di LUCI CAVALLERO
Il prossimo 24 gennaio si terrà in Argentina uno sciopero generale contro le politiche del neoeletto presidente Javier Milei. In questo articolo, che traduciamo dal castigliano, l’attivista di Ni Una Menos Luci Cavallero spiega perché è necessario che lo sciopero del 24 gennaio sia uno sciopero femminista. Eletto il 20 novembre 2023, l’«anarco-capitalista» Milei ha dato subito inizio alla «shock therapy» promessa all’Argentina durante la campagna elettorale. Attraverso un Decreto di Necessità e Urgenza (DNU), Milei ha delineato oltre 300 misure per avviare un processo di privatizzazioni e ulteriore neoliberalizzazione, con l’obiettivo di salvare il paese dalla crisi economica e inflazionaria in corso. A fine dicembre, il suo governo ha presentato alla Camera dei deputati un progetto di legge in cui chiede al Congresso di trasferire il suo potere legislativo all’Esecutivo, invocando «l’emergenza pubblica», fino al 25 dicembre 2025 (con possibilità di estensione a ulteriori due anni). Richiamando un’operazione già effettuata all’alba del golpe del 1976, il governo Milei pretende di fare piazza pulita non solo delle conquiste sociali e politiche degli ultimi decenni, ma anche degli strumenti istituzionali e politici usati per ottenerle. Il DNU limita drasticamente il diritto di sciopero, considerando «servizi essenziali» non solo l’educazione e la cura, ma anche la maggior parte dei servizi e delle attività produttive, e obbligando a garantire durante lo sciopero prestazioni non inferiori al 75 % del normale funzionamento. Il DNU inoltre permette il licenziamento di chi sciopera, qualora il datore di lavoro reputi che abbia minacciato il diritto al lavoro degli altri dipendenti. Il «protocollo anti-picchetti», infine, punisce i manifestanti che bloccano le strade e autorizza di fatto un uso indiscriminato della violenza da parte delle forze dell’ordine contro chi manifesta. Le proteste contro il DNU sono iniziate dal momento in cui è stato annunciato, e ora la CGT ha indetto uno sciopero generale per il 24 gennaio. Luci insiste sull’importanza di dare un segno femminista a questo sciopero perché le misure di Milei sono misure patriarcali che rivelano la sua guerra alle donne, protagoniste delle lotte più importanti degli ultimi anni, e ai poveri. Queste misure infatti colpiscono duramente i lavori di cura svolti dalle donne, riducono i giorni di astensione dal lavoro in gravidanza, minacciano la legge sull’aborto e la Ley Micaela, che impone la formazione obbligatoria in materia di genere e violenza sessuale per chi lavora nei settori statali. Mentre la guerra che si estende su sempre più fronti, entrando nella politica locale, sembra chiudere ogni possibilità di lotta, lo sciopero femminista supera i confini nazionali, aprendo la strada verso un 8 marzo transnazionale all’altezza del presente: la sfida, come sottolinea Luci, è accumulare una forza capace di connettere posizioni diverse, di rompere la frammentazione tra soggetti, identità, categorie del lavoro, per rovesciare l’autoritarismo neoliberale che si fa strada in ogni parte del mondo.
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Il 24 gennaio si prospetta come una delle date più importanti nel tentativo di fermare il progetto di La Libertad Avanza di trasformarci in una colonia. Oltre a quelle regionali organizzate dalla CGT, si stanno svolgendo in tutto il paese numerose assemblee con l’obiettivo di organizzare lo sciopero del 24 gennaio. L’obiettivo è quello di rendere lo sciopero il più partecipato possibile e di fermare il Decreto de Necessidad y Urgencia, il progetto della «Legge Omnibus» e il protocollo anti-picchetti. È importante sottolineare che la “multisettorialità” è un obiettivo da perseguire nella situazione attuale. Sappiamo quanto sia difficile per molti e molte scioperare in un mondo del lavoro così eterogeneo e caratterizzato da un alto livello di informalità. Ma sappiamo anche che “multisettorialità” significa coinvolgere in questo appello allo sciopero e alla mobilitazione molti collettivi e persone organizzate in diversi spazi di politicizzazione e che vanno oltre l’appartenenza sindacale. Mi riferisco, ad esempio, agli e alle abitanti dei quartieri popolari, agli artisti e alle artiste, a coloro che si organizzano a partire dalla loro militanza nei collettivi femministi e transfemministi.
A noi femministe non mancano ragioni per indire uno sciopero il 24 gennaio: non solo per le rivendicazioni settoriali contro il DNU e la Legge Omnibus ‒ che hanno per noi effetti molto concreti su diritti conquistati molto recentemente, come l’interruzione volontaria di gravidanza (Legge sull’aborto), la Legge dei Mille Giorni o la Legge Micaela, – ma anche perché siamo coinvolte in ognuna delle riforme che riguardano il diritto alla casa, l’accesso alla terra, i diritti del lavoro, l’alimentazione, la salute e l’istruzione pubblica.
Siamo già mobilitate e presenti nelle assemblee in tutto il paese, nei cacerolazos, nei sindacati, nelle manifestazioni degli artisti, nei modi ingegnosi in cui gli abitanti dei quartieri vanno a protestare. Abbiamo l’obbligo come movimento femminista, nella misura in cui siamo parte di un campo popolare e di una trama collettiva, di chiamare apertamente a scioperare e mobilitarsi il 24 gennaio. Abbiamo il compito di rendere questo sciopero anche uno sciopero femminista.
Lo strumento dello sciopero non ci è estraneo: è stato uno dei metodi con cui abbiamo risposto al macrismo, con cui abbiamo potuto fare un salto di qualità come movimento per rendere pubblica la violenza economica del gap salariale, del mancato riconoscimento del lavoro di cura e di comunità, della violenza del debito estero e domestico nella nostra vita quotidiana. È stato anche uno strumento che ci ha permesso negli ultimi anni di organizzarci al di là delle divisioni generate dall’essere una lavoratrice formale o riconosciuta, una lavoratrice dell’economia popolare, una lavoratrice in case private, una libera professionista, o una lavoratrice a contratto, ecc. Proprio per questo motivo, non crediamo sia una coincidenza che, tra le altre atrocità contenute nell’incostituzionale DNU, diversi lavori che includono la cura e l’educazione ‒ come la cura dei bambini negli asili nido e l’educazione a livello prescolare, primario e secondario ‒ siano dichiarati come attività essenziali. Ciò comporta l’obbligo di assicurare un servizio minimo in caso di sciopero.
La manovra è evidente: dichiarare queste mansioni come lavoro essenziale è un modo per impedire il diritto di sciopero e, allo stesso tempo, colpisce quei lavori che le femministe hanno segnalato come costantemente svalutati nel loro riconoscimento e nella loro retribuzione.
Riteniamo inoltre che non sia un caso che le donne andate in pensione con la moratoria sulle pensioni siano sistematicamente trattate come una “casta” rispetto alle altre pensionate. Oggi il governo discrimina sistematicamente coloro che vanno in pensione con la moratoria, escludendole da benefici come i bonus. Questo è esattamente l’opposto di ciò che proponiamo da anni nell’organizzazione di scioperi e altre azioni femministe, come quelle organizzate trasversalmente sulla scia del lavoro fatto dalla combattente Norma Plá. L’obiettivo è sempre stato quello di lavorare all’interno e contro le divisioni della classe operaia per generare solidarietà con gli ultimi, con i più svantaggiati dal sistema razzista e patriarcale. Abbiamo insistito e difeso il fatto che le moratorie sulle pensioni sono una politica profondamente femminista che ha permesso a molte donne che hanno lavorato tutta la vita in casa o sotto il comando di datori di lavoro che non pagavano i contributi di avere diritto alla pensione. Si è trattato di un risarcimento in età avanzata per un lavoro reso invisibile. Una pensione adeguata.
Vogliono dividerci, vogliono toglierci i diritti affinché questo paese diventi un paradiso per le corporations e lo fanno con metodi autoritari e anticostituzionali. Di fronte a questi soprusi, come femministe invitiamo a scioperare e a mobilitarci il 24. Ci sembra strategico contribuire alla costruzione di uno sciopero multisettoriale, di massa, popolare e femminista.