di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE
Tra il 19 e il 21 gennaio abbiamo partecipato al meeting organizzato dall’Amazon Workers International (AWI) a Parigi. Dal 2015 AWI si riunisce regolarmente, una o due volte all’anno, per costruire uno spazio transnazionale di comunicazione, discussione e organizzazione contro Amazon, nonostante e al di là delle diverse condizioni locali e nazionali in cui i lavoratori si trovano a lavorare e a lottare. Questa volta hanno partecipato più di trenta lavoratori e lavoratrici, provenienti da diversi sindacati e da diversi Paesi, dalla Spagna alla Germania, dalla Polonia alla Francia e agli Stati Uniti.
La lotta contro Amazon dalla Polonia agli Stati Uniti
Durante il meeting, i lavoratori e le lavoratrici hanno condiviso le loro recenti esperienze di lotta e hanno discusso la situazione nei magazzini Amazon in diversi Paesi. I lavoratori polacchi (in Polonia Amazon ha 13 magazzini) hanno raccontato i loro continui tentativi di organizzarsi attraverso Inicjatywa Pracownicza (attualmente il sindacato più rappresentativo con 1000 iscritti) e di lottare per ottenere salari più alti (circa 5 – 6,25 euro l’ora). Questi tentativi sono spesso complicati dai carichi di lavoro sempre più pesanti e dalle pratiche aziendali anti-sindacali, in molti casi legittimate dalle istituzioni. L’anno scorso, IP ha avviato una campagna per raccogliere le firme che in Polonia sono necessarie per indire ufficialmente uno sciopero. Non è stata raggiunta la maggioranza necessaria, e nonostante Amazon abbia ostacolato la raccolta delle firme, circa il 30% dei lavoratori si è espresso a favore dello sciopero. I lavoratori spagnoli (Amazon ha in Spagna 32 stabilimenti) hanno fatto un aggiornamento sulle loro richieste di miglioramento delle condizioni sanitarie nei magazzini e di aumento dei salari. Amazon si sta opponendo alla loro lotta per un contratto nazionale, in modo da poter pagare salari diversi nelle varie regioni (da 9-10 euro l’ora nelle regioni più povere e fino a 12 euro in Catalogna e nei Paesi Baschi).
I lavoratori e le lavoratrici di New York, che fanno parte di Amazon Labor Union e sono impegnati in una lotta per la democratizzazione del sindacato, hanno riportato le condizioni di lavoro nel magazzino di Staten Island (JFK8), uno dei più grandi di Amazon negli Stati Uniti, dove sono impiegati da 5.000 a 8.000 lavoratori a seconda della stagione. Hanno raccontato le difficoltà di organizzazione in un contesto caratterizzato da un’attività antisindacale professionalizzata e da tassi di turnover estremamente elevati (150% all’anno). Hanno inoltre riferito delle condizioni di lavoro estremamente pericolose nei magazzini, che spesso portano a gravi problemi di salute per molti lavoratori e lavoratrici. Le donne incinte in particolare sono spinte a lavorare con la stessa velocità di tutti gli altri e alcune di loro hanno avuto aborti spontanei nel magazzino. I lavoratori di Chicago hanno raccontato di come abbiano dovuto ricominciare a organizzarsi da zero dopo che il magazzino in cui avevano costruito una forte base di attivisti con Amazonians United negli anni passati è stato chiuso e diviso in strutture più piccole. Hanno anche raccontato che Amazon impiega un numero molto elevato di migranti ispanici senza documenti, che sono doppiamente ricattati e per questo motivo spesso evitano di partecipare alle attività di organizzazione. Lo sfruttamento dei lavoratori migranti da parte di Amazon è una costante a livello transnazionale, come hanno avuto modo di vedere i lavoratori di AWI a settembre, quando, girando per i magazzini tra Germania e Polonia, hanno constatato che in alcuni casi i migranti ucraini rappresentano fino al 70% della forza lavoro. Allo stesso modo, in molti magazzini italiani, un’elevata percentuale di lavoratori temporanei proviene dai paesi dell’Europa dell’Est.
Mentre lottano per ottenere salari più alti e migliori condizioni di lavoro, negli ultimi mesi i lavoratori e le lavoratrici di Amazon hanno dovuto affrontare anche la minaccia di chiusure e licenziamenti. L’espansione di Amazon, che sembrava inarrestabile dopo la pandemia, è ora rallentata e in alcuni casi si è addirittura invertita. In Germania, ad esempio, Amazon ha raddoppiato le sue strutture nel periodo immediatamente successivo alla pandemia (portandole a 145), ma la tendenza si è ora arrestata. Nel 2022, Amazon ha comunque inaugurato tre nuovi fulfillment centers, ma ora molti dei magazzini previsti non apriranno. Le strutture già costruite saranno affittate ad altre aziende del settore logistico. Inoltre, sono stati chiusi un hub aeroportuale e un fulfillment centers a Brieselang, vicino a Berlino. In molti casi, la minaccia di chiusure e licenziamenti è stata usata da Amazon per peggiorare le condizioni in altri magazzini tedeschi, ad esempio imponendo turni più pesanti. In generale, in Germania è aumentata la repressione contro i sindacati e i lavoratori organizzati, con il licenziamento mirato dei lavoratori più attivi nel sindacato.
La stessa tendenza è comune ad altri Paesi. Nel gennaio 2023, Amazon ha annunciato la chiusura di uno dei suoi due magazzini a Barcellona (BCN2), sostenendo che era troppo arretrato tecnologicamente per essere modernizzato. La chiusura è stata utilizzata anche per aumentare i carichi di lavoro e mettere sotto pressione i lavoratori dell’altro magazzino (BCN1), che conta più di 4.000 dipendenti. Lavoratori e lavoratrici hanno scioperato a inizio febbraio, riuscendo a ottenere condizioni migliori in cambio del trasferimento. Anche negli Stati Uniti, dal 2022, Amazon ha iniziato a rimandare o a sospendere l’apertura prevista di decine di nuove strutture, chiudendone molte altre. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, un fattore determinante nella decisione di quali magazzini chiudere è stato considerare le politiche legate alla repressione dei tentativi di organizzazione. Ad esempio, Amazon ha interrotto i piani di espansione del magazzino di Bessemer, in Alabama, che si era guadagnato un’ampia attenzione per il voto sulla sindacalizzazione fallito nel 2021. Oppure, come detto, ha chiuso il magazzino di Chicago dove si era formato il nucleo originario di Amazonians United, che era stato in prima linea nelle statunitensi prima e durante la pandemia. La tendenza, tuttavia, non è omogenea: in Polonia, ad esempio, è prevista l’apertura di un nuovo magazzino quest’anno.
L’organizzazione transnazionale oltre la comunicazione
Nel complesso, più che ridimensionare la propria espansione, sembra che Amazon stia razionalizzando e ristrutturando le proprie operazioni, nel tentativo di far fronte a uno scenario politicamente ed economicamente instabile, soprattutto in Europa, in cui è richiesta una sempre maggiore flessibilità logistica. Se durante e dopo la pandemia Amazon sembrava contare su opportunità illimitate di espansione e crescita, ora sta rimodellando la sua struttura per garantire i profitti anche in un contesto sempre più disordinato che rende molto più complicato pianificare investimenti a lungo termine. Per questo motivo, Amazon ha smesso di costruire nuovi siti e sta cercando di concentrare i flussi in un minor numero di magazzini, di diversificare le proprie attività, di affidarsi maggiormente a contratti con terzi nella logistica e di meccanizzare ulteriormente le strutture in modo da ridurre proporzionalmente il numero di lavoratori e lavoratrici, peggiorando al contempo le loro condizioni di lavoro in generale. Questi cambiamenti dentro Amazon, quindi, non possono essere compresi senza guardare a ciò che sta accadendo al di fuori di Amazon: alle conseguenze dell’inflazione e della recessione, ma soprattutto della guerra, che ha avuto un forte impatto sulle condizioni di vita e di lavoro, soprattutto nell’Europa dell’Est dopo l’invasione russa dell’Ucraina e che ora sta mettendo a rischio le supply chains globali dopo le tensioni militari scoppiate nel Mar Rosso a seguito della guerra di Israele contro Gaza.
Così, la discussione tenutasi a Parigi ha dimostrato ancora una volta l’importanza di collegare lavoratori e lavoratrici di diversi Paesi e di diverse condizioni per combattere un’azienda che fa della propria dimensione transnazionale uno strumento per aumentare i profitti e per aggirare le lotte. Questo è stato fatto sistematicamente da Amazon da quando ha aperto i primi magazzini nell’Est Europa, e in particolare nel 2013 contro lo sciopero dei lavoratori tedeschi e più recentemente durante la pandemia, quando i lavoratori francesi hanno scioperato in massa. In entrambi i casi, Amazon ha imposto straordinari obbligatori ai lavoratori polacchi per soddisfare la domanda nonostante scioperi e interruzioni, dimostrando che per chi lotta contro Amazon un’organizzazione transnazionale capace di andare oltre le specificità nazionali e locali è una necessità ineludibile. Da questo punto di vista, nell’ultimo decennio AWI è stata uno spazio fondamentale per costruire, rafforzare e mantenere una comunicazione transnazionale capace di discutere e affrontare le differenze locali.
Allo stesso tempo, l’incontro di Parigi ha anche dimostrato che per organizzare e scioperare efficacemente contro Amazon a livello transnazionale, è anche necessario capire come processi sociali e politici più ampi influenzino le condizioni di lavoro all’interno dei magazzini. In particolare, è urgente riconoscere come la guerra stia avendo un impatto sulle condizioni materiali e sulle possibilità di organizzazione nell’Est Europa e come stia rimodellando le catene globali della logistica, ma anche come lo sfruttamento specifico dei migranti e delle donne influenzi l’organizzazione della produzione. Infatti, il fatto che le donne nei magazzini di Amazon siano spinte a lavorare anche se incinte fino al punto di indurre aborti spontanei ha chiaramente a che fare con condizioni più ampie di riproduzione sociale, mentre il razzismo istituzionale che impone ai migranti il ricatto dei documenti ha un ruolo decisivo nel peggiorare le condizioni di tutti i lavoratori e nel limitare le possibilità di organizzazione.
Per riconoscere questo, è chiaro che la comunicazione deve essere accompagnata dalla costruzione di un discorso e di una strategia comuni nel lungo periodo. Per questo motivo, è importante che i partecipanti all’incontro di Parigi, oltre a condividere le loro esperienze e a confrontare le condizioni di lavoro nei diversi Paesi, abbiano anche iniziato a fare piani per azioni comuni, per scioperare insieme e per promuovere richieste comuni nei prossimi mesi. Allo stesso tempo, è fondamentale non isolare l’organizzazione contro Amazon e non considerare la lotta dei lavoratori di Amazon come separata da altre lotte sociali e politiche. Al contrario, proprio perché il razzismo e il patriarcato hanno un impatto sulle condizioni di lavoro nei magazzini, crediamo che la connessione con le lotte femministe, migranti, ecologiste e contro la guerra sia cruciale per rafforzare le possibilità di un’organizzazione transnazionale contro Amazon. Come TSS, abbiamo sperimentato la difficoltà di organizzarsi a partire da condizioni differenti di vita e di lavoro e di tenere insieme lotte provenienti da contesti specifici così diversi, ma crediamo che siano proprio queste difficoltà a rendere l’organizzazione a livello transnazionale una sfida necessaria. Per questo motivo, continueremo a sostenere gli sforzi di AWI nel costruire una forza collettiva contro Amazon, come parte della nostra lotta contro le politiche di guerra, contro il patriarcato, il razzismo istituzionale e lo sfruttamento.