sabato , 21 Dicembre 2024

Jin, Jiyan, Azadî come nella Palestina libera

Testo originale in farsi, inglese, tedesco e turco

TEHRAN, IRAN – OCTOBER 13: People attend the Pro-Palestine demonstration as they hold banners and flags at the Revolution street in Tehran on October 13, 2023. (Photo by Fatemeh Bahrami/Anadolu via Getty Images)

Noi firmatarie, che nell’ultimo anno abbiamo gridato Jin Jiyan Azadî, chiediamo la fine del genocidio, chiediamo l’immediato cessate il fuoco ed esprimiamo la nostra solidarietà al popolo palestinese e alla sua lotta di liberazione.

Mentre assistiamo al genocidio perpetrato dalle forze di occupazione dello Stato israeliano contro i palestinesi, contro la maggior parte della popolazione di Gaza e contro i residenti della Cisgiordania, siamo piene di rabbia, dolore e desolazione. Siamo profondamente turbate dal linguaggio razzista e disumanizzante e dai discorsi di odio diffusi con disinvoltura dai media occidentali, che sono complici della violenza in atto. In preda a un indicibile dolore per le innumerevoli vite e voci perse in questo tragico momento, riconosciamo che le semplici parole e dichiarazioni non possono restituire le vite che piangiamo. Crediamo fermamente che le circostanze attuali richiedano un’azione immediata e urgente per fermare il genocidio in corso e porre fine all’oppressione sistematica della popolazione palestinese che vive sotto il regime coloniale e di apartheid.

Oltre a esprimere il nostro pieno sostegno al popolo palestinese nella sua ricerca del diritto fondamentale alla “vita” e nella sua richiesta di “libertà”, lo scopo della nostra dichiarazione è estendere ai nostri compagni della rivolta di Jin Jiyan Azadî l’invito a riconoscere e collegare la nostra lotta a quella della resistenza palestinese nella sua lotta per il diritto alla terra, alla vita e per il diritto a stare nel posto che ci appartiene, e in quanto tale, una lotta per l’autodeterminazione e l’autonomia dei corpi a cui, come femministe, dobbiamo prestare la nostra voce e il nostro sostegno.

i) Ai nostri compagni e alle nostre compagne in Palestina diciamo:

In quanto persone che hanno vissuto in Iran e sotto il giogo del regime patriarcale e criminale della Repubblica islamica, all’interno del più ampio ordine mondiale capitalista razzista, conosciamo la violenza nella sua sfaccettata espressione, dalle forme più evidenti a quelle più impercettibili. Noi, soprattutto coloro che sono state etichettate come altre e disumanizzate dalla repressione di Stato nella Repubblica islamica, conosciamo i modi in cui la violenza strutturale dello Stato ci rende passive. Quelle di noi che sono state etichettate e disumanizzate come “altre” nella diaspora, conoscono le molteplici e intricate forme di repressione statale e di colonizzazione che governano e violano la nostra esistenza. Come femministe, sappiamo che la lotta per la liberazione delle donne è legata alla lotta collettiva contro il capitalismo e l’imperialismo, sia che lottiamo in Iran, nel Nord del mondo o in Palestina. Vi riconosciamo come compagne e compagni nella nostra ricerca della “vita” e della “libertà”.

Crediamo che, così come i sistemi di oppressione sono intrecciati, è indispensabile collegare e unire le nostre lotte. Non c’è liberazione che sappia dire solo “io” e non c’è libertà se non è per tutti e tutte. Abbiamo imparato la lezione della resistenza e della solidarietà contro i sistemi di oppressione grazie a coloro che scendono in piazza in Palestina sotto l’occupazione israeliana, grazie ai nostri compagni e alle nostre compagne in Afghanistan che vivono sotto il dominio talebano e grazie alle nostre sorelle curde in Rojava. Generazione dopo generazione, abbiamo imparato la resistenza come pratica quotidiana grazie alla lotta palestinese. Ricordiamo con affetto che nei primi giorni del movimento Jina, le nostre compagne femministe palestinesi hanno espresso il loro incondizionato sostegno e hanno riconosciuto la responsabilità della Repubblica islamica nello sfruttare la lotta del popolo palestinese per la libertà. Questi legami ci ricordano che la solidarietà non è un percorso unidirezionale o selettivo, ma una vera e propria dichiarazione del fatto che “nessuno di noi è libero finché non lo siamo tutti e tutte”.

Sappiamo che la strada per la liberazione collettiva non passa attraverso la scelta tra false dicotomie come “imperialismo globale/governo della Repubblica islamica”, “dominio coloniale israeliano/forza reazionaria di Hamas”, “antisemitismo/pro Palestina”, ma attraverso lo smantellamento di questi binarismi. Per anni ci è stato fatto credere che la nostra unica opzione fosse quella di scegliere tra il “male e il peggio”. Oggi diciamo un “no” forte e chiaro ai falsi binarismi che ci vengono presentati e ci opponiamo all’oppressione e alla repressione in tutte le sue forme. Impariamo le lezioni di “vita”, “libertà” e “umanità” da voi e dalla vostra resistenza, e combatteremo spalla a spalla con voi finché la Palestina non sarà libera.

ii) Ai nostri compagni e alle nostre compagne dell’insurrezione rivoluzionaria di Jina diciamo:

“Jin, Jiyan, Azadî” è stato il nostro appello a reclamare la vita attraverso i nostri corpi. Un grido di rabbia proveniente dai nostri corpi violati e oppressi, in cerca di una vita che non ci è imposta. Un’opportunità per immaginare un’alternativa, proseguendo la lotta di quelli che si sono battuti per la libertà prima di noi. Nell’ultimo anno, siamo state in grado di riappropriarci della “rivoluzione” allontanandola dal discorso “rivoluzionario” corrotto e patriarcale della Repubblica islamica. Abbiamo reclamato la “rivoluzione”, l’abbiamo incarnata nella profondità delle nostre voci collettive e l’abbiamo ridefinita attraverso i nostri valori e desideri femministi. Jina, la “rivoluzione” decifrata: Jin Jiyan Azadî.

Oggi è nostro dovere percorrere un cammino simile in relazione alla lotta palestinese e riappropriarcene dal discorso della Repubblica islamica. È nostro dovere riconoscere la lotta per la liberazione della Palestina come parte del discorso femminista e anticoloniale e come essenza della rivolta di Jina. La solidarietà e la resistenza femminista con la Palestina non significano allinearsi alle narrazioni costruite della Repubblica Islamica, ma una giusta e necessaria contemplazione degli ideali di “libertà” e del diritto fondamentale alla “vita”. È una solidarietà che, in opposizione alle narrazioni costruite dall’alto dagli Stati ci lega dal basso al popolo palestinese. Non dimentichiamo che l’occupazione israeliana della Palestina e la lotta dei palestinesi per la libertà sono precedenti all’esistenza e al potere della Repubblica islamica in Iran. La lotta palestinese per la libertà non inizia né è definita dalla Repubblica islamica. Dobbiamo rifiutare e liberarci dalle catene della Repubblica islamica da un lato e delle forze nazionaliste e di estrema destra iraniane, in particolare dei monarchici della diaspora, dall’altro, in relazione alla Palestina. Riconosciamo i nostri destini intrecciati e tracciamo un percorso verso una vera solidarietà femminista transnazionale con le nostre care compagne in Palestina.

Gridiamo Jin Jiyan Azadî – in migliaia e in milioni – per la libertà dei nostri corpi, desideri e destini, finché la Palestina non sarà libera!

Nota: questa è una traduzione fedele ma non letterale della nostra dichiarazione in farsi. Questo perché vogliamo riconoscere e parlare della pluralità di esperienze vissute tra le femministe della Rivoluzione Jina, attraverso le lingue e le geografie.

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