di OLENA LYUBCHENKO — da Lefteast
Pubblichiamo un lungo articolo di Olena Lyubchenko, ricercatrice ucraina presso l’Università di York in Canada e tra le editrici di LeftEast. L’articolo di Olena ci sembra particolarmente importante perché attraverso le lenti della teoria femminista della riproduzione sociale riesce ad andare al di là dei confini angusti che imprigionano il dibattito sulla guerra, delle considerazioni relative alle strategie militari, dell’apologia della resistenza, del nazionalismo. La sua critica femminista dell’economia politica dello Stato ucraino, l’analisi dei processi di militarizzazione e neoliberalizzazione che hanno investito il paese negli ultimi anni, la considerazione dell’importanza delle rimesse inviate in Ucraina dalle lavoratrici migranti impiegate nella cura e dell’economia della maternità surrogata permettono di portare alla luce la centralità del lavoro migrante delle donne nella costruzione di un’Europa che fa della bianchezza un criterio di integrazione dei paesi dell’est post-sovietico nel mercato mondiale secondo una precisa gerarchizzazione razzista. In questo quadro, il concetto di autodeterminazione è ridefinito dalla guerra nel processo di costruzione dell’Ucraina come nazione europea e dell’Europa stessa secondo precise linee patriarcali, razziste, di classe. In vista dell’incontro del prossimo 22 maggio dell’Assemblea permanente contro la guerra della Transnational Social Strike Platform crediamo che Olena ponga questioni fondamentali per una politica transnazionale di pace dentro e contro la terza guerra mondiale in atto, dalla parte di donne, migranti, lavoratrici e lavoratori.
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Ho scritto e riscritto questa breve riflessione per sette settimane. Sette settimane passate ad aiutare parenti e amici in fuga dall’Ucraina e a indirizzare fondi di solidarietà alla resistenza ucraina e alle organizzazioni di mutuo soccorso. Ho passeggiato per le strade di Mariupol quasi ogni estate da quando ero bambina, per l’ultima volta nell’estate del 2019 prima della pandemia. La tomba di mio padre è in un villaggio appena fuori Mariupol. Fare questa riflessione, per me, è un compito difficile. In città come Mariupol stiamo assistendo alla distruzione di ospedali, scuole, teatri e infrastrutture strategiche come strade e ferrovie. Sono rase al suolo le infrastrutture pubbliche dell’era sovietica per mano della macchina da guerra di Putin – un vero atto di “decomunistificazione“. Quello che per la classe operaia ucraina era stato finora un lento e deprimente processo trentennale di decomposizione di classe, impoverimento e spopolamento, negli ultimi due mesi è accelerato sotto forma di massacri, distruzione e migrazioni forzate. È una distruzione anche della storia e della memoria. La guerra tende a cancellare ogni eccezione, sfumatura, discussione. Spero che questa ora più buia possa contenere la critica necessaria per un futuro diverso.
Mentre immagini raccapriccianti di devastazione, morte e stupro in luoghi come Bucha circolano ampiamente online, e mentre le donne ucraine in fuga con i bambini vengono accolte in Europa mentre agli ‘altri’ immeritevoli viene impedito l’ingresso, ci viene detto continuamente dalle élite occidentali e ucraine che “l’Ucraina sta combattendo una guerra europea” e che “l’Ucraina sta difendendo l’Europa”. In questo contesto sta emergendo la nozione di ucrainità, immediatamente associata a quello di europeità, attraverso una specifica concettualizzazione di razza, classe, genere e sessualità. La sovranità e l’autodeterminazione dell’Ucraina sono sempre più intese dalle élite locali come legate all’incorporazione nella “fortezza Europa” e alla creazione della “nazione ucraina” come “bianca” ed “europea”. È così che viene strumentalizzato il concetto di “autodeterminazione”, sostenuto dalla sinistra rivoluzionaria internazionalista, anti-coloniale e anti-imperiale. Nell’uso delle élite occidentali e ucraine la storia dell’internazionalismo locale, del comunismo e dell’antifascismo è separata dall'”autodeterminazione” attraverso un apparato discorsivo eurocentrico. Ironicamente, questo impianto discorsivo è l’altra faccia degli attacchi dello stesso Putin all’autodeterminazione dell’Ucraina, che egli con disprezzo considera legata ai principi leninisti dell’antimperialismo e dell’anticapitalismo.
Recenti studi sull’Europa orientale, che si occupano di razza, classe e imperialismo (e meno di genere e sessualità), hanno indagato le varie ‘periferizzazioni’ dei diversi paesi dell’Europa orientale e post-sovietica in rapporto all'”Europa”[1]. Queste ‘periferizzazioni’ si materializzano in livelli ineguali di accesso alla “bianchezza”, vale a dire l’inclusione nell’economia capitalistica secondo schemi europei, di “classe media”, occidentale, dunque delle nazioni tradizionalmente (non) comuniste – i presunti vincitori del neoliberismo. Storicamente, la ‘bianchezza’ degli europei dell’est è stata sempre contingente. Mentre l’europeità è valorizzata, qualsiasi deviazione dalle presunte norme di tale identità rischia di produrre un declassamento di status con conseguenti ripercussioni materiali per le popolazioni dello spazio “post-socialista”. Disciplinati ed espropriati attraverso i prestiti del FMI, le politiche energetiche, le opportunità di lavoro precario per i migranti e la dipendenza dalle rimesse, la regione e i suoi popoli sono stati rimodellati come “europei” precari.
Il mio tentativo è di scardinare i discorsi che ruotano unicamente sulle questioni strategico-militari, l’idea che essere sul campo sia un principio metodologico indiscutibile, nonché il nazionalismo che imperversa nei dibattiti sulla guerra in Ucraina, che si soffermano tutti sul terreno del complesso militare-industriale. Propongo quindi di spostare l’attenzione verso una critica dell’economia politica e dello Stato capitalista ucraino, degli elementi razziali del nazionalismo ucraino, delle dinamiche quotidiane della riproduzione sociale in Ucraina, del suo futuro “europeo”, e infine del teatrino europeo e nordamericano che, mentre mostra simpatie verso l’Ucraina, si staglia su uno sfondo di violenze coloniali altrove.
In questo pezzo, la guerra in Ucraina è situata all’interno del più ampio contesto della posizione che l’Ucraina occupa nello scacchiere globale di produzione e riproduzione sociale[2], e ci si concentra in particolare sulle sue dinamiche di razza e di genere. Attraverso il femminismo della riproduzione sociale discuto di come, dal 2014, la militarizzazione dell’Ucraina sia stata intimamente legata alle misure di austerity, dislocando efficacemente i costi della resistenza all’aggressione russa e preparando lo Stato per un processo altamente diseguale di integrazione “euro-atlantica” da far pagare alle famiglie e specialmente alle donne. Militarizzazione, austerity e aggressione in questo contesto agiscono come processi di espropriazione e accumulazione primitiva. Essi “generano riserve globali di forza-lavoro i cui movimenti attraverso i confini sono al centro della produzione e riproduzione mondiale del capitale e del lavoro”[3]. In questo modo, la cittadinanza razzializzata riproduce la precarietà e l’esclusione per alcuni, e la sicurezza e l’inclusione per altri, proprio mentre la differenziazione storica della classe operaia ucraina all’interno del capitalismo globale viene riscritta e strumentalizzata[4].
I buoni europei
Nelle prime settimane dell’invasione russa, il mondo ha assistito alla violenza razzista ai confini dell’Ucraina con Polonia, Romania e Ungheria. Ai rifugiati africani, sud-asiatici e mediorientali, così come ai cittadini rom dell’Ucraina e alle migliaia di studenti internazionali che studiano e lavorano in Ucraina è stato impedito di attraversare i confini e talvolta è stato persino impedito di salire sui treni che trasportavano i rifugiati verso l’UE dagli stessi ucraini che formavano catene umane. I giornalisti che riferivano dal confine indossando spille blu e gialle hanno rapidamente denunciato questa discriminazione, per poi passare rapidamente a trasmettere immagini di bambini ucraini che ricevevano giocattoli da amichevoli volontari tedeschi. “Studenti indiani bloccati guardano gli animali domestici ucraini attraversare il confine per mettersi in salvo”, si legge in un articolo. In Nord America e in Europa occidentale, i ristoranti hanno servito piatti ucraini donando il ricavato allo sforzo bellico in Ucraina, mentre i centri commerciali si sono illuminati di blu e giallo. Il sito web del gigante tecnologico Amazon ora vanta un pulsante “Aiuta il popolo dell’Ucraina”. Alcuni dei più grandi proprietari immobiliari in Canada – gli stessi che hanno sfrattato le famiglie della classe operaia durante la pandemia, mentre aumentavano i prezzi già alti degli alloggi – si sono “uniti” per offrire opzioni di sistemazioni gratuite e sovvenzionate per gli ucraini in fuga verso il Canada. I media e i politici occidentali hanno deciso che gli ucraini sono cittadini “buoni”, “europei”, che sono preziosi, istruiti, professionisti. Il razzismo è stato trattato non come un problema strutturale, ma come un cattivo comportamento di alcuni.
La resistenza ucraina all’esercito russo è celebrata come eroica, coraggiosa e democratica, e contemporaneamente l’autodeterminazione, la liberazione nazionale, la resistenza violenta popolare altrove non riceve la stessa celebrazione, ma viene etichettata come terrorista, con “eroi” che finiscono incarcerati, “illegalizzati”, e così via. È nostra responsabilità chiedere: “perché? Sicuramente anche le circostanze in cui si trovano i cittadini di Afghanistan, Siria, Iraq, Yemen, Gaza, Etiopia sono eccezionali? Alla fine del 2021, il solo conflitto nello Yemen aveva causato 377.000 morti, quasi il 70% dei quali erano bambini di meno di cinque anni[5]. Non abbiamo visto giocattoli e cibo gratis sul confine polacco per quelle donne e quei bambini, ma gas lacrimogeni, idranti, manganelli, cani poliziotto e filo spinato. Solo alcuni mesi fa, la Polonia con la sorveglianza hi-tech stava diventando l’ultima linea di deterrenza al confine con la Bielorussia. Nell’ottobre 2021, il suo governo ha approvato l’installazione di un recinto di sicurezza da 350 milioni di euro lungo metà del suo confine con la Bielorussia, che arriva fino a 5,5 metri di altezza con telecamere avanzate e sensori di movimento che hanno fruttato grandi profitti alle aziende di armi e tecnologia. Il «Guardian» riporta che “Frontex ha firmato l’anno scorso un contratto da 100 milioni di euro (91 milioni di sterline) per i droni Heron e Hermes, prodotti da due aziende di armi israeliane, entrambi utilizzati dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Capaci di volare per più di 30 ore e ad altezze di 10.000 metri, i droni trasmettono feed in tempo quasi reale al quartier generale di Frontex a Varsavia. Anche la Polonia spera di adottare un “cannone sonoro montato su un veicolo che emette raffiche ‘assordanti’ fino a 162 decibel per costringere le persone a tornare indietro”. Vogliamo anche ignorare il fatto che la Polonia è stata un’ancella delle forze che hanno distrutto l’Iraq e l’Afghanistan, istituendo allo stesso tempo un regime sessista di estrema destra in patria? Anche le truppe ucraine sono andate in Iraq. Il Regno Unito, il Canada e la Francia, tra gli altri, si sono affrettati a inviare fondi alla Corte penale internazionale (CPI) per indagare sui crimini di guerra russi in Ucraina, mentre la CPI ha faticato a trovare fondi per perseguire i crimini di guerra in Afghanistan, Siria e Iraq. È nostra responsabilità chiedere quale sia il motivo di tutto questo. La giustizia liberale si intreccia con il razzismo sistemico, le risorse occidentali vengono infatti incanalate verso l’Ucraina perché si tratta di una “crisi in Europa”, e sono invece trattenute in situazioni in cui i Paesi occidentali rifiutano la responsabilità per i propri crimini di guerra. Lo stesso vale per gli aiuti umanitari. In questa luce, come scrive Ralph Wilde, il teatrino delle simpatie europee per l’Ucraina è “uno scherzo sociopatico e razzista sulla pelle del popolo iracheno” e di molti altri popoli espropriati dalle guerre europee e nordamericane.
L’enfasi dei media sulle molotov in Ucraina dà l’impressione che questa guerra possa essere vinta solo grazie a una strategia radicale di autodifesa del popolo – proprio come quella dei palestinesi, che ovviamente non ricevono questo supporto. L’Ucraina è un contesto diverso di “protezione della propria terra” non perché la lotta per l’autodeterminazione non sia forte – al contrario, abbiamo assistito alla forza collettiva e al coraggio della resistenza ucraina – ma perché lo sforzo bellico ucraino è guidato dall’alto, dall’apparato statale, e sostenuto dall’esterno da una forza combattente ben finanziata, avvolta da interessi imperialisti e capitalisti. Questo fattore richiede una distinzione tra gli interessi popolari nazionali ucraini e gli interessi dello Stato capitalista ucraino, nonché un resoconto di come quest’ultimo abbia espropriato i primi attraverso militarizzazione e austerity a partire dal 2014. L’Ucraina ha ereditato il 30% delle scorte militari sovietiche, ha quadruplicato la sua spesa militare negli ultimi dieci anni, e prima dell’inizio della guerra poteva contare su quasi 500.000 truppe (250.000 regolari e una guardia nazionale forte di 250.000 unità, che include tra le sue fila gruppi neofascisti come i battaglioni Aidar e Azov). Ha un’avanzata industria interna di armi e negli ultimi mesi è stata destinataria di armi anticarro altamente sofisticate, sistemi antiaerei, tecnologie di droni e armi pesanti come negli ultimi mesi. In breve, l’Ucraina ha un esercito permanente professionale che è probabilmente più impressionante di qualsiasi membro dell’Europa orientale della NATO (all’interno della regione, appena dietro la Turchia e la Russia). Dall’invasione, gli Stati Uniti hanno impegnato più di 1,7 miliardi di dollari in “aiuti letali” all’Ucraina, oltre a 2,5 miliardi di dollari sono stati spesi tra il 2014 e il 2021, compreso l’addestramento, e altri finanziamenti sono arrivati dagli altri alleati della NATO. Il 28 aprile, il Congresso degli Stati Uniti ha autorizzato un investimento di 33 miliardi di dollari per l’acquisto di artiglieria, armi anticarro e altro materiale, oltre che per aiuti economici e umanitari. Come riporta il «New York Times», “gli Stati Uniti così arriverebbero ad autorizzare 46,6 miliardi di dollari spesi per la guerra in Ucraina, che rappresentano più di due terzi dell’intero budget annuale della Russia per la difesa, pari a 65,9 miliardi di dollari… A titolo di confronto, l’anno scorso il Pentagono ha stimato in 816 miliardi di dollari, pari a circa 40,8 miliardi di dollari all’anno, i costi totali della guerra in Afghanistan dal 2001 al 2020”. Il drastico aumento degli aiuti militari statunitensi e, soprattutto, l’invocazione della legge Lend-Lease di Roosevelt del 1941, per cui la difesa dell’Ucraina sarebbe “vitale per la difesa degli Stati Uniti”, preannunciano un’escalation visto il chiaro interesse statunitense a una guerra lunga. Se da un lato questi “aiuti” hanno contribuito a frenare l’avanzata russa, dall’altro è importante pensare a lungo termine a come la militarizzazione si ripercuote sulla vita della classe operaia che cerca di sbarcare il lunario.
Se manca il pane, che mangino armi: le riforme neoliberali e la militarizzazione
La militarizzazione dell’Ucraina dal 2014 è stata accompagnata da riforme neoliberali volte a facilitare la crescita del capitale a spese della riproduzione delle famiglie della classe operaia. Dall’inizio della guerra nel 2014, lo Stato ha istituzionalizzato la drammatica riduzione dei costi di riproduzione attraverso quelle che Jennifer Mathers definisce “richieste straordinarie alla società civile – e in particolare alle famiglie e alle donne le cui risorse sono già esaurite” – giustificate e normalizzate dalle necessità dello sforzo bellico e dalle richieste di “sacrificio” per la “nazione”[6]. Il costo della spesa per la sicurezza nazionale, che è quadruplicato nell’ultimo decennio, è stato socializzato attraverso bilanci di austerità – con le donne che assorbono i tagli al salario sociale e al settore pubblico. Le istituzioni finanziarie internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale, hanno posto limiti severi alla spesa sociale, con implicazioni significative per le donne, tra cui l’eliminazione de facto dei sussidi per il carburante, con conseguente aumento dei prezzi di gas, riscaldamento, elettricità e trasporti, tagli radicali alla spesa per la sanità, l’istruzione e le prestazioni di assistenza all’infanzia, nonché una profonda riforma del sistema pensionistico. Verosimilmente, a partire dal 2015 le “leggi di decomunistificazione”[7], che hanno vietato i partiti politici e i simboli comunisti, rinominato città e strade di epoca sovietica e facilitato la persecuzione di studiosi e attivisti di sinistra sotto la stessa etichetta, hanno incluso anche la “decomunistificazione” del welfare. Nuove riforme sociali ed economiche sono state estese in nome della modernizzazione e dell’europeizzazione di quel poco di stato sociale rimasto dopo le riforme della ‘Terapia d’urto’ degli anni ’90. Commons riferisce che, contravvenendo alla Costituzione dove l’Ucraina è definita uno Stato sociale, le riforme hanno incluso la riduzione delle multe per i datori di lavoro per il mancato rispetto delle leggi sul lavoro, la deregolamentazione dei codici di salute e sicurezza sul lavoro, la finanziarizzazione del sistema pensionistico, la riduzione della spesa medica e la privatizzazione della sanità. Rispetto al 2013, nel 2016 lo Stato ha tagliato la spesa per l’assistenza sanitaria del 36,3%, quella per l’istruzione del 36,2% e quella per la pubblica amministrazione del 30,6%[8]. Le riforme economiche promosse dal FMI e adottate dallo Stato ucraino hanno accelerato l’aumento delle disuguaglianze, tanto che nel 2021 il 67% delle famiglie ucraine si è definita “povera”. L’esproprio attraverso la combinazione austerity-militarizzazione ha portato alla femminilizzazione del lavoro precario e della povertà.
Per i due milioni di persone sfollate a causa della guerra nel Donbass, prima dello scoppio dell’attuale aggressione, la riproduzione sociale è stata quasi impossibile negli ultimi otto anni. Nel novembre 2014, lo Stato ucraino ha smesso di finanziare i servizi pubblici nelle aree separatiste della regione, comprese le pensioni. Questo è un esempio particolarmente eclatante dell’espropriazione del lavoro passato e dell’attuale alienazione dei lavoratori in pensione nel paese. Molti cittadini ucraini aventi diritto alla pensione di vecchiaia, che vivevano dall’altra parte del fronte, hanno dovuto attraversare il confine con il territorio controllato dall’Ucraina per ricevere la pensione. Nel 2016, il governo ucraino ha introdotto una severa misura di controllo che impone agli “sfollati interni” di registrarsi presso un indirizzo nel territorio controllato dal governo e di effettuare controlli bimestrali per mantenere l’idoneità alla pensione. Molti anziani, per lo più donne che vivono nelle regioni occupate, hanno dovuto viaggiare ogni 60 giorni (per un massimo di 24 ore in autobus, camminando, aspettando in lunghe code, senza un riparo e senza condizioni di base come i bagni) per accedere alle loro pensioni che ammontano in media a 90 dollari al mese. I lavoratori impossibilitati a viaggiare a causa di problemi di salute e mobilità sono rimasti senza nemmeno questo reddito. Da dicembre 2018 ad aprile 2019, 18 anziani sono morti per complicazioni di salute, per lo più cardiache, durante il difficile viaggio attraverso la “linea di contatto” che separa i belligeranti[9]. Le Nazioni Unite stimano che 400.000 persone abbiano perso l’accesso alle loro pensioni da quando la regola dei 60 giorni è stata implementata nel 2016. Il Fondo pensioni ucraino avrebbe accumulato un debito di 86 miliardi di grivna (circa 3,5 miliardi di dollari) nei confronti dei pensionati che vivono in aree non controllate dal governo. Questo rappresenta un esproprio diretto dei lavoratori ucraini da parte dello Stato, legittimato dalla guerra.
Anche la violenza contro le donne si è intensificata a causa della guerra. Mathers scrive che “i corpi mascolinizzati viaggiano per partecipare alle operazioni di combattimento come soldati. Quando tornano nel mondo della pace per riprendersi dalle ferite fisiche e psicologiche della guerra, sono assistiti in gran parte dalle famiglie, a causa dei tagli alla fornitura di assistenza sanitaria da parte dello Stato”[10]. Nel 2018, le regioni di Donetsk e Lugansk controllate dall’Ucraina hanno registrato rispettivamente un aumento del 76% e del 158% dei casi di violenza domestica segnalati rispetto alla media dei tre anni precedenti. I membri delle forze armate e della polizia sono esenti da procedimenti amministrativi nei tribunali, il che serve essenzialmente a proteggerli dai procedimenti penali per violenza domestica.
Lavoro migrante, riproduzione sociale, e ‘frontiere della bianchezza’
L’economia industrializzata, le infrastrutture pubbliche e la forza lavoro qualificata dell’Ucraina post-sovietica sono state sottoposte a un periodo di accumulazione primitiva attraverso le riforme neoliberali della ‘Terapia d’Urto’, portando all’affermazione dello Stato capitalista che ha il volto di una cleptocrazia neoliberale[11]. Di conseguenza, come è successo per altri europei dell’Est negli anni ’90, le madri e le nonne ucraine sono state occupate come lavoratrici domestiche migranti, si sono lasciate alle spalle le proprie famiglie, hanno pulito le case di ricchi italiani, tedeschi, polacchi, americani e canadesi e hanno svolto il lavoro di riproduzione sociale precedentemente assegnato alle “donne bianche” occidentali[12]. Così è stato anche per mia madre. Dal 2014, un numero drammaticamente maggiore di ucraine è stato mobilitato come forza lavoro socio-riproduttiva a basso costo, rimandando gran parte del loro reddito per coprire le lacune dei servizi statali in patria e compensare i danni della guerra e della militarizzazione. Queste lavoratrici non sono state accolte con zuppe calde, telefoni e sussidi dell’UE su nessun confine dell’Unione Europea, mentre il loro Paese veniva saccheggiato dalle riforme neoliberali “orientate all’europeizzazione”. Ecco la storia “felice” di una lavoratrice migrante ucraina sfollata a causa della povertà e della guerra in Polonia durante la pandemia di COVID-19:
I* è arrivata in Polonia da Berdiansk nel 2018. Sua figlia di 5 anni l’ha raggiunta nel settembre 2020. Suo marito è morto in guerra nell’ottobre 2019. In Ucraina ha studiato contabilità e ha svolto diversi lavori nel settore della vendita al dettaglio e dell’amministrazione. In Polonia ha studiato assistenza medica in una scuola di formazione e ora lavora come addetta alle pulizie nel reparto di chirurgia di un ospedale. […] In ospedale ora ci sono procedure accurate, una grande quantità di dispositivi di protezione che devono essere indossati e cambiati, test regolari e ripetute sessioni di formazione per garantire la pulizia. I* si sente responsabile e si preoccupa di pulirsi accuratamente prima di tornare a casa. Riceve un bonus Covid di 250 PLN (53,50 €). Sua figlia va a scuola mentre lei è al lavoro, ma la accompagna mentre svolge il suo lavoro extra facendo le pulizie a casa di un amico medico, dove la figlia gioca con gli altri bambini mentre lei pulisce.
Nel 2020 il numero di lavoratrici e lavoratori ucraini residenti all’estero è stato stimato tra i 2,2 e i 2,7 milioni, pari al 13-16% dell’occupazione totale del Paese. Alla fine di febbraio 2020, il numero di ucraini in Polonia era salito a 1.390.978, il 44% dei quali erano donne, per lo più impiegate nel settore dell’assistenza precaria nelle grandi città. L’Ucraina è il decimo destinatario mondiale di rimesse in termini assoluti e nel 2020 queste hanno rappresentato il 9,8% del PIL del Paese[13]. Secondo i nuovi dati della Banca Nazionale, nel 2021 i flussi di rimesse verso l’Ucraina hanno superato i 19 miliardi di dollari. Nel 2018, il 33% delle rimesse proveniva dalla Polonia, il 32% da altri Stati membri dell’UE, il 9% dalla Russia e il 9% da Stati Uniti e Canada. Le rimesse hanno contribuito per circa il 50-60% ai bilanci delle famiglie beneficiarie e “rispetto alle famiglie che non ricevono rimesse, le spese delle famiglie di lavoratori e lavoratrici migranti per l’alloggio e l’istruzione sono state da 2 a 4 volte superiori, e per il cibo superiori del 20%”. Mentre in Ucraina i costi della riproduzione sociale sono stati scaricati sulle famiglie che preparano i lavoratori da inviare all’estero, nei Paesi dell’UE la forza lavoro ucraina in arrivo è “a costo zero”, cioè è “pagata” dal lavoro passato delle famiglie e delle comunità ucraine, mentre il suo continuo rinnovamento attraverso la sussistenza è anch’essa a buon mercato perché lavoratrici e lavoratori migranti sono esclusi dai benefici statali e dalla cittadinanza sociale dell’UE in generale.
La riproduzione sociale dei cittadini dell’Unione europea e dei lavoratori ucraini è geograficamente determinata e intrecciata a dinamiche co-costitutive di genere, razza e classe, contrapposte alla “minaccia” dei rifugiati neri e dalla pelle scura. Il lavoro di genere “produce la nazione” e forma i confini dell’Europa. Come sostengono Daria Krivonos e Anastasia Diatlova, “è attraverso lo scambio simbolico delle donne e del loro lavoro riproduttivo tra Est e Ovest che nasce l’Europa”[14]. Uno dei paradossi della retorica anti-migranti dell’Europa centrale nei confronti del Sud globale è che questa regione ha beneficiato grandemente della migrazione dall’Est, compresa l’Ucraina[15]. Sebbene le donne polacche siano impiegate come lavoratrici domestiche nei Paesi dell’Europa occidentale, “nei loro contatti con le lavoratrici domestiche ucraine le datrici di lavoro polacche si comportano spesso come rappresentanti paternalistiche dei valori e degli stili di vita occidentali”[16]. La bianchezza, quindi, non produce una dicotomia, ma un gradiente[17]. I gradi di “bianchezza periferica”, o di vicinanza all’Europa si spostano da Bruxelles a Varsavia, da Varsavia a Leopoli, da Leopoli a Donetsk. La razzializzazione delle donne dell’Europa orientale nell’industria dell’assistenza e del lavoro domestico ha modalità di funzionamento politico-economiche concrete, incorporate nella mercificazione dell’assistenza nell’Europa occidentale neoliberale[18], nonché nella continua femminilizzazione della povertà nell’Europa orientale, con il suo sapore di austerità militarizzata ed espropriante riscontrabile nell’Ucraina post-2014.
Proprio come il lavoro migrante, anche l’industria ucraina delle tecnologie di riproduzione assistita, o “turismo riproduttivo”, è profondamente dipendente dalle reti transnazionali, dalla classe e dalla razzializzazione – letteralmente orientata verso la riproduzione di bambini europei “bianchi” da parte di lavoratori bianchi socialmente riproduttivi “più poveri”. L’industria della maternità surrogata in Ucraina è più competitiva rispetto alle industrie della maternità surrogata in India o in Thailandia, in gran parte grazie alla “bianchezza” e all'”europeità” delle lavoratrici. Durante la prima e la seconda ondata della pandemia da COVID-19, l’agenzia commerciale di maternità surrogata BioTextCom di Kiev è passata sotto i riflettori quando i bambini, per lo più legati all’Europa occidentale e nati da gestanti ucraine, sono rimasti “apolidi” in un hotel a causa della chiusura dei confini. Accusata di traffico di esseri umani perché i medici fornivano materiale biologico da fonti ucraine sconosciute anziché da genitori biologici, l’industria è tornata alla ribalta a causa dell’invasione russa dell’Ucraina. Lo Stato ucraino non raccoglie statistiche ufficiali sulla maternità surrogata, ma è certamente tra i leader nell’industria della maternità surrogata per stranieri, con una stima di 2.000-3.000 bambini nati da maternità surrogata all’anno. Mentre il costo per i futuri genitori è di 38-45.000 dollari, le madri surrogate vengono pagate solo 300-400 dollari al mese e altri 15.000 dollari al termine della gravidanza. Quando è iniziata l’invasione, circa 800 coppie aspettavano un figlio da una madre surrogata in Ucraina. A causa dell’invasione le madri surrogate, le infermiere e i bambini sono di nuovo bloccati. Le madri surrogate si trovano in una situazione in cui devono continuare a fornire assistenza al di là del contratto concordato e attendere il pagamento fino a quando i genitori adottivi occidentali non saranno in grado di registrare il bambino, che nasce apolide – né cittadino ucraino né cittadino dell’UE – e non registrato in Ucraina. Alcune madri surrogate ucraine non possono fuggire nell’ Europa occidentale lontano dalla guerra, poiché temono di essere “obbligate a registrarsi come tutori legali dei bambini in base alle leggi meno permissive sulla maternità surrogata”. Il regime di frontiera dell’UE e la regolamentazione differenziata e diseguale dell’industria riproduttiva e del lavoro attraverso il divario Est-Ovest scaricano i rischi economici associati alla maternità surrogata (potenzialmente a vita) sulla lavoratrice.
L’industria della maternità surrogata in Ucraina è un esempio di riproduzione esternalizzata per i Paesi occidentali più ricchi, in cui il lavoro riproduttivo non ha affatto bisogno di migrare nell’UE, ma si svolge completamente all’interno della periferia. Nel 2018, alcuni giornalisti hanno riportato che il mercato delle madri surrogate portava all’Ucraina oltre 1,5 miliardi di dollari all’anno. Sebbene la gravidanza e il parto surrogati non contino ai fini della pensione il tempo di lavoro della madre surrogata, l’industria e i suoi clienti fanno affidamento sulla riproduzione sociale “gratuita” della madre surrogata in Ucraina e sulle infrastrutture generali di assistenza del Paese, che risalgono in gran parte all’epoca sovietica. Le madri surrogate ucraine rinunciano a tutti i diritti relativi al controllo delle loro gravidanze, rischiando al contempo l’abbandono dei bambini indesiderati, in particolare quelli con disabilità, da parte dei genitori-clienti. Le donatrici di ovuli e le madri surrogate in Ucraina “sono presentate, nei discorsi delle cliniche per l’infertilità e delle agenzie di reclutamento, come portatrici di bianchezza (sia in termini di produzione di bambini bianchi che di appartenenza alla ‘cultura bianca’), femminilità e ipersessualità per rispondere ai desideri dei riceventi prevalentemente europei”[19]. La pagina web di BioTextCom “Chi siamo” afferma: “Benvenuti nella più grande base di donatrici europee. Il pool genetico ucraino è considerato il migliore per il trattamento dell’infertilità” – così la nazionalità ucraina è esplicitamente caratterizzata come europea e più fertile, quindi implicitamente più desiderabile della maternità surrogata nel Sud globale, cosa che implica anche una problematica omogeneizzazione degli ucraini. Seguendo la critica di Hill Collins alla cittadinanza e al nazionalismo da una prospettiva femminista nera, penso che, vendendo la “bianchezza” a buon mercato, BioTextCom demarca razzialmente il tipo di femminilità “buona” e “cattiva”: le donne bianche, che partoriscono il “tipo giusto” di bambini, i futuri cittadini europei desiderabili (in questo caso), in contrasto con gli “altri” indesiderabili[20]. La descrizione delle donatrici di ovuli sul database è classificata in maniera razzista secondo i criteri di “bellezza, intelletto, salute, umanità” – in questo esatto ordine di priorità. La parte della “bellezza” è delimitata sia dall’esotismo delle origini eurasiatiche “miste”, sia dalla “bianchezza” che ne deriva:
Alcuni sostengono che la bellezza delle donne ucraine si spieghi con le numerose conquiste e i reinsediamenti di persone che hanno portato a un ricco mix genetico. Non possiamo saperlo con certezza. L’unica cosa che possiamo affermare con certezza è che gli esperti e i cultori della bellezza femminile dicono all’unanimità che le donne ucraine sono le più belle del mondo, almeno per quanto riguarda il tipo europeo. La corporatura e il peso corporeo regolari, gli occhi, i capelli e la pelle chiari, i tratti fini del viso contano a favore delle donatrici ucraine.
I riferimenti alle passate conquiste dell’Est, incarnate ora dalle donne ucraine, stabiliscono una loro nuova posizione di frontiera dell’europeità, della civiltà e della bianchezza. Nascondendo l’aumento della femminilizzazione del lavoro precario e della povertà in Ucraina dal 2014, BioTextCom garantisce che la maggior parte delle donatrici sono “di classe media” e motivate principalmente dalla carità e non dalla povertà, come si suppone avvenga nel Sud globale. Ciò è ben lontano dalla verità. Le interviste con le lavoratrici surrogate mostrano che mentre alcune donne che si dedicano alla maternità surrogata in Ucraina sono sfollate a causa della guerra nella regione del Donbass, altre, provenienti da città ucraine più piccole, si dedicano alla maternità surrogata per integrare il loro reddito di sussistenza. Evidentemente, l'”Ucraina” è impiegata nella produzione di bianchezza in quanto risiede alla sua frontiera, dove la sua funzione è in gran parte attribuita al mantenimento di un confine intorno alla civiltà – per e dentro l’Europa – attraverso il lavoro sociale riproduttivo a basso costo[21].
Il mondo fa il tifo per l’Ucraina
Ancora una volta, quando sentiamo al telegiornale che “l’Ucraina sta combattendo una guerra europea” e che “l’Ucraina sta difendendo l’Europa”, in mezzo a immagini di donne “bianche e povere” in fuga, con bambini che hanno la priorità sugli “Altri” razzializzati, l'”Ucraina” viene resa “bianca” nell’immaginario globale. In altre parole, “l’ingiunzione a “tornare in Europa” attraverso l’europeizzazione è abilitata e condizionata dalle mitologie della civiltà occidentale, e l’europeizzazione allo stesso tempo segna (promulga) e smarca (naturalizza) la bianchezza razziale”[22]. Il paradosso è che l’esistenza dell’Europa in quanto tale è stata possibile solo grazie allo sfruttamento delle classi lavoratrici globali attraverso l’espropriazione delle risorse e le odierne riforme economiche neoliberali, riprodotte dal lavoro femminilizzato. Questo include la forza lavoro a basso costo proveniente dall’Ucraina, che è relativamente “privilegiata” rispetto alla forza lavoro migrante del Sud globale (ma in nessun modo privilegiata come le classi medie occidentali). Il concetto di “salario psicologico” di W.E.B. DuBois della bianchezza fa luce sul rapporto tra razza e classe nella creazione dell’operaio bianco povero: “Bisogna ricordare che il gruppo dei lavoratori bianchi, pur ricevendo un salario basso era compensato in parte da una sorta di salario pubblico e psicologico. A loro venivano concessi titoli di cortesia e rispetto pubblico in quanto bianchi”. Costruito dallo Stato ucraino e dalle élite liberali e accolto con favore in Occidente, il nazionalismo ucraino, come processo di “ritorno all’Europa, è invischiato nelle relazioni storicamente diseguali di genere e razza del capitalismo globale, come rivela la prospettiva della riproduzione sociale globale. La popolazione ucraina, già impoverita e priva di risorse nel settore pubblico precario e nell’assistenza sanitaria, sta sovvenzionando lo sforzo bellico con il lavoro domestico – socializzando i costi della guerra e della difesa a spese dei mezzi di sussistenza delle persone. Qual è il carattere dell’autodeterminazione dell’Ucraina, chi rappresenta e include l'”Ucraina” e quale progetto politico futuro sottende a tutto ciò? Tenendo presenti le questioni strutturali della militarizzazione, del nazionalismo e dell’austerity, con uno sguardo al futuro postbellico, la resistenza all’imperialismo russo (con le sue radici nell’Impero russo zarista e le contraddittorie politiche di nazionalismo sovietico e di espropriazione dei contadini), tutto ciò si tradurrà nella costruzione di solidarietà con le lotte e movimenti antimperialisti e anticapitalisti del Sud globale? Ciò richiederebbe un ripensamento dell’Ucraina come progetto politico antirazzista, pluralista e socialista dal basso e, soprattutto, una critica dell’eurocentrismo.
Vittoria alle lavoratrici e ai lavoratori ucraini, solidarietà al movimento russo contro la guerra!
[1] Si vedano le seguenti iniziative e opere: Tagungsbericht: Historicizing “Whiteness” in Eastern Europe and Russia, 25.06.2019 – 26.06.2019 Bucharest, in: H-Soz-Kult, 17.10.2019. www.hsozkult.de/conferencereport/id/tagungsberichte-8478; Paul Stubbs. 2022. “Colonialism, Racism, and Eastern Europe: Revisiting Whiteness and the Black Radical Tradition 1.” Sociological Forum 37, no. 1: 311–19; Böröcz, József. “‘Eurowhite’ Conceit, ‘Dirty White’ Ressentment: ‘Race’ in Europe.” Sociological Forum 36, no. 4 (December 1, 2021): 1116–34; Daria Krivonos and Anastasia Diatlova. 2020. “What to Wear for Whiteness? ‘Whore’ Stigma and the East/West Politics of Race, Sexuality and Gender.” Intersections EEJSP 6(3): 116–132; Sedef Arat-Koç. 2014. “Rethinking Whiteness, ‘Culturalism,” and the Bourgeoisie in the Age of Neoliberalism” In Theorizing Anti-Racism: Linkages in Marxism and Critical Race Theories, ed. Abigail B. Bakan and Enakshi Dua. Toronto: University of Toronto Press, 311-339; Agathangelou, Anna M. 2004. The Global Political Economy of Sex: Desire, Violence and Insecurity in Mediterranean Nation States. Basingstoke: Palgrave MacMillan.
[2] Una visione allargata della produzione, sviluppata dal femminismo della riproduzione sociale che nasce dalla critica di Marx all’economia politica, include sia la produzione di plusvalore che le varie forme di riproduzione sociale – il lavoro intellettuale, manuale ed emotivo coinvolto nel mantenimento della vita esistente e futura – come un processo necessario e integrato. Si veda Barbara Laslett and Johanna Brenner. 1989. “Gender and Social Reproduction: Historical Perspectives.” Annual Review of Sociology 15: 381-404; Tithi Bhattacharya. ed. 2017. Social Reproduction Theory: Remapping Class, Recentering Oppression. London: Pluto Press.
[3] Sue Ferguson and David McNally. 2015. “Precarious Migrants: Gender, Race and the Social Reproduction of a Global Working Class.” Socialist Register (Merlin Press, 2014): 1-23; Jennifer G. Mathers. 2020. “Women, war and austerity: IFIs and the construction of gendered economic insecurities in Ukraine.” Review of International Political Economy 27(6): 1235-1256.
[4] Per quanto riguarda l'”inclusione differenziata” in Nord America e in Europa occidentale, si rimanda a: Bridget Anderson. 2010. “Migration, immigration controls and the fashioning of precarious workers.” Work, Employment and Society 24(2): 300–317; Judy Fudge. 2012. “Precarious migrant status and precarious employment: The paradox of international rights for migrant workers.” Comparative Law and Policy Journal, 34, 95; Leah F. Vosko. 2019. Disrupting Deportability: Transnational Workers Organize. Ithaca: Cornell University Press;
[5] Taylor Hanna, David K. Bohl, Jonathan D. Moyer. 2021. “Assessing the Impact of War in Yemen: Pathways for Recovery.” United Nations Development Programme, 3-67, 32.
[6] Jennifer G. Mathers. 2020. “Women, war and austerity: IFIs and the construction of gendered economic insecurities in Ukraine.” Review of International Political Economy 27(6): 1235-1256.
[7] Council of Europe. 2015. “Joint Interim Opinion on the Law of Ukraine on the condemnation of the communist and national socialist (Nazi) regimes and prohibition of propaganda of their symbols, adopted by the Venice Commission at its 105th Plenary Session,” Venice, 18-19 December.
[8] Jennifer G. Mathers. 2020. “Women, war and austerity: IFIs and the construction of gendered economic insecurities in Ukraine”. Review of International Political Economy 27(6): 1235-1256, 1239.
[9] OSCE Report, April 8, 2019.
[10] Jennifer G. Mathers. 2020. “Women, war and austerity: IFIs and the construction of gendered economic insecurities in Ukraine.” Review of International Political Economy 27(6): 1235-1256, 1236.
[11] Volodymyr Ishchenko and Yulia Yurchenko 2019. “Ukrainian Capitalism and Inter-Imperialist Rivalry”. In Immanuel Ness and Zak Cope (eds.), The Palgrave Encyclopedia of Imperialism and Anti-Imperialism. Palgrave Maacmilan.
[12] Sebbene mi concentri qui in particolare sulla riproduzione sociale, questo settore è uno tra gli altri, come il turismo, l’agricoltura stagionale, l’edilizia, in cui i lavoratori e le lavoratrici migranti ucraine trovano impiego – lavori che sono caratterizzati come sporchi, pericolosi e precari. See also Sara Farris. 2018. “Social reproduction and racialized surplus populations.” In Peter Osborne; Éric Alliez and Eric-John Russell, eds. Capitalism: Concept, Idea, Image – Aspects of Marx’s Capital Today. Kingston upon Thames: CRMEP Books, 121-134.
[13] This number has probably fallen in the wake of the Covid-19 pandemic.
[14] Daria Krivonos and Anastasia Diatlova. 2020. “What to Wear for Whiteness? ‘Whore’ Stigma and the East/West Politics of Race, Sexuality and Gender.” Intersections EEJSP 6(3): 116–132, 120.
[15] Alexandra Levitas. 2020. “Care Work During Covid-19: Public Health Implications of Ukrainian Migration into Poland.” CMR Spotlight. 19, 2-5.
[16] Anna Safuta. 2018. “Eastern Europeans’ ‘peripheral whiteness’ in the context of domestic services provided by migrant women.” Tijdschrift voor Genderstudies 21(3): 217 – 231, 225.
[17] I ricercatori hanno dimostrato che la razzializzazione dei lavoratori migranti ucraini in Ungheria funziona attraverso il prisma dei discorsi razzisti esistenti sulla popolazione rom in Ungheria: “Integrando i processi economici e sociali contemporanei con speciali regole sostitutive e di trasformazione, l’atteggiamento sociale nei confronti di uno straniero proveniente dall’’Ucraina’ appare vicino a quello nei confronti di uno ‘zingaro’. Questo processo è significativo in quanto l’adattamento degli elementi di contenuto delle categorie etniche favorisce l’articolazione delle differenze sociali degli ‘ucraini’, rendendo al contempo più forte il sistema delle disuguaglianze strutturali nella società locale, un processo che ha origine in tempi precedenti”. Cfr. Borbély Sándor. “The Ukrainian is a nefarious Gipsy” – micro-policy of the foreign immigration in the borderland settlement of Kispalád.” Tér és Társadalom Vol. 29. No. 3. doi:10.17649/TET.29.3.2708, 4. Si veda anche: Tibor Meszmann and Olena Fedyuk. 2019. “Snakes or Ladders? Job Quality Assessment among Temp Workers from Ukraine in Hungarian Electronics.” Central and Eastern European Migration Review 8(1): 75–93.
[18] Sara Farris. 2017. In the Name of Women’s Rights: The Rise of Femonationalism. London: Duke University Press.
[19] Polina Vlasenko. 2015. In (In)Fertile Citizens: Anthropological and Legal Challenges of Assisted Reproduction Technologies, Lab of Family and Kinship Studies Department of Social Anthropology and History University of the Aegean, October, 197-217, 202.
[20] PatriciaHill Collins. 2009. Black Feminist Thought: Knowledge, Consciousness, and the Politics of Empowerment. [2nd ed.]. New York: Routledge.
[21] Ringrazio le mie colleghe e amiche, Lina Nasr El Hag Ali, Rhaysa Ruas, Brent Toye e Sophia Ilyniak per le discussioni su questo concetto.
[22] WEB Du Bois.1935. Black Reconstruction in America, 1860-1880. New York: Harcourt, Brace and Company, 700.