domenica , 22 Dicembre 2024

In Cile le acque sono agitate

di BRAULIO ROJAS CASTRO

In occasione della proclamazione di Gabriel Boric alla presidenza del Cile pubblichiamo questo commento di Braulio Rojas Castro, ricercatore dell’Universidad de Playa Ancha di Valparáiso, sulla situazione politica e sociale del paese. Segnalando la novità e la rilevanza della nuova presidenza di Boric, Braulio ridimensiona l’ottimismo sulla capacità di ottenere una radicale trasformazione del sistema sociale e politico per via legislativa, dal momento che proprio le dinamiche elettorali che hanno portato all’elezione di Boric hanno comportato una significativa moderazione della piattaforma programmatica, costruita su un compromesso al ribasso. La svolta è tuttavia indicativa di un processo di politicizzazione di massa in corso in Cile, dentro e fuori l’Assemblea Costituente che sta attualmente lavorando alla nuova costituzione. Il movimento femminista cileno che l’8M è sceso in piazza con lo slogan «Vamos por la vida que nos deben» (Riprendiamoci la vita che ci devono), ha mostrato l’urgenza di tenere aperto questo processo, sviluppando la capacità di fare pressione e perseguire una politica di radicale trasformazione sociale, uscendo dall’alternativa tra l’appoggio critico ai governi progressisti e il rifiuto generale della comunicazione istituzionale.

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Le acque in Cile sono state a lungo agitate. Dalla rivolta sociale iniziata il 18 ottobre 2019 fino al controverso Patto per la pace del 15 novembre 2021; dal momento in cui si sono tenute le elezioni dei e delle rappresentanti alla Convenzione fino a questi giorni, e in particolare al 17 febbraio, quando si è cominciato a votare le norme della nuova costituzione: la tensione politica e sociale è stata permanente. A questo si devono aggiungere le aspettative che hanno accompagnato l’investitura di Gabriel Boric alla presidenza del paese, in un contesto di grave crisi umanitaria per l’arrivo di migranti nella zona settentrionale, che confina con il Perù e la Bolivia; per lo sciopero dei camionisti a fronte della morte di un autista; per le violenze nel territorio mapuche (Wallmapu), per finire con il contesto geopolitico, con una guerra in atto nell’Europa orientale che fa riapparire il fantasma di una minaccia nucleare che sembrava appartenere al passato, e con la crisi inflattiva globale. Insomma, il panorama non presenta nulla di promettente. Tuttavia, al di là di questa situazione così complessa, è necessario misurare la posta in gioco e la sfida che, come società e come popolo, ci troviamo ad affrontare. Vorrei quindi esporre un punto di vista su questi giorni di cambio del regime, sulla fine del nefasto governo di Piñera, e sulla riconfigurazione politica in corso nel Cile odierno, tanto a sinistra, quanto a destra.

Le relazioni interne al patto Apruebo Dignidad, l’alleanza politica che ha sostenuto la presidenza di Boric, non sono state risparmiate dalle polemiche. È noto che il nome di Boric è emerso perché non c’era nessuna figura politica del Frente Amplio capace di confrontarsi con l’egemonia del Partito Comunista, che aveva proposto da diversi anni la figura di Daniel Jaude, e perché si pensava che fosse difficile battere il rappresentante del PC alle primarie interne all’alleanza. E tuttavia il clamoroso successo di Boric, con un 60.37% di voti contro il 39.63% di Jaude e con un numero di elettori pari a 1.749.707, ha rappresentato una doccia gelida per il PC e per gli elettori filo-comunisti e ha messo in tensione le relazioni tra le parti dell’accordo, con l’apparizione dei “vedovi e vedove” di Jaude, chiamati a non votare per il candidato eletto alle primario o a votare scheda nulla. Per la prima volta nella storia delle elezioni presidenziali il rischio di una sconfitta di Boric e del trionfo del candidato di estrema destra, José Antonio Kast, ha mobilitato la società cilena, raccogliendo le forze attorno al candidato di Apruebo Dignidad, con il risultato di sconfiggere Kast al ballottaggio. L’equilibrio raggiunto non sembrava comunque di grande auspicio: la sconfitta al primo turno del programma di cambiamento del progetto politico di Apruebo Dignidad ha avuto come conseguenza il fatto che tale piattaforma ha moderato le sue proposte perdendo così la sua radicalità. In una certa misura, questo ha prodotto uno spostamento, quanto meno nell’ordine retorico, verso un’agenda politica più vicina alla socialdemocrazia concertativa. In ogni caso, è stato possibile battere il candidato fascista con un margine non ridotto, il 55.86% per Boric contro il 44.13% per Kast, il che tuttavia non elimina uno scenario politico futuro preoccupante, dal momento che, di fronte alla frammentazione della destra cilena, che aveva presentato quattro candidati, si era rafforzata la posizione più estremista. Inoltre, al primo turno si è votato anche per senatori e deputati, e questo voto ha modificato significativamente gli equilibri di potere dentro al Congresso, favorendo i gruppi liberali reazionari, quelli conservatori, e anche alcuni candidati dichiaratamente fascisti, il che limita ulteriormente le possibilità di un cambiamento sostanziale per via legislativa del sistema politico e sociale imperante. Benché nessun gruppo politico disponga della maggioranza, il che obbliga a una costante negoziazione per ogni iniziativa di legge, l’irruzione di congressisti e congressiste del candidato Parisi, un ex-accademico populista, e di esponenti del Partito Repubblicano di estrema destra sarà un problema permanente per la governabilità del paese.

Dall’altro lato sta il fattore della Convenzione Costituzionale, che si è messa in moto autonomamente, nonostante gli ostacoli e il carente appoggio materiale da parte del governo di Piñera. Occorre notare che, ben aldilà degli slogan urlati nelle strade durante la rivolta sociale del 2019 che richiedevano una “Assemblea costituente”, in questo momento abbiamo una Convenzione con 155 rappresentanti eletti democraticamente, che tiene in considerazione criteri di genere, e con seggi riservati ai popoli originari, il che è un evento straordinario per la storia cilena. Non si era mai dato prima un potere istituente che potesse esprimere in maniera così rappresentativa le differenze politiche, sociali e culturali del paese. Proprio per questa ragione, il processo costituente è stato sistematicamente attaccato da diversi fronti: dal conservatorismo oligarchico ancora persistente, dal liberalismo autoritario, dall’ortodossia neoliberale, dal pinochetismo fascista, ma anche da posizioni apparentemente progressiste ma in realtà reazionarie e da gruppi di sinistra radicale. Nonostante tutto, però, il lavoro dei membri dell’assemblea è proceduto, e si stanno già votando e approvando le prime norme costituzionali, molte delle quali rompono in maniera netta con lo status quo: la definizione del Cile come Stato plurinazionale; il riconoscimento delle autonomie territoriali sulla base delle loro specificità socio-culturali, geografiche ed economiche, che chiude la stagione della centralizzazione dei meccanismi decisionali da parte dello Stato; la definizione di un pluralismo giuridico che prende in considerazione le differenze di genere e quelle etnico-culturali nei processi di amministrazione della giustizia sono solo alcuni dei principi già approvati.

L’11 marzo il candidato di Apruebo Dignidad Gabriel Boric ha assunto la presidenza della Repubblica del Cile, in un momento di alta tensione politica e sociale. È l’inizio di un quadriennio nel quale molte sono le sfide che ci aspettano. Per fare alcuni esempi, la situazione dei carcerati e delle carcerate arrestati in seguito alla rivolta sociale costituisce un problema che genera una tensione dal basso nelle relazioni tra il governo e le sinistre. Allo stesso modo, genera preoccupazione la direzione che prenderà una politica economica alle prese con il congedo dalle logiche dell’amministrazione neoliberale. Ancora, si dovrà discutere la prospettiva di un ampliamento dei diritti sociali come la formazione, le pensioni (con la fine dell’AFP[1]), la salute, la casa, che costituiscono l’orizzonte che deve guidare ogni decisione politica. Infine, vi sono le questioni ambientali, come quella dell’acqua, dell’inquinamento della costa, della fine delle “zone di sacrificio”[2], ecc.. Tutti assunti che rientrano tra le aspettative della cittadinanza, e che vanno ben aldilà del maggiore o minore sostegno che può ricevere il governo che si sta insediando in questi giorni. Il cammino sarà difficile, ed è necessario accompagnare con la critica e con le proposte questo momento inedito della storia del Cile.

[1] L’AFP è il sistema di capitalizzazione individuale obbligatoria in atto nel sistema pensionistico cileno vigente, considerato uno degli aspetti del che più di altri necessita di una riforma urgente [nota del traduttore].

[2] Si tratta di aree del Cile che hanno subito nel corso dei decenni un intenso sfruttamento industriale e/o minerario, e che per questo sono particolarmente inquinate; il progetto di un loro recupero era stato annunciato già dal governo precedente, ma nulla è stato fatto finora [nota del traduttore].

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