sabato , 21 Dicembre 2024

Lo sciopero femminista in Cile: riprendiamoci la vita che ci devono

di NATALIA CORRALES CORDERO ‒ Coordinadora Feminista 8M Valparaíso

Alla vigilia dello sciopero femminista transnazionale, pubblichiamo un contributo di Natalia Corrales Cordero, portavoce della Coordinadora Feminista 8M di Valparaíso, dirigente della Federazione dei lavoratori e della lavoratrici statali UNTTHE – Union nacional trabajadores y trabajadoras honorarias del estado. Quest’anno lo sciopero sarà anche sciopero contro l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, rispetto alla quale una presa di posizione femminista transnazionale è più urgente che mai. La guerra rinforza le logiche nazionaliste, il razzismo del regime europeo dei confini e intensifica la violenza patriarcale contro la quale da anni il movimento dello sciopero femminista esprime il suo fermo rifiuto. Domani donne, migranti, lavoratrici, persone Lgbtq+ scenderanno in piazza per dire no alla guerra e alla violenza che produce, ma anche per dire no a una ricostruzione post-pandemica che riproduce precarizzazione, approfondisce la divisione sessuale del lavoro e l’impoverimento delle donne. Condividiamo, quindi, questo contributo dal Cile, dove le proteste degli ultimi anni di lotta hanno reso possibile arrestare l’avanzata dell’estrema destra e sfidare un regime neoliberale che ha fatto della violenza la sua arma principale per mettere a tacere chiunque lo mettesse in discussione. Le enormi mobilitazioni in cui il movimento femminista ha avuto un ruolo centrale, hanno posto le basi di un processo Costituente e della destituzione del presidente neoliberale e conservatore Sebastián Piñera. Fra pochi giorni salirà al governo Gabriel Boric, rappresentante del centro-sinistra, ma, come scrive Natalia Corrales Coordero, portavoce della Coordinadora Feminista 8M, il movimento femminista deve continuare a organizzarsi, fare pressione e a perseguire una politica di radicale trasformazione sociale. Le femministe cilene, che scenderanno in piazza con lo slogan «Vamos por la vida que nos deben» [«Riprendiamoci la vita che ci devono»], sanno che lo sciopero è lo strumento più potente di cui disponiamo per coordinare le nostre lotte in questi tempi turbolenti e pretendere un mondo libero dal patriarcato, dalla violenza, dallo sfruttamento e dalla guerra.

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Alla vigilia di un altro 8 marzo e della fine del governo di Sebastián Piñera – il presidente che ha dichiarato guerra al suo stesso popolo rimanendo del tutto impunito – è necessario fare alcune riflessioni come femministe, lavoratrici e militanti. La rivolta del 2019 è stata il risultato di anni di crescenti mobilitazioni guidate principalmente da studenti e studentesse. La loro vitalità e la loro forza sono state capaci di dissipare le paure di cui la classe operaia fa ancora fatica a liberarsi, sfidando il sistema neoliberale e la sua mercificazione dell’educazione e, più in generale, della vita.

Inizialmente questa nuova ondata femminista ha preso forma negli spazi universitari, seguendo l’esempio che in passato era stato dato dalle lavoratrici che, con grande coraggio, hanno sfidato il dominio patriarcale imperante nell’élite al governo e nella dittatura, dando la vita per i pochi diritti di cui oggi noi donne possiamo godere. Sono state loro – le «streghe», le donne in sciopero, le scienziate, le cuoche delle cucine popolari – a infondere in noi lo spirito di lotta e di libertà. Con il loro esempio, nel 2018 ci siamo sollevate in un grande sciopero generale femminista, il primo in Cile, paralizzando il settore produttivo e anche il lavoro riproduttivo, di cui siamo incaricate in quanto donne

Come un déjà vu, nel 2019 siamo tornate a confrontarci con la repressione criminale dello Stato cileno, abbiamo subito la violenza politica dei padroni dentro e fuori i posti di lavoro e abbiamo aperto spazi impensabili fino a pochi anni fa. Vogliamo prendere il potere che ci spetta con la forza sprigionata in questi anni dai movimenti sociali. Vogliamo trasformare tutto ed è in questa direzione che stiamo camminando insieme.

Abbiamo lottato nelle strade per costruire un’Assemblea Costituente che cambiasse il corso dell’organizzazione politica del Cile. Oggi abbiamo compagne e compagni femministe che scrivono una nuova Costituzione seguendo le indicazioni stabilite dal movimento che ha chiesto in massa dignità e uno Stato che rimuova un accesso di classe ai diritti, garantendoli per tutti. In un paese dove ci sono diseguaglianze estreme come il nostro, è necessario per noi cambiare l’organizzazione delle nostre vite precarie, ridistribuire la ricchezza e il potere che oggi è concentrato nelle mani di pochi, gli stessi di sempre.

Due anni dopo la rivolta popolare e dopo aver respinto, con il voto collettivo, l’estrema destra, scendiamo in piazza l’8 marzo in un contesto complesso. La pandemia ha reso evidente la subordinazione e le condizioni materiali in cui vive la grande maggioranza delle lavoratrici. I costi economici della crisi pandemica sono stati pagati con il lavoro e le vite di tantissime donne. Come possiamo dimenticare le tantissime morti negli ospedali pubblici e le lunghe file di persone licenziate (per lo più donne), mentre l’elite continua ad arricchirsi?

Oggi, alla vigilia di un nuovo governo di centro-sinistra salito al potere grazie all’enorme mobilitazione popolare e femminista, abbiamo la responsabilità di continuare a lottare e di pretendere quella solidarietà, giustizia sociale e uguaglianza per cui siamo scese in piazza in massa in questi anni. Ora sappiamo di avere forza per mettere in discussione e abbattere le fondamenta che hanno tenuto in piedi l’ordine neoliberale per più di 30 anni. Abbiamo attraversato i processi sociali e da lì ci siamo oganizzate per costruire un movimento di massa internazionalista che ha pretese radicalmente trasformatrici. Siamo in presenza di una guerra tra imperi: la nostra lotta femminista deve prendere posizione dalla parte di chi questa guerra la subisce. Il femminismo deve essere la nostra trincea.  Dobbiamo rimanere unite e organizzate con le nostre compagne e i nostri compagni, figlie, nonne e sorelle senza abbandonare la lotta nelle piazze e nelle strade perché solo lì possiamo riprenderci, in massa, una vita degna di essere vissuta.

 

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