di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM
Pubblichiamo le note introduttive al terzo incontro dell’Assemblea permanente contro la guerra che si è tenuto lo scorso 22 maggio. Leggi qui il report dell’incontro.
Benvenute e benvenuti al terzo incontro dell’Assemblea permanente contro la guerra. Come molte e molti di voi sapranno, l’Assemblea permanente è il risultato di un primo incontro tenutosi il 20 marzo scorso, a quasi un mese dall’invasione dell’Ucraina. In quell’occasione abbiamo discusso di che cosa serva per costruire una politica transnazionale di pace che sia dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici, delle e dei migranti, delle donne e delle persone lgbtq+ che lottano per sopravvivere e per sfuggire alla violenza.
Ci siamo incontrati nuovamente il 9 aprile, mentre imperversavano gli orrori della guerra. Abbiamo discusso di come impostare un nuovo discorso sulla guerra di Putin, senza lasciare che questa mettesse sotto ricatto la nostra immaginazione politica. Abbiamo quindi condannato chiaramente l’aggressione di Putin e preteso che i bombardamenti e i massacri finiscano. Eppure, la nostra politica di pace non è riducibile a una questione di accordi tra gli Stati. La nostra politica transnazionale di pace riguarda il tipo di mondo in cui vogliamo vivere e il tipo di lotte che vogliamo riprendere e portare avanti per costruirlo insieme a coloro che sono rimasti in Ucraina e a coloro che se ne sono andati, a coloro che si oppongono alla guerra in Russia, in Europa e oltre. È una politica transnazionale contro i nazionalismi, la politica statale che ha portato alla guerra, che aumenta lo sfruttamento e rafforza il razzismo e il patriarcato.
Dopo questi due importanti incontri, a cui hanno preso parte più di cento persone di paesi diversi, abbiamo lanciato per il primo maggio l’iniziativa Strike the war. Gruppi e collettivi di molti paesi hanno risposto a questo appello e hanno organizzato azioni, manifestazioni e assemblee, caratterizzando la Giornata internazionale delle lavoratrici e dei lavoratori come una giornata contro la guerra. Un appello a scioperare contro la guerra è stato lanciato anche dalle femministe russe (Feminist Anti-War Resistence): esortando le persone in Russia a riunirsi nelle piazze con la scusa di dare da mangiare ai piccioni per sfuggire agli arresti e ai procedimenti giudiziari, le attiviste russe hanno convocato uno sciopero politico. Nel loro appello scrivevano: «Lo sciopero è un’arma per rifiutare la nostra presunta inutilità, per vedere e mostrare la nostra forza e soggettività in un momento di vuoto politico. Impariamo a scioperare di nuovo!» È con questo messaggio che vorremmo aprire questa assemblea.
La guerra è ancora in corso e i problemi che abbiamo affrontato negli ultimi mesi sono ancora attuali. Tuttavia, nelle ultime settimane sono cambiate alcune condizioni. Oggi dobbiamo discutere collettivamente di come inquadrare la nostra iniziativa d’ora in avanti e di come ampliare la nostra capacità di lottare insieme. Per affrontare questi cambiamenti, nell’appello per questa assemblea abbiamo detto che siamo nel bel mezzo della terza guerra mondiale. Questo non vuol dire che pensiamo che tutti i paesi si faranno la guerra, né che gli scontri militari si estenderanno necessariamente oltre l’Ucraina. Non intendiamo fare facili analogie storiche con le guerre mondiali precedenti. Una delle accuse alle reazioni degli occidentali a questa guerra, provenienti soprattutto dal cosiddetto Sud globale, è che questa guerra ha suscitato indignazione solo perché è in Europa. Altre guerre e conflitti vengono ignorati perché si svolgono altrove e colpiscono persone non bianche. Il trattamento differenziato dei rifugiati provenienti dall’Ucraina e di quelli provenienti da altri contesti di guerra è un segno molto chiaro di questo nucleo razzista dell’Europa.
Pur riconoscendo tutto ciò, riteniamo che sarebbe un errore dedurne che la guerra in Ucraina non sia qualcosa di diverso rispetto alle guerre degli ultimi decenni, e non solo perché si svolge in Europa. La guerra in Ucraina è la manifestazione di un riallineamento globale: l’ordine del secondo dopoguerra si è sgretolato e, a livello globale, gli Stati stanno allineando la loro politica alla possibilità di fare la guerra. Gli stessi Stati sono costretti a schierarsi a causa delle conseguenze globali della guerra. Dire questo non significa sminuire le responsabilità di Putin in un’equivalenza di imperialismi contrapposti, ma significa riconoscere che questa guerra non è semplicemente un conflitto tra un leader fascista che minaccia l’autodeterminazione di un intero popolo e quest’ultimo che risponde e resiste in nome della propria esistenza. In questa guerra sono coinvolte altre poste in gioco. Una lettura nazionale di questo tipo non solo sarebbe cieca di fronte alle conseguenze più ampie di questa guerra – e al fatto che il popolo ucraino è diviso da differenze di classe e di genere – ma darebbe anche modo alle persone in altri Paesi europei e non solo di lavarsene le mani e di trascurare i segni profondi e terribili della guerra che impattano sulla vita di tutte e tutti. Senza nulla togliere alla solidarietà verso chi è sotto i bombardamenti e colpito direttamente dalla violenza russa, dobbiamo allargare lo sguardo e capire fino a che punto siamo già coinvolti e coinvolte in questa guerra che ha già cambiato tutto.
Le nostre lotte di prima stanno cambiando forma, anche se siamo distanti dal teatro di guerra. Sono in gioco le nostre vite, le nostre condizioni di lavoro, la possibilità stessa di lottare per la giustizia sociale. Pensiamo che dovremmo discutere insieme di questi evidenti cambiamenti sui diversi terreni di lotta.
Citiamo solo alcuni dati macroscopici. Sei milioni di persone hanno lasciato l’Ucraina, la maggior parte di loro sono donne. Alcune di loro torneranno indietro, molte altre resteranno nell’UE. Quasi 100.000 mila rifugiati ucraini hanno trovato lavoro in Polonia, in quelli che il governo polacco ha definito «lavori semplici». Questo cambia l’attuale mercato del lavoro europeo, già pesantemente costruito su gerarchie razziste. Poiché la maggior parte di questi rifugiati sono donne, la struttura patriarcale del welfare europeo si rafforzerà, mentre la violenza patriarcale e gli ostacoli per le donne che vogliono essere libere sono resi più duri dalla guerra.
In Ucraina è in corso di attuazione una nuova legislazione sul lavoro che attacca i contratti collettivi e consegna ai padroni il potere di trattenere i salari e licenziare lavoratori e lavoratrici, come denunciato dai sindacati e dai collettivi ucraini. Presentate come misure di de-sovietizzazione, queste sono volte a liberalizzare il mercato del lavoro e sono in qualche modo simili a molte riforme del lavoro introdotte in altri paesi dell’Europa occidentale per allinearsi alle direttive dell’UE in termini di concorrenza e libertà di impresa. Ora, di fronte all’aggressione di Putin, questo attacco alla possibilità dei lavoratori di organizzarsi viene presentato come necessario, inevitabile, e come una sorta di operazione di modernizzazione per omologarsi agli standard europei. Allo stesso tempo, le maggiori spese per il riarmo sono giustificate da tutti gli Stati membri proprio quando l’urgenza di una nuova spesa pubblica per sostenere i redditi che devono affrontare l’aumento del costo della vita e la crescente inflazione è più pressante che mai. Il blocco dei porti ucraini rischia di consegnare milioni di persone in tutto il mondo alla crisi alimentare.
L’intero dibattito sulle sanzioni, sul gas e sul petrolio russo ha rivelato che nell’agenda delle istituzioni europee e globali non c’è una priorità ecologica, come hanno cercato di sostenere prima dell’inizio di questa guerra. C’è piuttosto una gestione dei profitti che a volte incontra le esigenze della transizione verde come campo per nuovi investimenti. Ciò che è ormai certo è che tutto ciò che ha a che fare con la transizione verde è invischiato in conflitti armati. Nonostante le speranze di qualcuno, non ci aspetta nessuna transizione pacifica da parte di un’umanità riunita e finalmente consapevole dell’imminente catastrofe climatica.
Abbiamo il compito di muoverci in questo scenario in evoluzione e di approfondire la comprensione dei modi in cui la guerra rende ancora più difficile la lotta. Il rischio che corriamo è che coloro che sono apparentemente al sicuro e non sono stati apparentemente toccati dalla guerra si girino dall’altra parte e tornino a vivere come se nulla fosse. Di fronte alla guerra mondiale in cui ci troviamo, nessuno può pensare di gestire la situazione a livello locale, tutte e tutti sono coinvolti. Questa guerra mondiale costringe ognuno di noi a pensare alla propria situazione all’interno di uno scenario mondiale. E questo rende l’Assemblea permanente contro la guerra e gli incontri come questo più necessari che mai. Il nostro compito diventa sempre più complicato: non dobbiamo solo rispondere all’emergenza, ma dare continuità a una politica di pace con cui riprendere e ricostruire la capacità di lottare insieme a livello transnazionale. Richiamando ancora una volta il movimento femminista contro la guerra, il nostro compito non può che essere quello di imparare di nuovo a scioperare in questo scenario di guerra mondiale.