di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM
Pubblichiamo la traduzione italiana dell’introduzione al primo numero del giornale Climate Class Conflict, pubblicato dalla piattaforma Transnational Social Strike. Frutto di una discussione transnazionale tra collettivi, sindacati e militanti ecologisti lanciata durante lo scorso settembre durante il meeting di Sofia e che sarà ripresa e ulteriormente approfondita durante il prossimo meeting a Francoforte sul Meno del 10-12 febbraio, il giornale ospita contributi dalla Germania, dal Regno Unito, dalla Francia, dalla Svezia, dalla Bulgaria e dall’Italia. In quanto riflette sul nesso tra politiche climatiche e di classe, questo giornale costituisce per noi un importante contributo al dibattito ecologista in un momento in cui la guerra in Ucraina ci costringe a ripensare le nostre lotte.
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La transizione verde è un enigma che interroga le nostre iniziative politiche. Essa ci costringe a confrontarci con il significato sistemico dell’ecologia e con i molteplici effetti che i cambiamenti nel rapporto tra produzione, riproduzione e ambiente hanno sulle nostre vite. La transizione verde è un campo di battaglia che ridisegna i confini e le possibilità dei movimenti sociali, obbligandoci a prendere una posizione. Essa riarticola la produzione e la riproduzione sociale sotto la bandiera ideologica della gestione del cambiamento climatico, mentre stabilisce materialmente le condizioni ambientali per l’accumulazione del capitale in tempi di crisi. In quanto ha a che fare con l’accumulazione di capitale, la transizione verde riguarda la logistica, la produzione industriale e le condizioni salariali, nonché la regolamentazione della circolazione e del lavoro dei migranti e del lavoro riproduttivo delle donne. Non c’è scampo: quando si guarda al modo in cui viene gestito il cambiamento climatico è possibile rintracciare tutte le gerarchie e i processi sociali che abbiamo sempre contestato. Per noi, lottare per la “giustizia climatica” significa affrontare il problema di come la crisi climatica viene sfruttata dai governi e dal capitale per riprodurre le disuguaglianze e suggellare la loro legittimità. Significa accumulare il potere necessario per realizzare una trasformazione veramente radicale, un compito che non può né essere lasciato ai soli “specialisti” del clima, né limitato a singole lotte territoriali scollegate da ciò che accade altrove. Questo è il compito di un movimento sociale transnazionale alimentato da una comprensione condivisa delle urgenze politiche più pressanti che le persone devono affrontare e del modo in cui collegarle. Questo giornale si propone di aprire uno spazio di discussione su come immaginare un conflitto climatico e di classe transnazionale.
Un conflitto climatico e di classe transnazionale non è qualcosa che abbiamo già, è ciò di cui abbiamo più bisogno. Questo non significa però che partiamo da zero. Facciamo parte di movimenti e organizzazioni per il clima che hanno legami internazionali e che in questi anni hanno fatto dell’ecologia un terreno di lotta fondamentale. Ciò è stato reso possibile dall’ampia rivendicazione di un futuro di giustizia sociale e climatica contro i governi e i capitalisti che lo barattano in cambio di profitti facili qui e ora. Ciò è stato possibile contrastando la narrazione di una transizione verde che promette di offrire un futuro a zero emissioni, mentre continua a subordinare e sfruttare lavoratori, donne e migranti e ad appropriarsi delle risorse per il solo profitto. Molte pratiche sono state abbracciate dal movimento per il clima, come i blocchi, i climate camp e gli scioperi globali. Allo stesso tempo, gli scioperi di lavoratori e lavoratrici e le proteste nei settori dei trasporti, delle miniere, dei combustibili fossili e del carbone contro il peggioramento delle condizioni di lavoro prodotto dalla transizione verde ci spingono a pensare a come superare i limiti delle nostre iniziative. I lavoratori e le lavoratrici che scioperano per non perdere il posto di lavoro stanno lottando contro un sistema che contrappone i loro interessi alle esigenze ecologiche di tutti attraverso l’imperativo della transizione verde. Essi si trovano di fronte allo stesso sistema che gli attivisti e le attiviste per il clima vogliono cambiare, un sistema la cui riproduzione pesa sul lavoro gratuito delle donne e sui salari di tutti i lavoratori. Qui si trova un potenziale collegamento che deve essere costruito e praticato politicamente. È bene essere molto chiari su questo punto: il compito degli attivisti per il clima non è quello di “insegnare” ad altri come condurre la lotta; piuttosto, come sottolineano i compagni tedeschi di IL, essi devono contribuire a costruire “alternative credibili, attuabili e concrete alla narrazione dominante” che aiutino a superare le differenze. La nostra iniziativa climatica e di classe transnazionale deve fare i conti con questo e costruire un potere a partire dalla connessione politica di queste differenze.
Per questo pensiamo che il rifiuto delle politiche sul cambiamento climatico debba essere parte del rifiuto di una guerra che viene combattuta con armi vere e proprie in Ucraina e con armi economiche e politiche in tutto il mondo. Oggi, una lotta per cambiare il clima di violenza che la guerra sta legittimando è una lotta per costruire le condizioni di un conflitto di classe che altrimenti è soffocato dagli scontri tra nazioni. Sotto la minaccia dell'”insicurezza” energetica, il ritmo e la portata della transizione verde pianificata dall’UE e dai governi nazionali sono cambiati, con l’obiettivo di sottomettere qualsiasi contestazione pratica dei suoi effetti all’interesse superiore della costruzione di un’Europa più forte per mezzo della guerra.
Lo sciopero è uno degli strumenti politici che i movimenti ecologisti hanno adottato in questi anni per esprimere il loro rifiuto delle scelte del capitale e degli Stati, indisposti ad anteporre il “cambiamento di sistema” al “cambiamento climatico”. Mentre è più che mai chiaro che nessun governo riuscirà a garantire una “transizione giusta” da questa società inquinata da gerarchie capitaliste, sessiste e razziste, ciò che possiamo aspettarci da uno sciopero del clima è ancora oggetto di discussione. Il movimento globale dello sciopero femminista contro la violenza patriarcale ha contribuito profondamente ad ampliare il significato e la portata dello sciopero come processo sociale che mira a colpire i pilastri della violenza che riproduce continuamente la società. Pensiamo che per continuare a crescere, il processo dello sciopero del clima debba essere in grado di cogliere le linee del conflitto climatico e di classe che attraversano lo spazio transnazionale, in modo da rafforzare il rifiuto di sottomettersi all’insieme delle condizioni sociali imposte dalla transizione verde. Lo sciopero ecologista dovrebbe avere l’ambizione di collegare le lotte nei luoghi di lavoro – e ce ne sono molte già in atto all’interno e contro il settore energetico e fossile, come dimostra il caso francese presentato in questo giornale – con quelle che si svolgono in tutti i territori colpiti dalla transizione verde, superando i limiti delle vertenze nazionali o locali.
Come sottolineano i compagni bulgari nel loro contributo, questo è stato il caso del grande progetto di investimento nel parco eolico di Vetrino, sponsorizzato dalla società australiana di sviluppo delle energie rinnovabili CWP Global. Questo caso mostra come i progetti per il rinnovabile riproducono dipendenze dall’industria estrattiva, rendendo così le politiche verdi ed energetiche neoliberali un modo per rafforzare le gerarchie esistenti. Le comunità locali sono colpite da questi movimenti transnazionali del capitale che ora cercano nuove opportunità di accumulazione nel settore “verde” e restano impotenti di fronte a una transizione presentata come necessaria e indiscutibile. Anche i compagni svedesi del collettivo Allt åt alla prendono le mosse dal proprio territorio mettendo in discussione il concetto di “ambiente” per sottolineare il legame tra lo sfruttamento capitalistico di natura e persone. Il governo della mobilità all’interno di spazi e ambienti diversi riproduce gerarchie sociali e territoriali e mentre consolida il dominio del capitale sulle diverse condizioni, ciò frammenta anche le nostre lotte. La nostra sfida è quella di articolare le lotte ecologiste, sindacali e sociali in un’iniziativa transnazionale per ripensare il nostro ambiente, da costruire su quelle che i compagni tedeschi chiamano “terreni comuni”. La loro domanda può quindi risuonare in tutte le nostre riflessioni: “come possiamo promuovere un internazionalismo a partire dalla nostra comune esperienza di separazione?”
Certamente, la guerra è una radicale esperienza di separazione. Tra gli effetti mondiali che la guerra di Putin in Ucraina sta avendo c’è la moltiplicazione delle linee di divisione tra i movimenti sociali. Questo rende molto più difficile il nostro processo di organizzazione transnazionale e dimostra l’importanza di rifiutare la logica della guerra. Allo stesso tempo, la guerra sta praticamente cambiando il modo in cui la transizione verde viene legittimata e realizzata. Anche quando non è materialmente connessa a una determinata politica nazionale o locale, la guerra influisce sulla nostra vita quotidiana poiché viene utilizzata per giustificare il forte aumento dei prezzi del gas o il sostegno economico alle estrazioni di combustibili fossili, che andranno a vantaggio delle sole compagnie petrolifere mentre renderanno obsoleto qualsiasi obiettivo climatico. Come sottolineato nelle due interviste dall’Italia e dal Regno Unito, la guerra ha introdotto diverse discontinuità nei piani energetici europei. Simone Ogno (ReCommon) suggerisce che l’impossibilità di attingere al gas russo ha portato i governi europei a passare dall’autoritarismo russo a fornitori altrettanto autoritari come gli Emirati Arabi Uniti; d’altro canto, tutto ciò ha giustificato il rilancio dei combustibili fossili. Facendo riferimento alla situazione in Germania, l’intervista evidenzia il legame tra questo rilancio dei combustibili fossili e il peggioramento delle condizioni di vita, di salute e di lavoro di chi lavora nelle miniere e di chi vive nelle zone colpite. In questa fase, la tensione tra la necessità di far leva sulla transizione per autonomizzarsi dal gas russo e quella di utilizzare fonti energetiche immediatamente più efficienti mantiene intatta la priorità dell’accumulazione. In questa prospettiva, è cruciale quanto sostiene Simon Pirani sui piani in corso per la ricostruzione post-bellica ucraina. Mentre la guerra di Putin sta colpendo non solo lo Stato, ma l’intera popolazione ucraina, l’UE sta iniziando a organizzare la trasformazione neoliberale del sistema energetico ucraino per adattarlo alle esigenze del mercato unico. Questo dimostra che la transizione verde è parte integrante del clima di guerra che l’UE e altri Stati stanno alimentando in tutto il mondo; il crescente militarismo, la violenza e il nazionalismo sono i principali obiettivi che una politica transnazionale di pace, per la giustizia sociale e climatica deve affrontare. Il nostro impegno climatico e di classe deve puntare a rendere esplicite le connessioni politiche e transnazionali, in modo da poter affrontare e sovvertire ogni subordinazione.
Come sottolineato nel contributo di Climate Class Conflict – Italy (CCC-IT), “la guerra sta imponendo la sua ecologia” anche attraverso la riaffermazione della centralità della logistica per l’accumulazione del capitale. Questo ci spinge a decentrare lo sguardo quando guardiamo a progetti come grandi autostrade, parchi eolici, espansioni portuali, tunnel, gassificatori ecc. che incidono direttamente sull’ambiente in cui viviamo. Uno sciopero del clima che rifiuti questi progetti “verdi” non può esimersi dal compito di svelare le condizioni che si celano dietro queste decisioni apparentemente “tecniche” o “necessarie”, mettendo in luce ciò che la transizione verde sistematicamente nasconde. Proteste messe a tacere in nome di un ambiente attraente per gli investimenti delle grandi imprese; lavoratori ricattati o direttamente licenziati per fare spazio a una forza lavoro più adatta alla produzione verde; processi di eliminazione graduale dei combustibili fossili che tingono di una nuova tonalità verde i vecchi profitti finanziari ed estrattivi; tagli imposti al consumo di energia che colpiranno maggiormente coloro che già sopportano il peso della riproduzione sociale, ossia le donne e i migranti. Non possiamo affrontare con successo nessuno di questi ostacoli alle nostre iniziative politiche senza affrontare la sfida rappresentata dalla dimensione transnazionale che li produce. Dobbiamo fare del nostro ecologismo un modo per trasformare questa sfida in un’opportunità.
Tenendo conto di tutti questi problemi, organizzeremo nell’ambito dell’incontro transnazionale del TSS a Francoforte sul Meno, in Germania, dal 10 al 12 febbraio 2023, workshop e discussioni sulle possibilità di un conflitto di classe e climatico e sulle relazioni che esso deve tessere con altre lotte nella riproduzione sociale e contro la guerra. Questo giornale è quindi uno strumento aperto che mira a innescare ulteriori momenti di condivisione di esperienze e prospettive verso l’incontro di Francoforte. Chiunque abbia voglia di contribuire al giornale o di far parte di questa iniziativa del TSS può contattarci, così da comporre altri numeri del giornale con interviste, reportage, articoli, o qualsiasi materiale che racconti i conflitti climatici e di classe in corso e voglia esprimere la loro connessione con altre lotte. Per colpire la guerra, la crisi climatica e la transizione verde, abbiamo bisogno di un conflitto climatico e di classe transnazionale!