Il passo è stato fatto. Negli Stati uniti il movimento delle occupazioni si è posto a Oakland il problema dello sciopero. Già arrivano le prime notizie sullo sciopero generale del 2 novembre, il «più grande degli ultimi 65 anni», come scrive l’Oakland Tribune. Oltre che dall’azione dei lavoratori, il quinto porto degli USA è stato bloccato grazie alla presenza degli insegnanti e dei loro studenti, dei disoccupati e da una manifestazione dei genitori con i loro bimbi e le relative carrozzine. Anche molte banche sembrano aver subito lo stesso destino. A quanto pare la polizia non è indifferente a questa presenza di massa. Nei prossimi giorni pubblicheremo interviste e testimonianze provenienti direttamente da Oakland e da New York. Oggi ricostruiamo le radici di questo sciopero nella convinzione che lo sciopero precario abbia molto da imparare da Oakland.
Sono stati i migranti, e i movimenti che hanno lottato con loro, a riaprire il dibattito sul significato della parola sciopero. Negli Stati Uniti, il mayday del 2006 ha visto la convocazione del Great American Boycott. Su questa sponda dell’atlantico, in misura ridotta ma ugualmente significativa, il primo marzo del 2010 ha visto per la prima volta una discussione estesa su cosa voglia dire e come si possa convocare, e attuare, uno sciopero al di fuori dei confini stabiliti dal monopolio dei sindacati. Oggi il movimento cresciuto intorno a Occupy Wall Street sembra puntare a un salto di qualità con la convocazione dello sciopero generale ad Oakland da parte di un’assemblea di circa 1.600 persone, dopo l’intervento violento della polizia del 25 ottobre. Oakland è una città di circa 400mila abitanti, nel cuore della San Francisco Bay, sede del quinto porto commerciale degli Stati Uniti. La prima domanda che viene da porsi è come possa un’assemblea di 1.600 persone convocare uno sciopero generale, dal momento che non si trattava di un incontro tra rappresentanti sindacali, ma di attivisti che, di fatto, non rappresentavano altro che se stessi. Una parziale risposta viene dal dibattito che questa convocazione, oltretutto in tempi molto brevi, ha provocato, sia tra gli attivisti sia all’interno di diversi sindacati. Ben presto sono arrivati numerosi endorsment: SEIU 1021, UAW 1865, Alameda Central Labor Council, Phillipine Airline Workers, Berkeley Federation of Teachers, Oakland Teachers Union (OEA), Carpenters Local 713, Week 1, Million Workers March e SF Bay Branch e la Longshore & Warehouse Union della Wear Coast sono tra i gruppi che hanno dichiarato il loro appoggio al 2 novembre. Mentre nei social network e nella piazza di Oakland iniziava la discussione su cosa fare il 2 novembre,tra i sindacati simpatizzanti del movimento lo sciopero assumeva la forma di uno spettro difficile da governare. Diversamente da altri gruppi, infatti, per i sindacati l’adesione allo sciopero avrebbe avuto un significato preciso: la sua convocazione. Nonostante le entusiastiche prese di posizione a favore del 99%, però, questo non è avvenuto. È in questa contraddizione che si devono leggere le indicazioni più interessanti di questo 2 novembre, a partire da una constatazione semplice quanto poco nota: negli Stati Uniti lo sciopero generale così come lo intendiamo noi è illegale. Dal 1947, anno di approvazione del Labor-Management Relations Act, noto come Taft-Hartley Act, è fuorilegge uno sciopero che non sia legato a una vertenza specifica. In questo modo lo sciopero diventa uno strumento, regolato nei dettagli, della contrattazione aziendale, ma viene spogliato nel suo potenziale politico. Questo spiega in parte da un lato l’entusiasmo, dall’altro lo spiazzamento, provocato da una repentina politicizzazione dello sciopero da parte degli occupanti di Oakland. La SEIU, ad esempio, ha dichiarato, nella lettera con la quale aderisce alla giornata, che non poteva convocare uno sciopero perché ciò avrebbe comportato una violazione di molti contratti che aveva firmato. Vale la pena ricordare che l’ex segretario della TWU di New York Roger Toussaint nel 2005 ha passato diversi giorni in carcere in seguito allo sciopero, convocato in violazione delle strette regole statali per la contrattazione nel pubblico impiego, che per oltre due giorni ha bloccato i trasporti della città nel periodo di natale. La SEIU, così come gli altri sindacati che hanno aderito alla giornata, ha dunque invitato i suoi iscritti aprendersi giorni di ferie o concordare con i datori di lavori una giornata libera senza stipendio. In alternativa, ha fornito indicazioni su cosa fare durante le ore di lavoro per esprimere sostegno al movimento, e invitato a raggiungere le manifestazioni, intelligentemente convocate in tre diversi orari (9, 12 e 17), quando possibile. Altri sindacati hanno invitato a vestire adesivi in supporto del 99% per poi recarsi in piazza con simboli visibili per mostrare l’appoggio dei lavoratori al movimento. Simili indicazioni sono arrivate da diversi sindacati degli insegnanti, conl’invito più preciso a prendere una giornata di ferie e concordare una giornata di assenza dal lavoro, ma non una giornata di malattia, perché, si legge in un Q&A sul sito occupyoakland.org, costituirebbe una frode. Diversa la situazione per il porto, epicentro delle lotte operaie della Bay Area e teatro nel 2003 di un duro scontro durante le mobilitazioni contro la guerra in Iraq. Anche questa volta il movimento ha annunciato di voler bloccare il porto, ottenendo il sostegno dell’International Longshore and Warehouse Union, che promette azioni a gatto selvaggio all’interno dell’area coordinate con l’intento dei manifestanti di bloccarne gli accessi per bloccare il flusso delle merci. In particolare, l’obiettivo polemico sono la EGT e la BUNGE Ltd., multinazionali dell’agrobusiness e bioenergie, quotate a Wall Street. Secondo il movimento, l’operato di queste corportations dimostra il legame tra l’attacco alle condizioni di lavoro, il carattere rapace delle multinazionali e i mercati finanziari. Accanto a queste azioni il movimento minaccia le banche e le grandi catene commerciali, promettendo di “chiudere” quelle che troverà aperte durante la mobilitazione. Nel documento di convocazione si legge “il mondo è stanco dell’immensa disparità causata dal sistema in cui viviamo. È ora che la gente faccia qualcosa. Lo sciopero generale di Oakland è un colpo di avvertimento per l’1% – la loro ricchezza esiste soltanto perché il 99% la crea per loro”. Quanto la mobilitazione riuscirà davvero a “chiudere” Oakland lo vedremo, ma i problemi che questa convocazione solleva ci paiono essere utili indicazioni politiche. Di certo, uno sciopero non è un problema di percentuali, ma le capacità di manovra dei sindacati dimostrano che non è neanche un problema di rappresentanza.