di VÍCTOR MIGUEL CASTILLO
Pubblichiamo un articolo di Víctor Miguel Castillo, attivista-ricercatore peruviano residente in Argentina, che analizza la crisi politica in corso in Perù dopo l’arresto dell’ex presidente Pedro Castillo e la nomina di Dina Boluarte. Castillo aveva vinto le elezioni nel 2021 grazie al rifiuto di massa della destra fujimorista e alle promesse fatte ai settori più poveri della popolazione: campesinos, comunità indigene e andine, insegnanti, lavoratrici e lavoratori. Le sue principali proposte includevano la creazione di un’assemblea costituente per riscrivere la Costituzione approvata ai tempi della dittatura di Fujimori, l’attuazione di una seconda riforma agraria, l’eliminazione degli esami di ammissione all’università, la rinegoziazione delle imposte sui progetti minerari e la riforma del sistema pensionistico privato. Tuttavia, a un anno dalla sua elezione, la corruzione sembra essere il principale risultato ottenuto. Ciononostante, dopo l’arresto di Castillo il rischio del ritorno delle politiche autoritarie e neoliberali della destra peruviana ha subito portato allo scoppio di ampie rivolte, soprattutto nelle zone rurali, con occupazioni di strade, aeroporti (in tre regioni) e stazioni di polizia, innescando, a Puno, uno sciopero generale sulla costa, sugli altipiani e nella giungla. L’Asamblea Nacional de Los Pueblos – composta dalla Confederazione Generale dei Lavoratori del Perù (CGTP), dalla Centrale Unica Nazionale delle Giunte Contadine e Urbane del Perù (CUNARC) e dalla Federazione Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione del Perù (FENATEP), tra le altre organizzazioni – aveva indetto per il 15 dicembre una giornata nazionale di lotta, chiedendo la chiusura del Congresso, nuove elezioni e libertà per Castillo. Il governo di Boluarte ha risposto dichiarando lo stato di emergenza nazionale per 30 giorni e attivando la brutale repressione dei manifestanti. Venticinque persone sono state uccise e settantasei ricoverate. Mentre l’Argentina, la Colombia, il Messico e la Bolivia hanno firmato un documento in cui esortano il Perù a reintegrare Castillo come presidente, la sinistra locale si è divisa e alcuni parlamentari, appartenenti alle formazioni di Perù Libre, Nuevo Perù e il Bloque Magistral, hanno votato per la sua rimozione. Sugli esiti di questa grave crisi istituzionale saranno determinanti l’organizzazione e l’unità di campesinos, indigeni e popolazioni andine, lavoratori, lavoratrici e tutti quei settori della società che si stanno mobilitando contro le politiche di classe e razziste da molti anni messe in atto in Perù e per una trasformazione radicale del sistema politico e sociale.
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Mercoledì 7 dicembre, il presidente in carica del Perù Pedro Castillo Terrones ha sancito la fine del suo breve e ambivalente governo annunciando la chiusura del Parlamento, il coprifuoco e che avrebbe governato per decreto. Questo messaggio affrettato è stato un tentativo di anticipare il voto in parlamento sul suo impeachment per “incapacità morale” di governare il Paese andino. Questo è stato il terzo tentativo da parte del Parlamento peruviano di rimuovere Castillo dall’incarico da quando è entrato in carica nel luglio 2021.
L’ex presidente peruviano, un insegnante rurale di estrazione popolare e proveniente dalle serre andine, aveva vinto le elezioni generali del giugno 2021 sulla candidata di estrema destra Keiko Fujimori, figlia del dittatore Alberto Fujimori, che ha governato con le forze armate negli anni ’90 ed è ora in carcere per crimini contro l’umanità e corruzione durante il suo mandato.
Questa destra, oltre a ignorare il risultato che ha dato la vittoria a Castillo (adducendo brogli), ha conquistato la maggioranza parlamentare, costruendo così un contrappeso che il maestro rurale ha subito per tutto il suo breve periodo di governo. Dai media, concentrati sotto il potere economico delle grandi aziende, alle istituzioni pubbliche precedentemente cooptate da politici simpatizzanti degli interessi conservatori, si è scatenata una guerra aperta contro un governo squalificato come illegale.
Il parlamento peruviano ha fatto ricorso alla figura della “carica presidenziale vacante”, qualcosa di simile a una mozione per decidere se un governante è qualificato a ricoprire la più alta carica pubblica del Paese. La sua figura giuridica compare nella Costituzione del 1993, creata durante la dittatura di Alberto Fujimori. La prima volta che un parlamento peruviano ne ha fatto uso è stato, infatti, per votare l’impeachment di Fujimori nel 2000, dopo che questi era fuggito in Giappone e si era dimesso via fax dalla presidenza. Fu dichiarato moralmente inadatto a ricoprire la carica e furono indette nuove elezioni presidenziali.
Da allora, questa figura di impeachment non è stata utilizzata fino al 2017, quando è stata decisa, dal gruppo nuovamente maggioritario fujimorista, la “vacatio” dell’allora presidente Pedro Pablo Kuczynski, eletto nel 2016. Dal 2016 a oggi, dopo una continua e intensa guerra della destra fujimorista (che perde sempre le elezioni presidenziali generali) in Parlamento contro i governi che non sono di suo gradimento, sono passati sei presidenti, in un chiaro segno di instabilità e profonda crisi del sistema politico.
Quando viene approvata una carica presidenziale vacante, il vicepresidente succede al presidente. Nel caso di Castillo, dopo aver annunciato incostituzionalmente la chiusura del Congresso, il Parlamento ha approvato la sua destituzione e Dina Boluarte, che lo aveva accompagnato durante la campagna elettorale ed era stata per qualche tempo portavoce del governo del presidente deposto, ha assunto l’incarico. La sua prima reazione da presidente è stata quella di squalificare Castillo e di affermare il discorso del momento dei media di destra, secondo cui Castillo era un leader golpista.
Da quel giorno, mercoledì 7 dicembre, più di 30 persone sono state uccise durante le proteste che chiedevano il reintegro di Pedro Castillo, la destituzione di Dina Boluarte (ora considerata una traditrice delle classi popolari per essersi inchinata ai gruppi di potere conservatori di Lima, la capitale peruviana), l’anticipazione di nuove elezioni presidenziali generali e la formazione di un’Assemblea Costituente per redigere una nuova Costituzione con la partecipazione dei cittadini che sostituisca quella del 1993 decretata dalla dittatura fascista di Fujimori.
Castillo è attualmente perseguito per ribellione. La sua famiglia ha ottenuto asilo in Messico. Le proteste si svolgono generalmente nell’interno del Paese, negli altopiani, da dove proviene l’ex presidente peruviano. Boluarte ha decretato lo stato di emergenza e il coprifuoco (sospensione delle garanzie costituzionali) nelle regioni più impoverite del Perù. Un gesto razzista e coloniale che ha accompagnato ogni governo dall’emancipazione della colonia spagnola nel 1824. Le élite creole di Lima non hanno smesso di governare con le spalle rivolte alle province andine e alla giungla che costituiscono il territorio nazionale.
Sebbene il governo di Castillo abbia avuto un corso irregolare, prendendo spesso decisioni impopolari sotto la pressione dei gruppi di potere, le persone che sono scese in piazza per chiedere il suo reintegro lo identificano come una persona vicina a loro, dalla loro parte. Secondo gli ultimi sondaggi, il suo consenso era superiore al 30% (mentre il Parlamento pro-Fujimori aveva quasi il 10%). Tuttavia, Castillo non appartiene all’élite, parla e si veste come un rondero rurale. Questo mette a disagio la destra di Lima e l’attuale trattamento razzista a lui riservato sembra essere letto dai comuni cittadini come una vendetta per aver osato cambiare i rapporti di forza con i conservatori. Una vendetta che il popolo non è disposto a tollerare e che vede nelle strade lo scenario sanguinoso di una repressione dittatoriale che ricorda il peggior decennio degli ultimi tempi in Perù.
Non sembra esserci tregua e il futuro è incerto. I gruppi di potere, guidati da Dina Boluarte, fanno leva sulla stanchezza della popolazione. Ha già promesso di anticipare le elezioni al 2024 (il mandato del governo terminerebbe nel 2026), ma questo non è stato accettato dalla popolazione, che chiede la sua rimozione come usurpatrice e nuove elezioni subito. Le varie sinistre si sono divise sull’amministrazione di Castillo: c’era chi considerava Castillo un governo antipopolare, che non prendeva serie iniziative per cambiare le regole del gioco neoliberali, e chi invece riteneva che fosse un’opportunità per lottare dall’interno delle istituzioni per realizzare queste riforme. Nel contesto attuale, tutti sostengono la richiesta maggioritaria dei cittadini: nuove elezioni e la formazione di un’assemblea costituente paritaria, plurinazionale e democratica.