Aggiornamento e rielaborazione dell’articolo uscito sul numero di ottobre di Anlyse&Kritik
Come nel marzo scorso, solo la CGTP, il sindacato comunista, ha indetto lo sciopero del 14 novembre, dopo che i sindacati spagnoli e la Confederazione Europea dei Sindacati avevano indetto a loro volta una giornata di mobilitazione. Il sindacato socialdemocratico (UGT) ha invece dichiarato che non avrebbe partecipato. Ciò nonostante lo sciopero del 14 novembre è stato molto più partecipato di quello di marzo. La partecipazione è andata oltre la CGTP, in quanto hanno preso parte anche i sindacati indipendenti e alcuni settori della UGT. Nelle imprese interessate dallo sciopero si è astenuto dal lavoro tra il 40% e il 90% dei lavoratori. Il settore pubblico era paralizzato, soprattutto i trasporti, dove i sindacati sono meglio organizzati. Nel settore privato lo sciopero generale, come tutti gli scioperi generali finora, è stato essenzialmente più debole perché qui i lavoratori sono più colpiti dai licenziamenti a tappeto. D’altra parte, nel settore privato il lavoro subordinato camuffato da lavoro autonomo è molto diffuso.
Alcune decine di migliaia di persone sono scese in piazza nelle molte manifestazioni che hanno avuto luogo in molte città portoghesi. Mentre le proteste proseguivano in maniera prevalentemente pacifica, una parte della manifestazione di Lisbona ha raggiunto il Parlamento arrivando a uno scontro violento con la polizia. C’è stato qualche ferito e numerosi manifestanti sono stati arrestati. Non si sa ancora quale sarà la reazione della CGTP rispetto a questi fatti.
Gli scioperi e le manifestazioni sono per lo più organizzati dai sindacati, in particolare dalla CGTP. Ci sono poi azioni del movimento degli indignati e di altri gruppi (come il movimento dei disoccupati); si mobilitano inoltre gruppi anarcosindacalisti come la Associação Internacional dos Trabalhadores – Secção Portuguesa (AIT-SP). Ma i sindacati restano i soggetti egemoni all’interno delle proteste.
Nei giorni di mobilitazione coesistono azioni organizzate dai partiti di opposizione di sinistra e dai sindacati e azioni indette da soggetti indipendenti che organizzano mobilitazioni a volte piccole, altre volte molto grandi. Nel panorama dei gruppi indipendenti sembra però non esserci un’organizzazione efficace e capace di produrre effetti durevoli. C’è sì una rete di soggetti indipendenti e di estrema sinistra, ma un dibattito e una strategia comune non si sono consolidati.
Inoltre, molti lavoratori migranti e precari non possono prendere parte alle mobilitazioni. Nei sindacati è a malapena colto il problema che solo una parte dei lavoratori può scioperare. I lavoratori migranti, che sono per lo più precari, non compaiono nelle proteste organizzate dai soggetti tradizionali. Solo nelle azioni della sinistra radicale, come ad esempio la Mayday, ottengono uno spazio maggiore, ma si tratta di eccezioni. Nemmeno i lavoratori precari sono stati un gruppo visibile nello sciopero generale, nonostante la presenza di collettivi di precari come il «Movimento sem Emprego» e i «Precarios Inflexiveis».
Lo sciopero del 14 novembre è giunto dopo un periodo caratterizzato da un’intensa ripresa della resistenza contro la gestione neoliberale della crisi. Già il 15 settembre in 40 città portoghesi più di 500.000 persone sono scese in piazza per manifestare contro i programmi di tagli alla spesa pubblica. La causa scatenante è stata la proposta del governo conservatore di alzare le imposte sui salari e forzare la privatizzazione del welfare. Secondo questa proposta, gli ammortizzatori sociali vengono finanziati in misura assai maggiore dai lavoratori mentre le aziende beneficiano di sgravi fiscali.
Le proteste sono state innescate dalla rete fino ad allora sconosciuta, «Que se Lixe a Troika! Queremos as nossas Vidas» («Fuck the Troika! Reclaim our lives»). Alla vigilia della mobilitazione nessuno avrebbe potuto prevedere quanto essa sarebbe stata vasta. Nei mesi precedenti, infatti, simili appelli avevano avuto una risonanza molto minore. Una delle ragioni potrebbe essere che è diventato chiaro a molti che il governo non poteva mantenere la promessa di non colpire la popolazione con ulteriori tagli. Il peggioramento delle condizioni di vita è apparso così senza fine.
L’atmosfera degli ultimi mesi è diventata sempre più tesa e i manifestanti mostrano chiaramente il proprio odio contro il governo e la Troika. Striscioni e cartelli che augurano la morte a singoli politici (in particolare il primo ministro Coelho) si accumulano. Allo stesso tempo, parole d’ordine nazionalistiche e populistiche echeggiano all’interno delle proteste, mentre sempre più gente sventola bandiere portoghesi, cosa che a marzo 2012 non si vedeva. È difficile dire se questo sia dovuto al fatto che molti più elettori conservatori scendono in piazza, spostando così la direzione politica del movimento. In ogni caso, la maggioranza imputa alle elite politiche ed economiche la responsabilità del peggioramento delle condizioni di vita. Né la Germania né l’Europa sono viste come un nemico. Anzi, la cooperazione crescente tra attori portoghesi e spagnoli si muove in una direzione positiva da questo punto di vista.
La rabbia contro il governo portoghese e la Troika ha sicuramente dei solidi motivi. La povertà e la disoccupazione crescono e la capacità economica si contrae. Anche da una prospettiva neoliberale, le politiche della crisi attuate finora sono un fallimento: il governo non può offrire nessuna via d’uscita dalla crisi. Come già a marzo, le proteste di massa di settembre hanno provocato tensioni nella coalizione di governo. Ad esempio, il partito conservatore di destra CDS-PP, ha criticato le nuove misure d’austerità, con la malcelata intenzione di presentarsi alle prossime elezioni come il più liberale dei due partiti conservatori. Anche se la presa di distanza a parole non ha avuto nessuna conseguenza, perché il CDS-PP ha poi votato a favore della manovra in Parlamento, non si possono ignorare le tensioni all’interno della coalizione di governo.
Sotto la pressione della protesta di settembre, inoltre, il governo ha dovuto revocare alcune delle ultime misure di austerità, come ad esempio lo smantellamento degli ammortizzatori sociali. Le proteste sono comunque continuate e il 29 settembre la CGTP ha mobilitato per una manifestazione unitaria, a cui hanno partecipato 100.000 persone. La manifestazione ha avuto luogo in contemporanea ad altre azioni in paesi europei, ad esempio in Spagna e in Germania. In seguito a ciò, la CGTP ha indetto dal 5 al 13 ottobre una serie di manifestazione che provenendo da diverse città portoghesi si sono incontrate nella capitale.
Quest’ultima protesta, come pure gli scioperi generali a cui ha partecipato più di un milione di persone (un decimo della popolazione), sono stati certamente impressionanti. Perciò non è sorprendente che, ad esempio, la sinistra tedesca guardi con invidia al sud dell’Europa. Tuttavia uno sguardo più attento a queste lotte mostra anche le debolezze e i limiti di una protesta che non ha saputo conseguire finora effetti durevoli, nonostante i singoli spettacolari momenti di mobilitazione. Non si sono sviluppate delle reti solide ancorate al territorio, in grado di organizzare a lungo termine la lotta contro la politica neoliberale. Le proteste di massa sembrano essere in molti casi «evaporate».
Per spiegare le limitate conseguenze politiche della protesta si devono sottolineare almeno due aspetti. In primo luogo, la maggioranza dei portoghesi vota socialdemocratico o conservatore, ovvero i partiti che favoriscono la continuazione della politica neoliberale. Né il partito comunista portoghese (PCP) né il partito socialdemocratico di sinistra Bloco de Esquerda (BE) hanno aumentato i loro elettori grazie al malcontento verso la politica del governo; il Bloco de Esquerda ha anzi perso molti voti. Il secondo aspetto ha a che fare sempre con i due partiti d’opposizione. A entrambi non è riuscito per motivi differenti di stabilire una cooperazione con il movimento di protesta. Il PCP non vuole (o non può) rinunciare alle sue pretese di leadership e cerca in vari modi di sabotare o incorporare le azioni, le reti e le organizzazioni indipendenti. Da parte sua il BE cerca ripetutamente di cooperare con il partito socialdemocratico (PS), dichiarandosi disponibile a entrare in una coalizione di governo comunque destinata a seguire programmi neoliberali di austerità. Naturalmente le migliaia di persone che scendono in piazza proprio contro questi non hanno nessuna intenzione di votare il BE o di collaborare con esso.
Attualmente non si può prevedere se questo circolo vizioso si scioglierà e la protesta contro la politica neoliberale della crisi potrà assumere un significato definitivamente politico. Fortunatamente i richiami populisti e fascisti non hanno ottenuto un particolare ascolto come è avvenuto in Grecia. Rimane tuttora incerto quale delle tendenze in atto riuscirà a prevalere.