Ripubblichiamo in traduzione italiana l’intervista di Climate Class Conflict a Indigo, attivista di Lützerath Lebt, il collettivo che da due anni si batte contro il progetto promosso dal governo tedesco e dalla RWE (multinazionale dell’energia) di espansione della miniera di carbone di Lützerath nella regione della Renania Settentrionale-Vestfalia. L’intervista mette in luce alcune delle richieste più urgenti che gli attivisti e le attiviste per il clima devono affrontare in questo momento: il problema dell’organizzazione e della disobbedienza civile, la retorica nazionalista alimentata dalla guerra in Ucraina, il collegamento con altre lotte sociali. Il caso di Lützerath illumina alcune tendenze politiche attuali e ispira e rafforza il movimento per la giustizia climatica. Dopo l’inizio della demolizione del villaggio, sempre più attiviste e attivisti hanno unito le loro forze per dire no a questo massiccio piano di distruzione e all’estrazione di altri combustibili fossili. Per molte e molti, la lotta a Lützerath è stata il momento in cui hanno capito che, come dice Indigo, «non possiamo affidarci a nessun governo del capitalismo per salvare il nostro clima, ma che dobbiamo agire noi stessi». Le manifestazioni e la disobbedienza civile degli attivisti hanno svolto un ruolo importante per mostrare che un’opposizione al capitalismo fossile è possibile. Eppure, non sono state sufficienti. Per vincere la nostra lotta «abbiamo anche bisogno di organizzarci dove avviene la produzione», colpire il capitalismo laddove viene prodotto. La guerra in Ucraina ha reso ancora più difficile la lotta a Lützerath, perché ha fornito al partito dei Verdi la «scusa» per accelerare il piano industriale e la repressione poliziesca. Più in generale, la guerra ha cambiato il «clima nella società», non solo ridisegnando le priorità del governo tedesco ma anche favorendo il nazionalismo. Le tensioni e le contraddizioni tra le lotte per il clima e quelle di lavoratori e lavoratrici sono anche parte delle difficoltà nell’organizzare la lotta per un cambiamento sistemico. Poiché il settore industriale tedesco è ancora molto dipendente dai combustibili fossili (si veda anche l’articolo di Interventionistische Linke nel primo numero del giornale Climate Class Conflict), un movimento per un cambiamento reale deve ancora sciogliere il nodo di come costruire una lotta comune con i lavoratori e le lavoratrici e andare oltre un sistema basato sullo sfruttamento del lavoro. Infine, la lotta a Lützerath è stata l’occasione per costruire connessioni con le lotte per il clima altrove, riconoscendo le somiglianze e le connessioni tra le diverse lotte. Tuttavia, la solidarietà non basta: ciò di cui abbiamo ancora bisogno è un’organizzazione transnazionale – la sfida più urgente del nostro presente. Per questo, questi temi saranno al centro del prossimo meeting transnazionale della piattaforma Transnational Social Strike a Francoforte, dal 10 al 12 febbraio.
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CLIMATE CLASS CONFLICT: Puoi raccontarci brevemente cosa è successo a Lützerath negli ultimi mesi e qual è la situazione attuale?
INDIGO: Abbiamo occupato il villaggio di Lützerath due anni e mezzo fa perché si trova vicino alla più grande fonte di CO2 in Europa, l’area della miniera di carbone della RWE che si vuole espandere ulteriormente attraverso la demolizione del villaggio. Abbiamo quindi iniziato a vivere lì e a organizzare la resistenza contro questa distruzione. La settimana scorsa siamo stati sfrattati. Il governo federale, che in questo momento comprende anche i Verdi, ha deciso di radere al suolo il villaggio di Lützerath per ottenere il carbone sottostante. Assistere alla demolizione del villaggio è stato molto duro per noi, ma allo stesso tempo è stato incredibile ricevere solidarietà da tutto il mondo, e siamo rimaste davvero stupite di essere riuscite a mobilitare così tante persone sabato 14 gennaio, quando proprio qui, nel mezzo del nulla – un posto molto più difficile da raggiungere rispetto a una grande città – c’è stata una manifestazione a cui hanno partecipato trentacinquemila persone. La cosa più bella è che migliaia e migliaia delle attiviste e degli attivisti presenti hanno cercato di uscire dalla manifestazione per entrare nel villaggio di Lützerath, dove lo sgombero era ancora in corso. Alla fine non sono riusciti a passare e hanno subito la violenza della polizia. Ciò che è ora chiaro è che non possiamo affidarci a nessun governo del capitalismo per salvare il nostro clima, ma che dobbiamo agire noi stessi. Per molte e molti, questa è stata la prima esperienza da attivista e questo è un grande successo. L’altro grande successo è che diverse parti del movimento per la giustizia climatica si sono riunite per combattere qui per questo. È stato bello, perché di solito in Germania c’è molta separazione tra i diversi gruppi e il movimento per il clima.
Quali azioni collettive sono state praticate dagli attivisti e dalle attiviste nelle ultime settimane? Cosa è possibile imparare per le future organizzazioni di lotte per il clima e contro il capitalismo fossile? Quali difficoltà avete dovuto affrontare e cosa potrebbero essere migliorato?
Le azioni degli attivisti e delle attiviste sono state diverse: la disobbedienza civile praticata da migliaia di persone, l’occupazione di questo villaggio e azioni più militanti contro la violenza della polizia. Quello che abbiamo imparato è che siamo forti quando siamo uniti e anche che ha senso avere una lotta davvero concreta. Non vogliamo che questa miniera continui le sue operazioni estrattive, vogliamo fermarla qui, ma allo stesso tempo sottolineiamo sempre che non si tratta solo di questo villaggio ma del superamento del capitalismo neocoloniale, di conseguenza cerchiamo di organizzarci in modo femminista e di non lasciare spazio al patriarcato nelle nostre organizzazioni. Questa è stata una lezione importante della lotta che qui ha funzionato molto bene. Nonostante il successo nell’organizzazione e l’aver avuto molte persone che hanno fatto azioni grandiose e molto coraggiose, la difficoltà che abbiamo comunque incontrato è stata l’incapacità di bloccare i piani del governo. Credo che questo ci dia diverse indicazioni. La prima è che, nel sistema capitalistico in cui siamo, non possiamo riporre alcuna speranza nei governi; inoltre, manifestazioni e disobbedienza civile non saranno sufficienti per sfidare questo sistema. Abbiamo anche bisogno di organizzarci dove avviene la produzione, perché è lì che si fa il capitalismo, e per questo dobbiamo organizzarci con le persone che producono. Credo che questo sia ciò che abbiamo imparato.
Il piano del governo tedesco di ampliare la miniera di carbone era già nell’aria da tempo, ma sembra che la guerra in Ucraina abbia reso più “facile”, o forse più urgente, la sua realizzazione, dal momento che la guerra ha dato una certa copertura ideologica all’utilizzo di più combustibili fossili e all’inasprimento della repressione contro gli attivisti e le attiviste. Pensi che la guerra abbia avuto qualche effetto sullo sgombero del campo di Lutzerath? Quali sono le posizioni sulla guerra all’interno del movimento ecologista?
Alcuni piani per l’espansione della miniera erano già stati fatti prima della guerra in Ucraina. Il punto è che questi sono stati realizzati proprio ora dai Verdi che, una volta al governo, hanno acconsentito all’espansione della miniera usando la scusa della guerra. Hanno motivato l’espansione della miniera con la guerra in Ucraina e la maggiore necessità di energia. Lo hanno fatto mentendo però, perché non potranno produrre energia dal carbone estratto prima dei prossimi due anni. Era semplicemente una bugia, ma l’hanno usata ed è stato molto più facile per loro, perché hanno potuto dire: «Noi siamo il partito che protegge il clima, ma questa è una crisi, questa è una guerra. E per questo motivo, dobbiamo fare cose su cui non siamo d’accordo». Questo ha avuto un certo impatto sullo sgombero, perché ha cambiato il clima all’interno della società tedesca a loro favore. L’idea è che siamo in crisi, siamo in guerra, e quindi dobbiamo fidarci dei nostri governi. Anche il nazionalismo è cresciuto dall’inizio della guerra. Ma nel campo e nel movimento ecologico non abbiamo una posizione condivisa sulla guerra in Ucraina.
Gli attivisti e le attiviste per il clima devono spesso affrontare la terribile alternativa tra la lotta per migliori condizioni ambientali e quella per migliori condizioni lavorative e sociali. Coloro che chiedono un vero cambiamento di sistema rifiutano questa alternativa e usano lo slogan “Fine del mondo, fine del mese: stessa lotta”. Come avete affrontato questo problema nella lotta di Lützerath? Chi ha partecipato alla protesta e qual è il rapporto tra attiviste e attivisti per il clima e lavoratori e lavoratrici?
Innanzitutto, credo che non si possa distinguere così chiaramente tra attiviste e attivisti per il clima e lavoratori e lavoratrici, perché nel caso di Lützerath gli attivisti e le attiviste non svolgono lavori tradizionali. La maggior parte di loro non lavora in fabbrica o nell’industria, ma comunque dipendono dalla vendita del loro lavoro per sopravvivere. In senso lato, tutte e tutti i presenti fanno parte della classe operaia. Penso che questa contraddizione tra lotte ecologiste e sociali nel caso della Germania o del Nord globale sia vera, perché qui la ricchezza dipende dalla crescita economica e dalla possibilità di vivere a spese del resto del mondo e di sfruttarlo. A prima vista, la giustizia climatica non offre molti vantaggi alle lotte sociali, se si considerano le lotte sociali solo come lotte per un salario più alto. I salari e i posti di lavoro in Germania dipendono dall’industria che sta distruggendo il nostro pianeta e il nostro clima. Il movimento per la giustizia climatica deve assumere una prospettiva che vada oltre il capitalismo e ciò significa non lottare per più lavoro, ma arrivare a lottare contro il lavoro, contro un sistema che si basa sulla vendita del proprio lavoro per ottenere denaro. Questa è una prospettiva che il movimento deve assumere perché altrimenti non abbiamo nulla da offrire a lavoratori e lavoratrici, mentre dobbiamo costruire insieme a loro il vero potere di cambiare le cose.
Gli attivisti e le attiviste di tutto il mondo hanno espresso la loro solidarietà alla lotta di Lützerath. Il movimento per la giustizia climatica ha sempre riconosciuto che ciò che accade a livello locale ha effetti su scala globale. Tuttavia, è stato difficile andare oltre la solidarietà e organizzarsi a livello transnazionale, cioè riconoscere che una trasformazione sociale che superi il capitalismo fossile non può essere perseguita se pensiamo e agiamo solo a livello locale. Cosa ne pensi e quali sono le sfide future?
Quello che abbiamo sperimentato qui a Lützerath è che dare avvio a una lotta concreta contro una miniera di carbone ci ha reso molto più facile avere collegamenti con altre lotte contro l’estrattivismo in tutto il mondo. Abbiamo avuto molti contatti con le lotte in America Latina, soprattutto in Messico e in Colombia. Ad esempio, questa primavera abbiamo inviato una delegazione in Messico per una caravana contro i megaprogetti, mentre noi abbiamo ricevuto qui gli zapatisti, trovando anche il modo di sostenerci a vicenda nelle nostre lotte. Mi è sembrato che, dal momento che qui abbiamo una lotta molto concreta, sia stato molto più facile organizzarsi a livello transnazionale, perché è stato più facile vedere le somiglianze tra le lotte, nonostante le circostanze estremamente diverse in cui lottiamo. Quello che abbiamo sperimentato è che è possibile lavorare insieme per lotte concrete e questo ha sostenuto molto le nostre lotte particolari. Ciò che ancora manca e che ritengo sia la sfida futura è avere un’organizzazione transnazionale che vada oltre i progetti a breve termine e i contatti personali.