di TRANSNATIONAL SOCIAL STRIKE PLATFORM
Pubblichiamo il testo dell’introduzione della Piattaforma per lo Sciopero Sociale Transnazionale che ha aperto la prima assemblea TSS No alla Guerra dello scorso 20 marzo, a cui hanno partecipato più di 150 persone da Ucraina, Russia, Polonia, Georgia, Romania, Bulgaria e molti altri paesi europei e non. Da qui si è decisa la creazione di un’Assemblea Permanente contro la Guerra, un percorso aperto e collettivo di costruzione di forza a livello transnazionale contro questo presente mortifero. L’Assemblea si è riconvocata per un secondo momento di discussione il prossimo 9 aprile.
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Allo scoppio della guerra abbiamo pubblicato una dichiarazione intitolata “No alla guerra. Per una politica transnazionale di pace“. La dichiarazione ha avuto molta risonanza e ha raccolto più di cento firme da tutto il mondo. Abbiamo quindi deciso di convocare questa assemblea, perché ora è urgente e necessario riunire coloro che, pur in luoghi diversi, sono colpiti dalla guerra: coloro che lo sono direttamente, perché vittime dell’invasione; quante e quanti vi si oppongono in Russia; coloro che fuggono; quelle e quelli che saranno colpiti dalle conseguenze di questa guerra altrove, in Europa e nel mondo, e che stanno lottando per non essere oppressi e sfruttati. Non è un compito che può essere svolto da un solo collettivo.
Come TSS negli ultimi anni abbiamo lavorato per costruire iniziative e connessioni transnazionali. Abbiamo insistito sul fatto che fosse prioritario colmare il divario tra l’Europa occidentale e l’Europa centrale e orientale, ben oltre i confini dell’Unione Europea, perché abbiamo riconosciuto in quella regione un luogo cruciale per qualsiasi lotta sociale e sul lavoro. Abbiamo contribuito alla creazione dell’importante rete E.A.S.T. (Essential Autonomous Struggles Transnational), incentrata sulle lotte femministe intorno alla riproduzione sociale, e del Transnational Migrants Coordination, un coordinamento tra collettivi di migranti di tutta Europa, della Turchia e del Nord Africa, che lottano contro il regime dei confini e il razzismo istituzionale.
Ora è il momento di unirsi a livello transnazionale contro questa guerra. Ci sono molte iniziative di solidarietà e di sostegno a chi è colpito dalla guerra, e abbiamo certamente bisogno di coordinarle maggiormente e di scambiarci informazioni affidabili su ciò che serve. Ma abbiamo bisogno di qualcosa di più: è necessario costruire un movimento transnazionale contro la “nuova normalità” che si sta affermando attraverso questa guerra e che sembra precludere ogni possibilità di lotta per chi non si allinea sui fronti della guerra. È in atto un tentativo generale di ridisegnare le relazioni globali. Questa assemblea vuole essere l’inizio di qualcosa di permanente, un processo aperto per unire tutti coloro che si oppongono a questa nuova normalità bellica.
Questa guerra ha evidenziato quanto sia frammentata la voce autonoma di lavoratori e lavoratrici, migranti, donne e uomini che lottano contro lo sfruttamento e l’oppressione. In un batter d’occhio, appena scoppiata la guerra, quello che ci siamo trovati davanti erano solo fronti nazionali. Fino a poco tempo fa lottavamo contro l’UE che lasciava morire i migranti al confine tra Bielorussia e Polonia, che rendeva la vita dei migranti impossibile, che metteva gli ucraini e le ucraine al gradino più basso del mercato del lavoro, con i salari più bassi e i lavori peggiori; ora ci ritroviamo davanti a un diluvio di benevolenza patriarcale per accogliere donne e bambini ucraini. Prima della guerra stavamo cercando di costruire un’opposizione ai piani di ricostruzione dopo la pandemia, denunciando il fatto che l’UE è stata complice nel mantenere le sue periferie orientali in una condizione di povertà; ora ci ritroviamo di fronte a un’Unione Europea promotrice di un nazionalismo democratico contro il brutale autoritarismo di Putin. Prima della guerra stavamo combattendo contro la violenza maschile sulle donne, contro la politica reazionaria anti-gender nell’Europa orientale e in Turchia; ora ci ritroviamo di fronte all’immagine patriarcale di donne deboli e dipendenti che hanno bisogno di aiuto mentre gli uomini coraggiosi combattono.
Di fronte a questa svolta, il nostro obiettivo principale è rifiutare il linguaggio della guerra e produrre una comunicazione politica che attraversi i fronti della guerra. Questo è anche il motivo per cui apriamo questa assemblea con un intervento di compagni e compagne dall’Ucraina e con uno di una compagna della resistenza femminista russa contro la guerra. Questo spiazzamento dei fronti dovrebbe essere la priorità di quella che chiamiamo una politica transnazionale di pace. Non ci interessa scimmiottare i ministri degli esteri, né i generali o i diplomatici, per stabilire cosa dovrebbe essere fatto per porre fine alla guerra, né tantomeno dire cosa dovrebbero fare donne e uomini ucraini. Non siamo qui per giudicare le scelte fatte, non pretendiamo di saperne di più o di parlare per qualcun altro. Siamo qui per costruire qualcosa insieme.
La dichiarazione che abbiamo pubblicato ha ricevuto l’accusa di neutralità per non essere stati abbastanza decisi nel condannare l’aggressione di Putin. Siamo d’accordo che non è sufficiente dire che non siamo né con Putin né con gli Stati Uniti o la NATO. Siamo d’accordo che la condanna dell’aggressione di Putin deve essere incondizionata. Tuttavia, quello che è stato scambiato per neutralità è uno schieramento esplicito e altrettanto incondizionato dalla parte di quei lavoratori e di quelle lavoratrici, dalla parte delle e dei migranti, dalla parte delle donne e degli uomini che stanno soffrendo per questa guerra e che stanno combattendo contro di essa e contro ciò che significa in termini di possibilità di scelte sul loro futuro – che stanno combattendo per la possibilità stessa di avere un futuro. Questa non è neutralità, ma una scelta consapevole di rottura con i fronti della guerra, per dire che non tutti in Russia sono dalla parte di Putin e che molte e molti soffriranno per le sanzioni economiche, la povertà e l’oppressione. È una scelta che riconosce il marchio patriarcale che interseca i fronti di guerra: per questo rifiutiamo l’immagine simbolica della pace patriarcale tra donne e uomini ucraini che la logica della guerra sta proponendo.
La pace non è un ideale astratto: non è pace sociale, una condizione in cui tutti i conflitti sono finalmente risolti. Per noi, una politica di pace deve spezzare l’incantesimo della guerra che congela e blocca tutte le altre lotte. Vogliamo la pace perché non vogliamo che donne e uomini debbano morire perché devono obbedire, perché devono fuggire o perché vogliono vivere. Vogliamo la pace perché dobbiamo riprendere a lottare contro coloro con cui ci confrontiamo quotidianamente nei luoghi di lavoro, nelle case e nella società. Vogliamo la pace non come un accordo internazionale tra gli Stati, ma come una politica dove possiamo ricominciare a decidere del nostro futuro.
Il senso di una politica transnazionale di pace va costruito collettivamente, a partire da questa assemblea e nei mesi a venire. La nostra politica di pace non può che essere transnazionale. Questa guerra ha cause e conseguenze che vanno ben oltre la sola Ucraina. Non siamo qui come rappresentanti dei nostri paesi o delle nostre organizzazioni. Siamo attiviste e attivisti, lavoratrici e lavoratori. Molte e molti di noi hanno esperienze di migrazione. Come donne e persone LGBTQI+ ci confrontiamo quotidianamente con una violenza patriarcale che non ha passaporto. Le conseguenze economiche di questa guerra oltrepassano i confini dell’Ucraina – la finanza, l’emergenza climatica, le politiche energetiche, il denaro speso per gli armamenti: su tutti questi piani si daranno gli effetti di lungo termine della guerra negli anni a venire. Il capitale sta già cercando di trarre profitto da questa guerra. Dobbiamo essere in grado di affrontare questi intrecci per scrivere il nostro piano per una politica transnazionale di pace.
Questo compito va oltre la solidarietà transnazionale. Molte e molti di noi hanno preso parte alle manifestazioni contro la guerra di queste settimane, abbiamo partecipato alle manifestazioni dell’8 marzo in tutta Europa e oltre dicendo “strike the war”. È già in corso una solidarietà pratica, ci saranno carovane organizzate verso l’Ucraina e i compagni e le compagne ucraine ci spiegheranno com’è la situazione. Sosteniamo e partecipiamo a queste iniziative, ma pensiamo che sia necessario costruire anche qualcosa di diverso. Vogliamo mobilitarci per affermare ciò che è veramente importante per noi, come i soldi dovrebbero essere spesi, come possiamo trasformare l’impossibilità di scelta che la guerra determina in una lotta per la possibilità di scegliere sulle nostre vite. Dobbiamo sfidare questa impossibilità di scegliere da che parte stare, e trasformarla in capacità di costruire connessioni transnazionali per essere liberi di non morire, di non fuggire, di non essere sfruttati. Dobbiamo costruire insieme questa possibilità e questa è l’occasione che abbiamo per farlo. Una politica transnazionale di pace non è una posizione su quello che fanno o dovrebbero fare gli altri. La pace non è un accordo tra Stati. L’obiettivo è costruire una difficile, complicata posizione autonoma in questo presente di guerra e di morte. Abbiamo bisogno di un’alternativa che si opponga a questa politica di guerra e violenza nell’interesse dello stato e del capitale, una politica transnazionale di pace dalla parte dei lavoratori, dei migranti, delle donne e degli uomini. Ed è di questo che vogliamo discutere con voi in questa assemblea.