di un popolo europeo lo è a sua volta e ci chiede forse di riconsiderare che cosa significa una soggettività internazionale, o transnazionale e che cosa è necessario perché sia tale.

Un secondo elemento che può aiutare a comprendere la differente carica che il 14N ha esercitato in Grecia riguarda una questione temporale. Se vogliamo evitare di ricostruire un tempo e una traiettoria storici universalmente omogenei – il che sta al cuore dell’approccio imperiale della modernità europea che spesso i movimenti delle metropoli d’Europa perpetuano, anche se non intenzionalmente – dovremmo comprendere il ruolo di un tempo storico differenziato e multiplo, come parte sincronica del momento attuale. Questa dimensione temporale è cruciale perché delinea il contesto delle lotte che hanno luogo e dà la misura della loro importanza per le azioni che sono coinvolte, perseguite o tentate. Per dirla in parole più semplici, credo che le proteste del 14N riflettano uno stadio nello sviluppo delle lotte contro l’austerità differente rispetto a quello della Grecia e che perciò per la Grecia risultano in un certo senso ridondanti. Per quanto il 14N possa essere stato importante soprattutto per supportare e costruire, sul piano nazionale e internazionale, la resistenza spagnola e portoghese contro le misure di austerità, in Grecia siamo al di là di questo. Il momento dell’«urlo», a cui si è appellato il galvanizzante video-promo per il 14N pubblicizzato dalla CGT spagnola, in Grecia si è materializzato con la rivolta del 6 dicembre del 2008 con il primo apparire della crisi. Per la Grecia, l’urlo non è più abbastanza. Sempre più gente rivendica soluzioni politiche alternative ed efficaci che vadano al di là tanto dei soli interessi della lotta di classe (che, ancora una volta, ha dimostrato di essere qualcosa di più di un’antitesi tra la classe operaia e il capitale), quanto del sistema politico dominante quanto, ancora, delle strutture sociali e produttive esistenti. E qui la questione del potere politico, come terreno principale della contestazione, si pone come il nodo da sciogliere o come il principale rompicapo da risolvere.

Da questo punto di vista, per quanto strano possa essere, attribuire priorità a una dimensione o a una soluzione europea in Grecia non riesce a rispondere alla lotta locale per il cambiamento e la sovversione, spingendo quest’ultima più avanti nel futuro. Prendere atto di questo non significa tornare a un discorso nazionalistico, al contrario. Piuttosto, questa prospettiva riconosce l’importanza di un paradigma alternativo praticabile al di fuori e contro l’egida e i dettati della Troika, le sue politiche di austerità e le sue dottrine dello choc, anche a livello nazionale, un paradigma che dovrebbe scuotere alle fondamenta l’architettura dell’UE e le sue politiche antipopolari e antioperaie. Lasciando da parte la Grecia, il ruolo e il contributo al movimento internazionale della sua resistenza, lasciando da parte le rivolte dei paesi arabi, gli indignados, il 15M e Occupy, che dialogano e comunicano tra loro effettivamente, virtualmente e negli immaginari, vorrei fare riferimento al precedente argentino. Nonostante la vittoria di Chavez in Venezuela nel 1999, la rivolta argentina (e i suoi effetti politici) è stata il momento critico più prossimo. Un momento che ha provocato lo slittamento della maggior parte del sub-continente latino-americano al di fuori del dominio statunitense, e la formazione di differenti entità regionali, soggettività politiche e immaginari sociali. Non mi riferisco qui solo alle nazioni e ai governi, ma anche ai movimenti popolari e alle loro reti in tutta l’America latina. Faccio questo esempio solo per sottolineare la varietà dei percorsi seguiti dalla convergenza di lotte popolari locali e internazionali, che non possono fondersi e spesso neppure coincidono temporalmente, e che certamente non si sviluppano solo attorno a un asse di conflitto, neppure se si tratta di quello, fondamentale, tra operai e capitale.

Di conseguenza, la capacità delle giornate e lotte transnazionali di corrispondere all’interesse dei soggetti locali è ancora, sfortunatamente o meno, la questione centrale per il loro successo. Questi interessi variano, e ciò non significa che bisogna stabilire la priorità di una questione o di una lotta attuale a spese di mobilitazioni più ampie, meno tangibili ma ugualmente importanti dal punto di vista politico come il 14N. Eppure – per fare un solo esempio – uno sciopero internazionale in sostegno di quello particolare in una specifica fabbrica, dovunque in Europa o nel mondo, sarebbe una prova davvero tangibile di una coscienza internazionalista. L’affermazione delle giornate globali d’azione nel nostro vocabolario politico della protesta è stata un’acquisizione importante del primo decennio di questo secolo, che ha dato una forte spinta ai movimenti e alle lotte a livello locale. Ora, però, potremmo essere entrati in una fase differente, nella quale l’importanza dei conflitti locali può essere (anche se solo tatticamente) in prima linea, anche solo per dare forma a quelli internazionali.

In questo senso, quindi, il 14N è sembrato un passaggio verso l’internazionalizzazione (del momento) delle lotte in Spagna e Portogallo, per costruire solidarietà attorno alle lotte locali. A prescindere da quanto strano possa sembrare – in quanto mette in questione il «significato internazionale» del 14N – questa prospettiva manifesta la dialettica attuale tra la dimensione internazionale e quella locale delle giornate di protesta comuni e dovremmo comprenderla come tale. Quando un popolo lotta, noi sviluppiamo contemporaneamente proteste in solidarietà centrate su una questione particolare. Questo conferisce peso, e potenzialmente efficacia, alle mobilitazioni internazionali, combattendo i riferimenti astratti a un soggetto o a una sfera pubblica transnazionale che non esistono. Fare e immaginare il futuro passa inevitabilmente dai cancelli dei conflitti in atto, e dalle reazioni e soluzioni che si cerca di dar loro.

Un risultato simile può essere colto dall’esperienza della manifestazione greca del 14N. La grande maggioranza di quelli che vi hanno partecipato appartengono alle istituzioni locali e sono impiegati amministrativi delle scuole superiori che stanno per essere colpiti dai tagli al settore pubblico dettati dal terzo memorandum. Pochi giorni dopo la sua approvazione, più di 300 uffici e servizi dell’amministrazione locale sono stati occupati dai lavoratori, assieme a quelli delle istituzioni universitarie, che per la maggior parte sono ancora occupati. Questa mossa ha determinato lo stallo di diversi servizi amministrativi. A essere senza precedenti è il fatto che anche i sindaci eletti o i capi dei diversi dipartimenti stanno supportando queste lotte e per due ragioni. In primo luogo, perché sanno bene che i loro uffici non potrebbero funzionare dopo un licenziamento di massa. Questo è il motivo principale per cui rifiutano di fornire la lista dei nomi degli impiegati che il governo greco ha chiesto loro per procedere ai licenziamenti. La seconda ragione è che sentono la pressione delle comunità locali e hanno certamente compreso, a prescindere dalla loro affiliazione politica, le conseguenze distruttive delle misure di austerità. Questa è una prova attuale delle forme ampie che la lotta contro l’austerità può assumere. Tornando al 14N, è ovvio che quelli che si sono mobilitati erano settori già in sciopero, che hanno incorporato la giornata (e il suo supporto internazionale) nella propria lotta.

È necessario lavorare per cercare e trovare modalità di coordinamento transnazionale che siano in grado di muoversi a livelli differenti, senza imporre un’agenda  onnicomprensiva e improntata a una sola logica, ma che cerchi invece di legare insieme tutte le variabili, le esperienze e le lotte in un unico scopo, progetto, discorso o evento. Per far questo, può essere necessario costruire reti di solidarietà e coordinamento tra movimenti particolari, o giornate di supporto a specifici momenti di lotta, affinché una mobilitazione transnazionale non si limiti a mandare un messaggio, significativo ma ancora immaginario, al nemico. Per fare un esempio, una giornata di protesta o di sciopero europeo in sostegno della resistenza contro la prossima misura di austerità in un qualsiasi paese d’Europa, in un giorno deciso dal movimento locale, potrebbe essere sperimentata, e potrebbe riuscire a far sentire alle potenti elite politiche ed economiche la forza di questi colpi coordinati.

Non dobbiamo aspettarci che le nostre visioni di un’internazionalizzazione delle nostre lotte comuni si materializzino facilmente. Ci saranno tempi di sincronizzazione e tempi di divergenza. Dovremmo restare fedeli alla nostra strategia, ma usare una varietà di tattiche ed essere attenti a non confondere le une con le altre.

Come post scriptum, vorrei aggiungere una nota sulla presenza dei migranti nelle proteste del 14N. Se nel mio testo, finora, è mancato qualsiasi riferimenti di questo tipo, è precisamente perché i migranti stessi sono stati «assenti» dalle lotte contro l’austerità e contro la Troika in Grecia. Mi dispiace dirlo, ma non si è ancora arrivati a un’integrazione delle lotte antirazziste e per i diritti dei migranti. Ci sono molte ragioni per questo, che vanno oltre questo contributo e che potrebbero richiedere un testo ulteriore, che descriva ed esamini la relazione tra questi due fronti di lotta e dunque la sfida di costruire una lotta anti-razzista in condizioni di crisi sociale generalizzata e su vasta scala, che produce anche un enorme quota di migrazioni dalla (cosiddetta) «comunità ospitante». Fino a questo momento, sfortunatamente e paradossalmente i migranti sono entrati nel quadro delle lotte solo attraverso quella che potrebbe essere definita la «rappresentazione» fornita dal movimento antifascista greco.

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