di MATILDE CIOLLI
Con il nuovo memorandum di intesa fra UE e Tunisia, sostenuto dalla premier Giorgia Meloni con argomenti sfacciatamente razzisti, e dalla presidente della Commissione europea, Ursula von de Leyen, con ragioni che invocano, altrettanto sfacciatamente, cooperazione e diritti umani, il paese nordafricano riceverà 105 milioni di euro per il controllo delle frontiere e 150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato. La grave situazione economica e finanziaria della Tunisia preoccupa, infatti, l’Europa per il potenziale aumento delle partenze “irregolari”, ma anche per gli eventuali aiuti economici cinesi che questa crisi potrebbe stimolare. Così, nell’attesa di un intervento massiccio, ma ancora in trattativa, del FMI – disponibile ad erogare 1,9 miliardi in cambio di aggiustamenti strutturali nel segno dell’austerity – l’Europa è pronta a intervenire in supporto della Tunisia. Ma non a costo zero.
Prima di tutto, ovviamente, bisogna bloccare le partenze dei migranti, intervenire direttamente nei salvataggi in mare e provvedere ai rimpatri dei subsahariani prima che lascino il territorio tunisino. Meloni, del resto, l’aveva promesso ai suoi sodali, Orban e Morawiecki, ostinatamente contrari a ricollocare quote di migranti nei paesi membri dell’UE come previsto dal recente Patto su migrazione e asilo. A scanso di equivoci, il presidente Saïed si è subito premurato di espellere centinaia di subsahariani, con donne e bambini, da Sfax, spedendoli al confine fra Libia e Algeria, dove, senza acqua, cibo o riparo a temperature superiori ai 40 gradi, molti sono morti. Dal canto suo il ministro dell’Interno del Governo di unità nazionale di Tripoli ha ordinato il pattugliamento della frontiera con la Tunisia per impedire che uomini, donne e bambini possano entrare nel paese.
Del resto, sebbene per arrivare all’accordo sul memorandum le trattative siano state farcite di una stucchevole quanto vuota retorica su diritti umani, sviluppo e progresso, di fatto il presidente Saïed, partner economico e politico dell’UE, da mesi legittima pubblicamente il razzismo nei confronti dei migranti subsahariani che si è tradotto in violenze e deportazioni, contro cui centinaia di uomini e donne, tunisine e migranti, sono scese in piazza nelle scorse settimane, anche a ridosso della firma del memorandum. Da due anni, il presidente tunisino reprime il dissenso politico, annullando le garanzie sull’indipendenza del potere giudiziario e chiudendo ogni spazio di dialogo nazionale aperto dalle forze di opposizione e dalle organizzazioni della società civile, sostenendo che questo dialogo può aver luogo solo nel quadro del nuovo parlamento eletto. Di fatto, però, l’Assemblea dei rappresentanti del popolo è stata fortemente ridimensionata nelle sue funzioni e da essa restano esclusi i partiti che si sono schierati contro il “colpo di stato” di Saïed.
L’altra condizione del «partenariato strategico con l’UE» è l’accordo sull’energia, di cui, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, l’Europa ha fortemente bisogno. La necessità di diversificare le forniture per sganciarsi dal gas russo è stata quindi tradotta nell’opportunità data alla Tunisia di sviluppare le rinnovabili. L’Italia, scaltramente, si candida adesso a hub dell’energia tunisina per l’Europa con il progetto ELMED, che prevede un collegamento di 230 km da 600 MW con la Sicilia e l’integrazione dei mercati elettrici della sponda settentrionale e meridionale del Mediterraneo. L’intesa prevede infine anche una partnership per ampliare le possibilità di studio e lavoro per i tunisini: un assist non da poco per un’Europa che si dimena per assoldare forza-lavoro, sempre più scarsa, soprattutto nei settori meno qualificati e meno pagati.
Il memorandum è stato salutato come un grande successo e domenica prossima la conferenza internazionale sull’immigrazione che si terrà a Roma, che avrà come protagonisti il presidente Saïed e altri capi di Stato e governo dei paesi mediterranei, sarà l’occasione di mettere a punto il processo di esternalizzazione delle frontiere europee. Come ha detto von der Leyen, questo partenariato – che lega proficuamente politiche razziste di respingimento, piattaforme e reti energetiche, corridoi logistici e riforme economiche di sfruttamento della forza lavoro – deve essere un modello per accordi futuri, i cui primi candidati sono l’Egitto e il Marocco. Sulla Turchia si è già certi di poter contare: prontamente Erdogan, appena rieletto, ha impedito di rilasciare i permessi di soggiorno a Istanbul e ha minacciato di multare o arrestare chiunque dia alloggio e lavoro a migranti irregolari. Il razzismo, insomma, garantisce facili intese su larga scala.
Eppure, nonostante le politiche mortifere dell’UE e le scelte letali delle guardie costiere greche e italiane, nonostante i patti europei, gli accordi bilaterali e i memorandum, gli sbarchi a Lampedusa continuano imperterriti, e migliaia sono i migranti che arrivano proprio da Sfax. Se da un lato l’Europa sta facendo pagare ai migranti i costi della crisi economica e sociale acuita prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina, donne e uomini continuano a muoversi, attraversando confini spesso mortali e sfidando le politiche e la violenza dei governi e dell’Europa. Le necessità del mercato europeo o della transizione ecologica eterodiretta in Tunisia si troveranno davanti migliaia e migliaia di persone che ogni giorno si muovono per trasformare il proprio futuro e quello dei loro cari e che evidentemente non sono disposti a farsi fermare.