domenica , 22 Dicembre 2024

La guerra in Ucraina come problema mondiale e la neutralità critica di Lula

di HOMERO SANTIAGO

Le dichiarazioni del presidente brasiliano Lula durante la sua visita in Cina della scorsa settimana hanno messo in fibrillazione le cancellerie dei paesi occidentali – in primis degli USA – e mobilitato i pennivendoli nostrani in una gara a scomunicare il politico brasiliano, poco propenso a schierarsi senza se e senza ma con l’Occidente. In questo intervento Homero Santiago mostra che la posizione di Lula, per quanto rischiosa, non è «né irrazionale né irresponsabile», ma si inscrive in una strategia mirata a rilanciare un multipolarismo che assegni al Sud del mondo (o, almeno, ad alcune nazioni che se ne sono intestate la rappresentanza) un ruolo nella ridefinizione degli equilibri globali, nell’ormai conclamata crisi egemonica degli Stati Uniti. Ma oltre alle dinamiche geopolitiche, che rischiano sempre di nascondere gli effetti materiali e sociali della guerra, il testo di Homero ci permette anche di considerare la guerra in Ucraina da una prospettiva che non si lascia soffocare dall’alternativa “con l’Occidente o con Putin”, e riesce a osservare aspetti che da vicino non si riesce o non si vuole vedere. Tra questi il razzismo che continua a definire le politiche di accoglienza dei paesi dell’UE, la cui esasperazione determinata dal conflitto in Ucraina stabilisce un differente fronte di schieramento contro la guerra anche tra coloro che la osservano dal Sud globale.

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Agli occhi di molti Europei la posizione di neutralità assunta dall’attuale governo brasiliano di fronte alla guerra in Ucraina deve apparire veramente strana. A peggiorare le cose, questa posizione ufficiale è occasionalmente accompagnata da dichiarazioni controverse, come è accaduto la scorsa settimana, durante la visita del presidente Luiz Inácio Lula da Silva in Cina: «gli USA devono smettere di incoraggiare la guerra e l’Unione europea deve iniziare a parlare di pace». Dunque, ci si potrebbe domandare, gli USA e la Nato stanno incoraggiando la guerra? Inoltre, questa neutralità suonerà ancora più enigmatica se si tiene conto che è uno dei pochissimi punti di continuità tra la politica estera del governo Jair Bolsonaro e quella del governo Lula. In queste circostanze, ritengo opportuno chiarire un po’ questa stranezza cercando di spiegare, seppur schematicamente, le ragioni della posizione del governo brasiliano.

Innanzitutto, non va dimenticato che la neutralità nei confronti della guerra è stata la nota chiave della diplomazia brasiliana fin dall’inizio del conflitto. Nel periodo immediatamente prebellico, l’allora presidente Bolsonaro visitò Mosca e fece delle foto con Putin; però non si è mai chiaramente orientato verso una parte o l’altra. All’Onu, sebbene in diverse occasioni sia stata favorevole a mozioni che chiedevano la pace, la rappresentanza brasiliana non è mai arrivata ad avallare alcuna proposta che condannasse la Russia o ammettesse sanzioni economiche. Per spiegare questa posizione occorre considerare almeno tre aspetti.

Questo è stato un raro caso (se non l’unico, sicuramente il più eclatante) in cui il governo Bolsonaro ha rinunciato ad allinearsi alla politica estera statunitense. È bene ricordare che, sotto il comando di Ernesto Araújo (Ministro degli Affari Esteri tra il 2019 e il 2021), la diplomazia bolsonarista ha elogiato gli USA e Trump come baluardi della resistenza dell’Occidente cristiano contro le minacce anticristiane, cioè l’Islam, il marxismo culturale e il cosiddetto “globalismo”. Si potrebbe pensare che l’attuale disallineamento sia dovuto al fatto che Trump non era più a capo degli USA all’inizio del conflitto, il che non è del tutto falso, dal momento che non è impossibile pensare che Bolsonaro, notoriamente poco disposto a occuparsi di questioni geopolitiche, sarebbe stato tentato a soddisfare una richiesta speciale del “leader dell’Occidente cristiano”. Comunque sia, credo che ci si avvicini di più alla verità se basiamo la posizione dell’ex governo su ragioni un po’ più pragmatiche.

Come una volta ha detto Bolsonaro, difendendo la posizione di equilibrio nel conflitto tra Russia e Ucraina: «per noi la questione dei fertilizzanti è sacra». Ecco il secondo aspetto. L’agrobusiness rappresenta oltre la metà delle esportazioni brasiliane ed è strutturalmente dipendente dalle importazioni di fertilizzanti, che arrivano in grande quantità dalla Russia. Anche se un gesto di appoggio a Putin fosse fuori discussione, la condanna dell’invasione dell’Ucraina costituirebbe un grave rischio per la produzione agricola. Lo sforzo, quindi, era quello di non opporsi agli USA né scontentare l’agrobusiness che, oltre a essere una componente importante del commercio estero brasiliano, ha sempre fortemente sostenuto Bolsonaro. Infine, un dato congiunturale ha permesso di sostenere con continuità questo equilibrio davanti all’opinione pubblica interna: per la popolazione brasiliana la guerra in Ucraina non è mai stata una questione in grado di mobilitare gli animi. Questo è un punto che non si deve trascurare. Mi trovo a scrivere questo testo dopo due settimane di permanenza in Europa, e riesco a capire quanto la guerra qui sia un tema cruciale; proprio per questo credo sia importante sottolineare che questo non significa che sia un tema ugualmente rilevante in ogni angolo del mondo. Come sempre accade in queste occasioni, in Brasile ci sono state piccole manifestazioni qua e là: alcuni si sono affrettati a sfoggiare il blu e il giallo sui profili dei social media a sostegno dell’Ucraina; altri, al contrario, hanno gridato contro l’imperialismo della NATO; nei primi giorni del conflitto la TV era piena di interviste alle comunità ucraine del sud del Brasile e di presentazioni sui terribili dislocamenti causati dalla guerra. Tuttavia, un dato di fatto è che la mobilitazione sulla guerra non è mai andata oltre a questo (e tendo a credere che lo stesso sia accaduto in altri paesi latinoamericani).

Nel momento in cui Lula si è insediato alla presidenza, la politica estera brasiliana era a pezzi. Dopo la sconfitta di Trump, i paesi più vicini a Bolsonaro erano Ungheria e Polonia, a parte uno stretto rapporto personale con Matteo Salvini. Il Brasile ha assunto una posizione fondamentalmente filo-israeliana e anti-palestinese all’ONU, andando contro le tradizionali linee guida della sua diplomazia; in pratica si è ritirato da molti forum internazionali (dedicando all’OMS una collera del tutto particolare per le critiche durante la pandemia) e, in quelli in cui era ancora attivo, si è schierato con i paesi più conservatori e fondamentalisti su temi come diritti delle donne e persone Lgbtq+ . Proprio per questo molti degli sforzi di Lula, nei giorni successivi alla sua elezione, sono stati rivolti alla ricostruzione dell’immagine del Brasile sulla scena mondiale e alla ripresa di canali di dialogo che erano stati abbandonati, ad esempio con la Germania e la Norvegia, che avevano sospeso i loro contributi al Fondo Amazzonia.

Nonostante questa svolta – avvenuta nel giro di pochi mesi –, il governo Lula non ha mai pensato di cambiare la posizione brasiliana di fronte alla guerra in Ucraina. È successo piuttosto il contrario, direi, perché il discorso neutralista si è fatto più duro. Le recenti parole di Lula in Cina, citate all’inizio di questo testo, hanno permesso di fare un passo in avanti a una serie di posizioni sempre più critiche; ad esempio, a gennaio il governo brasiliano si è rifiutato di soddisfare la richiesta della Germania di fornire lotti di munizioni ai veicoli corazzati tedeschi utilizzati dall’Ucraina; allo stesso modo, al ripetuto appello per la fine delle ostilità si sono combinate delle critiche di coloro che presumibilmente l’avrebbero impedita – gli USA, la NATO e lo stesso Zelensky.

Voglio richiamare l’attenzione su questa intensificazione delle critiche perché mi pare che rappresenti proprio l’aspetto nuovo che si è aggiunto alla posizione ereditata dal governo precedente. Infatti, non sono state escluse le ragioni che hanno motivato la posizione politica precedente: l’agrobusiness continua a essere contrario alla possibilità di voltare la schiena alla Russia e la maggior parte della popolazione brasiliana rimane piuttosto lontana dalla guerra; credo che la nuova enfasi sia dovuta a due elementi che erano naturalmente assenti dalla diplomazia bolsonarista, in quanto propriamente di sinistra o lulisti: la pressione della sinistra sulla posizione governativa e la scommessa sulla neutralità come condizione per il ristabilimento di una relazione strategica tra il Brasile e i suoi partner BRICS.

Con l’espressione “campo della sinistra”, senza essere troppo rigidi, si intende un gruppo di soggetti che va dai simpatizzanti ai militanti di partiti di sinistra e dei movimenti sociali, del movimento studentesco, dei sindacati, ecc. La domanda che ci si deve porre è allora: come si posiziona questo campo, all’interno del quale l’interesse per la guerra è senz’altro maggiore di quello presente nella popolazione generale? In breve, si possono individuare due piccoli gruppi: uno che sostiene apertamente la condanna dell’aggressione russa e raccoglie firme di solidarietà con la resistenza ucraina; l’altro, al polo opposto, che tende a legittimare l’azione russa sulla base della supposizione che il governo ucraino sia infiltrato da gruppi di estrema destra e, al contempo, che la Russia fosse messa alle strette dalla NATO. Tuttavia, la stragrande maggioranza dell’opinione di sinistra, almeno così mi sembra, difende quella posizione che possiamo chiamare di neutralità critica, così come è stata richiamata dalle dichiarazioni di Lula. Oserei persino supporre che per la maggior parte dei membri del governo Lula, anche se prevale il silenzio diplomatico, il sentimento più comune possa essere riassunto come segue: gli USA non hanno iniziato la guerra, ma stanno facendo di tutto per farla andare avanti, perché essa rappresenta l’occasione perfetta per mettere in ginocchio un vecchio nemico attraverso l’arma più convenzionale che si possa immaginare: il dollaro; con l’obiettivo di sfinire la Russia e Putin escludendoli dal commercio internazionale (si vedrà presto che questo punto è fondamentale). Certamente si condannano gli attacchi ai civili, si riconosce l’importanza della difesa dei diritti umani, e così via. Ma questa è, per così dire, l’agenda scontata di qualsiasi membro di una sinistra degna di questo nome. Ciò che in realtà suona a molti insopportabile – e bisogna dirlo chiaramente – è l’ipocrisia contenuta nella posizione filoucraina degli USA e dei suoi alleati, che addirittura, chiedendo adesioni immediate, ignorano gli effetti collaterali perversi prodotti nel passato recente da eventi bellici simili avvenuti in paesi che non sono al “centro del mondo”, che non appartengono, cioè, all’Occidente; sconvolgimenti sociali, mortalità, fame, sfollamenti di popolazione che si susseguirono sulla scia di altri interventi bellici mossi in nome della cosiddetta “democrazia”.

A mio avviso, questa rappresenta la posizione maggioritaria (anche se certamente non esclusiva) della sinistra brasiliana. Putin è un disastro, un politico autoritario; però Zelensky è qualcuno che aveva bisogno della guerra per affermarsi e ha fatto quasi tutto (Lula a un certo punto lo ha detto espressamente) perché la guerra avvenisse. La questione più importante, però, non riguarda questo, ma il giudizio sulla posizione dell’Occidente (ovvero NATO, USA, Unione Europea) rispetto alla guerra. Qui non va tralasciato l’aspetto emotivo del problema: quante volte la TV ha mostrato scene di biondi cittadini ucraini privilegiati nell’oltrepassare quegli stessi confini dove neri e asiatici soffrivano la fame e il freddo? Pensando al caso particolare dell’America Latina, non è difficile capire l’apatia di persone i cui concittadini muoiono tentando di varcare i confini nordamericani o soffrono, come per esempio ad Haiti, per il dissolvimento della loro nazione. Mi sembra molto probabile che sentimenti simili vengano replicati in paesi dell’Africa e dell’Asia. Sebbene non abbiano una motivazione razionale chiara, hanno un effetto importante sulla presa di posizione riguardo alla guerra.

Come c’era da aspettarsi, questa opinione maggioritaria della sinistra brasiliana ha avuto risonanza nel governo, e questo aiuta a spiegare l’accento critico delle dichiarazioni di Lula; è naturale che un governo di sinistra si senta in dovere di esprimere, per quanto possibile, l’opinione prevalente della sua base sociale di sostegno. Ma è anche vero che questo dato non ne è la causa sufficiente. Al contrario, credo che sia più decisivo il secondo elemento appena accennato, cioè la posta in gioco geopolitica. Sottolineare il peso lulista di questa posizione significa affermare che, in termini generali, la neutralità critica è ancorata alla continuità, con i dovuti aggiustamenti di corso, con la diplomazia del lulismo così come si è sviluppata sotto il comando di Celso Amorim, ministro degli Affari Esteri (2003-2011, sotto Lula) e dopo della Difesa (2011-2015, sotto Dilma Roussef), e che si può riassumere in due assi: la diplomazia Sud-Sud e il rapporto strategico con il Sud America e con l’Africa; il puntare sui BRICS come meccanismo di opposizione all’egemonia statunitense.

Le dichiarazioni di Lula sulla guerra in Ucraina sono state fatte, molto significativamente, durante una visita in Cina. Non fa male ricordare che questo paese è stato disprezzato dal governo Bolsonaro (in questo molto obbediente a Trump) per quattro anni e, in particolare durante la pandemia di Covid-19, tale disprezzo si è manifestato nei termini più vili: ad esempio, attraverso il sostegno all’opinione che tutto sarebbe riconducibile a un virus sviluppato in Cina; o, ancora, attraverso la stigmatizzazione da parte del campo bolsonarista dei vaccini prodotti in Brasile da una delle principali aziende farmaceutiche brasiliane in collaborazione con la Cina (CoronaVac), con la conseguenza di una forte dissuasione rispetto alla vaccinazione. Al contrario, Lula sembra aver scelto la Cina come partner strategico e la sua recente visita ha ribadito questa intenzione. Oltre ai risultati degli accordi commerciali firmati, che devono essere considerati molto importanti, la svolta diplomatica rappresenta una grossa scommessa da parte del Brasile sulla riattivazione dei BRICS e del loro potere di favorire lo sviluppo al di fuori dell’egemonia americana. Due dettagli lo chiariscono perfettamente: la visita di Lula ha coinciso con l’insediamento di Dilma Rousseff a presidente della Banca di Sviluppo dei BRICS; inoltre, uno dei punti principali all’ordine del giorno era l’implementazione di meccanismi che consentano scambi tra paesi partner al di fuori del sistema sostenuto dal dollaro, sia con valute locali sia con una nuova moneta (dei vecchi desideri all’interno del Mercosur).

Non è necessario insistere sull’importanza di creare un mercato internazionale in cui il dollaro sia una delle alternative e non più un destino scontato. Il fatto che la Russia oggi, bandita dal mercato del dollaro, resista grazie alla Cina dimostra come l’egemonia americana possa eventualmente essere indebolita attraverso il “disarmo”, il suo più potente strumento di dissuasione geopolitica. Non comincerebbe ad apparire all’orizzonte il profilo di un mondo multipolare? Ora, questo percorso incontrerebbe gravi ostacoli se il Brasile abbandonasse la sua neutralità – che, non a caso, almeno ufficialmente, non è lontana da quella seguita da Cina (primo partner commerciale del Brasile), India e Sud Africa (partner nei BRICS) e Argentina (paese fondamentale per la geopolitica sudamericana). Inoltre, penso che nella valutazione del governo brasiliano, la Russia sia davvero, al momento, la parte la più interessata a mettere fine alla guerra, purché con un’uscita minimamente onorevole. È vero che dopo le innumerevole critiche esterne e interne dirette a Lula per la durezza delle sue dichiarazioni, negli ultimi giorni si è sentita un’inflessione più diplomatica delle sue posizioni. Infatti, come non è consigliabile scontentare i russi, non è temerario mettersi troppo chiaramente contro gli USA; internamente, la condanna dell’eccesso retorico è arrivata anche da alcuni settori del governo. Quasi per redimersi, il 18 aprile, poco dopo aver ricevuto la visita del ministro degli Affari Esteri russo, Lula ha dichiarato categoricamente che il suo governo “condanna la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina”, e ha nuovamente difeso “una soluzione politica negoziata”. È stato un gesto importante, che dimostra quanto sia difficile mantenere l’equilibrio diplomatico. Comunque, la necessaria correzione del tono delle parole precedenti, a mio avviso, non cambia sostanzialmente la posizione di neutralità assunta dal Brasile.

Infine, il lettore potrebbe obiettare che si tratta di una scommessa rischiosa, tanto più che riserva alla Cina un ruolo di primo piano nella costituzione di un nuovo ordine mondiale. Su questo non ci sono dubbi. Ogni scommessa contiene la possibilità di un rovescio, tanto maggiore a seconda di quello che è in gioco, e circondarsi di partner di questo tipo è sicuramente pericoloso. Eppure, non è meno pericoloso che dare libera strada alla sfrenata volontà di vessazioni territoriali e di strangolamento economico di un paese come la Russia, detentore di un importante arsenale nucleare, e conservare il mondo più o meno così come va. Comunque sia, bisogna almeno riconoscere che la posizione del governo brasiliano, anche se strana, non è né irrazionale né irresponsabile.

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