Intervista a FANNY HERMANT (Noustoustes38 – Grenoble) e ARYA MERONI (AG Féministe – Montreuil) della Coordination Féministe
Il mese scorso si è tenuto a Rennes il primo incontro nazionale della Coordination féministe, il nuovo Coordinamento Femminista nazionale francese, segno della volontà di gruppi e collettivi femministi e di persone Lgbtq+ di prendere parola collettivamente sulla condizione delle donne in Francia e di organizzare lo sciopero femminista dell’8 marzo.
Le militanti della Coordination Féministe hanno chiamato uno sciopero contro la violenza e le discriminazioni, contro le misure introdotte dal governo francese per gestire la crisi pandemica e la sua ricostruzione, e per affermare con forza che non saranno le donne, spesso migranti e precarie, a sostenere i costi e le conseguenze di una politica che negli ultimi anni ha disinvestito nella sanità e nei sussidi sociali. Sarà uno sciopero contro il razzismo, per rifiutare la crescita dell’estrema destra e il discorso razzista che investe il dibattito pubblico sulle elezioni presidenziali.
Nell’ultimo mese in tutta la Francia si sono moltiplicate le iniziative: sono state istituite case dello sciopero e casse solidali di sciopero per raccogliere fondi, ci sono state discussioni pubbliche che hanno messo al centro il nesso tra violenza e precarietà, e la necessità di scioperare dal lavoro produttivo e riproduttivo. Domani ci saranno manifestazioni e scioperi in 25 città e a Parigi sono stati chiamati due giorni di manifestazioni per rifiutare questo sistema che uccide, per rifiutare la precarietà che ci è imposta in quanto donne, migranti e persone Lgbtq+ e per uno sciopero contro la guerra, riprendendo l’appello delle femministe russe.
Potete raccontarci come è nata l’idea di creare un Coordinamento femminista nazionale in Francia e come è stata portata avanti? Da quali bisogni e necessità è nata?
Questo coordinamento è nato dalla collaborazione di molti collettivi, assemblee ed associazioni nel marzo 2022, a partire dalla volontà condivisa di creare in Francia un movimento femminista autonomo e forte, indipendente dai partiti politici e dai sindacati. Questo processo è partito dalla volontà di decentrare anche la copertura mediatica e politica dei soli movimenti e i gruppi parigini, e di ripensare la democrazia nel movimento femminista unendo diversi collettivi sui territori, che devono anche confrontarsi ai problemi che sono propri delle loro realtà locali, per permettere loro di mettersi in connessione e di scambiare pratiche militanti e strumenti d’azione. Si tratta anche di incoraggiare un movimento femminista organizzato da collettivi politici.
Sempre rispetto alla costruzione di un Coordinamento femminista, quale è la differenza rispetto al passato per quello che riguarda la vostra organizzazione e lo sciopero? Quali sono i prossimi passi?
Abbiamo capito che è indispensabile organizzarsi insieme per far emergere il movimento a livello nazionale e la dinamica di costruzione di uno sciopero in tutti i territori. Le nostre discussioni a Rennes si sono focalizzate sulla questione dello sciopero e, anche se questo argomento è centrale nelle prospettive del Coordinamento fin dal suo inizio, i nostri obiettivi si suddividono in diverse fasi.
In primo luogo, lo sciopero dell’8 marzo 2022 che è stato chiamato sul territorio nazionale da molto collettivi. Nonostante ciò, ci siamo poste il problema dell’organizzazione sul lungo periodo e per questo abbiamo cominciato a discutere della costruzione dello sciopero per il marzo 2023. In quanto molti collettivi si sono uniti nel processo di organizzazione del coordinamento, dando un nuovo impulso e una nuova condivisione delle forze, possiamo pensare più concretamente a costruire strumenti comuni e allo sciopero femminista non solo come un evento, ma come un processo di messa in azione collettiva, che si riflette nel coordinamento e anche nei nostri rispettivi collettivi, in una dinamica di scambio continua. Certo, il coordinamento ha anche posizioni politiche esplicite, che sono il frutto della dinamica e della pratica militante che mette in gioco. Poi, come abbiamo deciso a Rennes, il Coordinamento non ha chiamato i sindacati a unirsi alla sua organizzazione perché vogliamo rimanere autonome. Questo è importante perché talvolta i collettivi militanti sono molto legati ai sindacati a livello locale, talvolta ci sono rapporti conflittuali dovuti alle rivendicazioni femministe che non sono accettate dalle organizzazioni sindacali, oppure le organizzazioni femministe, a volte meno strutturate e organizzate, non sono prese sul serio dai sindacati. Ci troviamo in uno spazio particolare perché il nostro movimento vuole essere autonomo e, al contempo, strettamente connesso ai sindacati e agli scioperi dal lavoro produttivo che vengono indetti. Quello che ci sembra assolutamente necessario è costruire dei ponti e delle relazioni con le delegate femministe dei sindacati e comprendere come mettere in atto questi legami in quanto lo sciopero femminista è uno sciopero dal lavoro salariato e riproduttivo. Rivendichiamo un femminismo che sia parte della lotta di classe. E organizzeremo dei nuovi incontri femministi a livello nazionale a luglio per formarci, continuare a conoscerci, incontrarci e soprattutto per fare il punto sulla preparazione dello sciopero femminista dell’8 marzo 2023!
I processi di messa in comunicazione e di organizzazione del movimento delle donne, dall’America latina all’Italia, hanno influenzato il tentativo di creare un coordinamento nazionale? Eravate già in contatto con dei coordinamenti femministi di altri paesi in Europa o fuori dall’Europa?
Abbiamo lanciato il progetto del Coordinamento con un appello a firmare il manifesto di Feministas Transfronterizas nel maggio del 2020! Quindi, come è evidente, questa dimensione internazionale è al cuore del progetto del Coordinamento Femminista.
Durante l’incontro a Rennes si è discusso dello sciopero femminista e della ripresa dell’estrema destra in Francia. Che influenza hanno le presidenziali in questo momento sulla preparazione dello sciopero femminista dell’8 marzo? Che sciopero sarà quello femminista dell’8 marzo?
L’avvicinarsi delle elezioni, il cui risultato potrebbe essere la vittoria dell’estrema destra, mostra la necessità di organizzarsi e di convergere nella mobilitazione dell’8 marzo intorno alle parole d’ordine dell’antifascismo e dello sciopero femminista. Tuttavia, noi non vogliamo prendere parte al dibattito elettorale, anche se è evidente che neghiamo collettivamente e in blocco le strumentalizzazioni del femminismo per scopi razzisti, nazionalisti, islamofobi, fascisti reazionari… una lista lunga e inquietante. Potremmo dire che una delle influenze più visibili delle elezioni sull’8 marzo è la sua invisibilizzazione mediatica. Tutta l’attenzione è rivolta verso le presidenziali e, fino al 26 febbraio, nessuno dei media principali aveva menzionato l’8 marzo, nemmeno quelli di estrema sinistra. E questa cosa non sembra essere migliorata in questi ultimi giorni. Nel complesso, si può dire che ci stiamo muovendo e costituendo al di fuori del quadro elettorale.
La crisi pandemica ha cambiato moltissime cose negli ultimi due anni, rendendo evidente la centralità dei lavori essenziale per la riproduzione della società, lavori fatti spesso da donne, migranti, precari e malpagati. Al contempo, la violenza maschile sulle donne è aumentata ovunque, i governi autoritari, razzisti e neoliberali sono cresciuti e la precarietà è aumentata in Europa e oltre. Quali sono le sfide e le problematiche di pensare uno sciopero femminista ora?
In questi anni abbiamo visto delle micro-“rivoluzioni” femministe che sono portate avanti da settori professionali specifici, e raramente questi sono i settori più precari. Stiamo parlando di “me too” politici, culturali, musicali e di campagne come “balance ton bar” e altre volte a porre attenzione al disequilibrio tra i generi, che sono troppo mediatizzati. Certo, è positivo, si dà voce a una condizione e probabilmente è necessario, ma ciò che accade dietro a queste campagne è un mistero. Non vi è stata alcune ondata “me too” di cassiere, operaie della manutenzione, insegnanti… questi settori hanno una cultura militante che si trova altrove e che è più vicina al movimento sociale e sindacale dello sciopero, non sempre legata a preoccupazione o rivendicazioni propriamente femministe. Lo sciopero femminista è per noi la convergenza di tutte queste lotte, uno sciopero dal lavoro produttivo e riproduttivo. Uno sciopero dalla messa a disposizione dei nostri corpi al patriarcato e al capitalismo. È un andare oltre alle prese di parola individuali che si danno in momenti e spazi diversi (delle quali non neghiamo la forza, la potenza o la necessità perché hanno permesso una presa di coscienza massiccia) che sono pericolosamente recuperabili dall’attuale potere politico e dal capitalismo, e che spesso non portano a niente di veramente concreto nel quadro di una lotta contro le oppressioni, a parte le agitazioni reazionarie nei media, o nell’organizzazione collettiva. Ecco perché dobbiamo pensare allo sciopero come un processo.
Lo sciopero come processo è anche dare spazio alle donne più precarie per parlare e farsi ascoltare, è permettere a tutte le persone che sono messe in pericolo e in situazioni di oppressione e discriminazione dagli attacchi reazionari e antisociali del potere di far ascoltare le loro rivendicazioni, che peraltro vanno al di là dei loro gruppi specifici: a partire dalle oppressioni specifiche, abbiamo formulato rivendicazioni che toccano tutte e tutti e che hanno un forte peso sulla vita delle donne, delle persone Lgbtq+ e anche dell’intera popolazione. Per esempio, la questione, contenuta nella proposta di legge del Partito comunista francese sulla giustizia sociale e in discussione in questi ultimi mesi all’Assemblea Nazionale, di slegare il calcolo dei sussidi per le persone adulte disabili [Allocations aux Adultes Handicappés] dalla situazione famigliare e coniugale solleva per noi la questione più generale dello slegare dalla famiglie la fruizione delle prestazioni sociali, cosa di cui beneficerebbero tutte le donne, e ne abbiamo discusso durante degli incontri sul tema delle violenze sessiste e sessuali, così come in quelli sugli aumenti salariali. Ci sembra che una delle grandi questioni legate al pensare lo sciopero femminista sia rendere le persone consapevoli che il patriarcato non cadrà se il capitalismo non cadrà, e che solo un movimento di massa per il rovesciamento della nostra società porterà alla fine delle nostre oppressioni. In realtà, si tratta di instillare la necessità di un cambiamento radicale e, affinché questo accada, dobbiamo entrare in azione.