di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE
Traduciamo e pubblichiamo un’intervista dello scorso sabato, 27 aprile, a cura della Transnational Social Strike Platoform a Sylvie, attivista di Students for Justice in Palestine e dottoranda presso la University of North Carolina a Chapel Hill, dove venerdì mattina studenti e studentesse hanno allestito un nuovo accampamento per protestare contro il genocidio a Gaza e per chiedere che la loro università disinvesta dalle aziende che hanno rapporti con il governo israeliano. Si tratta solo di uno dei numerosi accampamenti che nell’ultima settimana si sono diffusi in moltissimi campus statunitensi. Attualmente le proteste sono in corso in tutto il paese, da New York, dove la mobilitazione coinvolge non solo la Columbia University ma anche N.Y.U., C.U.N.Y. e New School, a Los Angeles, dove la University of Southern California è stata costretta a cancellare la cerimonia di laurea. Nella maggior parte dei casi, le proteste studentesche hanno subito una pesante repressione da parte della polizia e delle università. A Columbia, più di 100 studenti sono stati arrestati e la maggior parte espulsi, alla University of Texas di Austin sono state mandate le truppe statali per disperdere brutalmente la protesta, alla Emory University di Atlanta la polizia ha preso di mira gli studenti neri con i taser. Nonostante queste reazioni, la protesta continua a crescere, come ci ha raccontato Sylvie, tracciando un sempre più esplicito collegamento tra la denuncia del massacro di Gaza e la lotta contro la guerra e la militarizzazione negli Stati Uniti e nel mondo.
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TSS: Nell’ultima settimana le proteste contro il genocidio a Gaza si sono diffuse e si stanno ancora diffondendo in diversi campus statunitensi. Ieri avete allestito un accampamento qui alla University of North Carolina a Chapel Hill. Quali sono i vostri obiettivi? Quali sono le vostre richieste all’università?
Sylvie: Quello che stiamo facendo qui a UNC parte dal riconoscimento di ciò che sta accadendo a Gaza, dove 40.000 persone sono state uccise con le bombe che gli Stati Uniti hanno fornito a Israele. Siamo qui in questa università mentre a Gaza non ci sono più università. Quasi 100 professori universitari sono stati uccisi. Detto questo, da ottobre abbiamo fatto le stesse richieste alla nostra università: rivelare i loro investimenti in aziende israeliane che traggono direttamente profitto dall’apartheid. Ci sono aziende specifiche in cui la UNC ha investimenti, come la Sabra Dipping Company, Caterpillar, Intel, Hewlett-Packard e così via. E naturalmente la divulgazione deve essere accompagnata dal disinvestimento, e intendiamo un disinvestimento totale. Abbiamo anche altre richieste, come la creazione di una commissione democratica indipendente che costringa l’università a rendere conto del mancato disinvestimento. E chiediamo anche che l’università smetta di discriminare studenti e studentesse palestinesi o sostenitori della Palestina.
Ovviamente i disinvestimenti riguardano grandi somme di denaro, milioni di dollari, dato che gli investimenti in aziende israeliane possono ammontare fino al 5% delle dotazioni finanziarie delle università, che sono enormi. Allo stesso tempo, si tratta di una goccia nel mare, quindi c’è chiaramente una componente ideologica nella richiesta di disinvestimento. L’obiettivo è dimostrare che le istituzioni del sapere occidentale sono letteralmente costruite sulla supremazia bianca. Gli edifici qui intorno sono stati costruiti nel XVIII secolo da persone schiavizzate: la supremazia bianca è fisicamente incorporata in questa università. Queste richieste sembrano impossibili e l’università le rende così difficili da soddisfare proprio perché non è disposta ad ammettere che i palestinesi sono esseri umani. Quindi, la richiesta ha un aspetto materiale, ma richiede anche un cambiamento ideologico. Il problema è come possiamo contribuire a un movimento che non solo permetta di separarci materialmente da queste aziende, ma che spinga anche ideologicamente per il riconoscimento di una comune umanità.
TSS: La settimana scorsa avete già tentato di organizzare un accampamento. Come ha reagito l’università e che tipo di repressione avete dovuto affrontare?
Sylvie: Fin dall’inizio, l’accampamento della scorsa settimana non era destinato ad essere permanente. Serviva a dare una rapida risposta e autonoma ai fatti di Columbia, dove i fascisti si stavano togliendo la maschera, per così dire. L’accampamento che è iniziato oggi ha invece richiesto una pianificazione molto più ampia ed è stato creato per durare, per essere sostenibile nel tempo, per mettere radici. Il nostro morale è alto. Non partecipano solo gli studenti e le studentesse, ma anche i e le docenti, che sono qui con i loro figli. Vogliamo continuare finché le nostre richieste non saranno soddisfatte, ma contiamo di muoverci in base al contesto. L’obiettivo è il disinvestimento. L’obiettivo è la liberazione.
TSS: State cercando di coordinarvi con altri campus statunitensi? Avete una comunicazione con loro?
Sylvie: Ci sono molte cose che stanno succedendo in giro. Stamattina c’è stata una manifestazione alla Duke University, e stanno arrivando studenti da altre università del North Carolina. Il coordinamento formale con gli altri campus non è molto forte, ma siamo certamente coordinati nelle nostre richieste, nei nostri obiettivi e nella nostra visione del mondo in generale. La cosa più interessante è vedere che gli accampamenti stanno venendo allestiti ovunque in modo spontaneo e che l’intera protesta si sta espandendo costantemente.
TSS: Nel Sud degli Stati Uniti ci sono anche altre lotte in corso, in particolare un’ondata di sindacalizzazione e nuove forme organizzazione nei posti di lavoro. Avete intenzione di connettervi ad altre lotte?
Sylvie: Sì, come SJP ci stiamo organizzando in concerto con il sindacato locale dei dottorandi e con il sindacato dei lavoratori universitari. Insieme a loro parteciperemo a una manifestazione il 1° maggio, che sarà una manifestazione dei lavoratori per la Palestina. Più in generale, la nostra lotta è anche una lotta abolizionista, è una lotta contro la violenza coloniale in qualsiasi forma essa si manifesti. Sappiamo per certo che ogni città del North Carolina e di tutto il paese dà a Israele moltissimi soldi dei contribuenti. Questa è una linea molto forte e opaca che possiamo tracciare. E poi sappiamo che dipartimenti di polizia come quello di Atlanta hanno programmi di addestramento in Israele con le Israeli Defence Forces, dove si addestrano reciprocamente su come dominare le minoranze. Quindi tracciamo questo collegamento, ci rendiamo conto che la lotta per la Palestina è collegata alla nostra lotta contro la violenza della polizia qui, per esempio contro ciò che abbiamo visto accadere alla Emory University contro gli studenti, con studenti e studentesse nere che vengono colpiti con il taser da poliziotti addestrati dall’IDF. L’aspetto positivo di questo particolare momento è che la coscienza politica delle persone sta iniziando a fare collegamenti tra diversi punti. Come ha detto Angela Davis, la Palestina è una cartina di tornasole per tutte le lotte di liberazione e credo che questo sia molto vero. È una lotta che è molto locale e molto internazionale allo stesso tempo.
TSS: Da mesi il massacro di civili a Gaza da parte dell’esercito israeliano è materialmente sostenuto dall’amministrazione Biden, nonostante le proteste in corso da mesi. Quali pensa possano essere le conseguenze politiche di queste proteste negli Stati Uniti?
Sylvie: Parlo a titolo personale e non necessariamente come membro di SJP, ma che si fotta Biden. Deve essere processato all’Aia. Ha le mani sporche di sangue. Le persone della sua amministrazione si stanno dimettendo, ma questo deve accadere in massa. Una recente commissione della giurista Noura Erakat ha dimostrato che i continui investimenti dell’amministrazione Biden in armi per Israele sono in realtà contrari alle nostre leggi, che stanno violando non solo il diritto internazionale, ma anche le leggi statunitensi. Ho sentito discorsi che dicono che se Joe Biden vuole vincere, deve sostenere un cessate il fuoco, ma mi chiedo: quali sono le nostre priorità? Credo che molte persone abbiano iniziato ad abbandonarlo.
TSS: Nei giorni scorsi abbiamo visto politici di ogni schieramento scagliarsi contro le proteste studentesche, accusandole di antisemitismo. Come reagisti a queste accuse?
Sylvie: Non voglio affrontare questo argomento, perché non è un’accusa seria. La persona che sta guidando la protesta in questo momento è ebrea. Ci sono molti studenti e studentesse ebrei che partecipano e organizzano queste proteste. Questo non vuol dire che l’antisemitismo non esista, ma che l’antisemitismo e il razzismo antipalestinese sono sintomi della stessa malattia che dobbiamo combattere insieme.
TSS: Le proteste nei campus statunitensi si definiscono sempre più non solo come pro-palestinesi ma anche come proteste contro la guerra, e sappiamo che il genocidio a Gaza fa parte di uno scenario di guerra più ampio di escalation che coinvolge non solo il Medio Oriente ma anche l’Ucraina e l’Europa, qualcosa che giorno dopo giorno assomiglia sempre di più a una Terza Guerra Mondiale. Quale pensi possa essere il ruolo degli studenti nell’opporsi a questo scenario di guerra?
Sylvie: Penso che abbiamo molto da imparare dalle proteste studentesche contro la guerra del passato, come quelle contro la guerra in Vietnam. Anche se ci è voluto un tempo vergognosamente lungo per farlo da parte del governo americano, la volontà politica di fermare effettivamente la leva e di far uscire i soldati dal Vietnam è stata una conseguenza delle mobilitazioni studentesche di massa, non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. Penso all’America Latina e alle proteste studentesche contro la militarizzazione delle scuole e della vita in generale. Abbiamo molto da imparare da loro. O se pensiamo alle proteste contro l’apartheid in Sudafrica le lotte studentesche possano svolgere un ruolo enorme. Le università sono luoghi di produzione e trasmissione del sapere. E noi siamo qui perché abbiamo accesso alle informazioni e abbiamo occhi per capire cosa sta succedendo intorno a noi. Quindi, sì, studenti e studentesse hanno un ruolo cruciale.