di CAPRIMULGUS
«Presidenza del Consiglio dei ministri, buongiorno sono Francesco rispondo dall’Italia, come posso aiutarla»? Così si risponde dall’enorme sede del call center di Settecamini, periferia est di Roma, subito fuori il Grande Raccordo Anulare, ai cittadini che vogliono prenotare i vaccini e che risiedono nelle regioni in cui la campagna sta andando incontro a una qualche difficoltà, quali Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Marche, Abruzzo e Lombardia. Alle volte il cittadino disorientato può chiedersi se ha sbagliato numero, mentre qualcuno più ironico e lesto domanda di poter parlare con il dott. Draghi in persona. In effetti, anche chi lavora nel call center vive questa frasetta, con la quale sono obbligati a rispondere al telefono, in modo innaturale. Eppure, stiamo parlando di uno strumento varato proprio dal Commissario straordinario per il coordinamento delle attività di contrasto al Covid-19 e per la campagna vaccinale che risponde direttamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’ordinanza affida infatti a Poste Italiane i servizi di assistenza ai cittadini per la fase di prenotazione (Servizio di Contact center), di comunicazione con il cittadino (invio di SMS e chiamate inbound/outbound al Contact center), di allestimento delle dotazioni hardware presso i Centri vaccinali e relativo servizio di manutenzione dell’hardware e di assistenza dei Centri vaccinali e supporto con Single point of contact.
Il problema è che per quanti ci lavorano in sub-sub-appalto immaginarsi alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri è complicato: dopo aver preso l’appalto, Poste Italiane l’ha appaltato a sua volta al Gruppo Distribuzione, un’azienda multinazionale con sedi in Italia (Frascati, Matera e Roma), in Brasile e in Romania, che per non sbagliare ha assunto una settantina di persone attraverso l’agenzia di somministrazione Manpower. Insomma la solita cascata di appalti in cui ovviamente tutti vogliono guadagnarci qualcosa. Chi ci lavora invece deve accontentarsi: «lo stipendio base senza straordinari è 900 euro più gli 80 euro del bonus Renzi, che chi fa la selezione ti annuncia nel colloquio, facendoli passare come parte del salario. Con gli straordinari solitamente si aggiungono altri 150 euro», dice Francesco. D’altronde, come in molti altri call center gli straordinari sono fortemente consigliati: «sulla carta sono 30 ore settimanali su 6 giorni, ma in realtà gli straordinari sono impliciti se vuoi continuare a lavorare. Quando ci logghiamo sul portale ci chiedono la disponibilità allo straordinario per la settimana successiva e, nel caso di risposta negativa, vieni chiamato al desk e ti fanno capire che devi farli. Si arriva così sulle 36 ore, ma nel periodo più tosto si arrivava anche a 42/43 ore», afferma Giorgio trent’anni, un figlio piccolo e una laurea alle spalle. I turni sono gestiti tramite un algoritmo: «sì, ma devono pagarli poco quelli che fanno l’algoritmo perché mi pare molto banale, fai sempre una settimana alla mattina e una al pomeriggio», ci racconta Giovanna, un figlio a carico.
Al call center della Presidenza del Consiglio dei Ministri ci lavorano una settantina di persone, ma molte altre sono occupate in altri servizi, sempre in appalto o sub-appalto. La commessa per Draghi & co. è considerata la più importante e quindi la disciplina è più ferrea per uno stipendio che in molti considerano decente per gli standard dei call center e più in generale per quanto offre il mercato del lavoro. Certo, occorre presentarsi agghindati per bene e anche nel torrido agosto romano i pantaloni lunghi non sono un optional: «neanche gli utenti vedessero come son vestito. Una volta sono andato con i pantaloncini e mi hanno subito richiamato: ‘che t’abbiamo detto durante la formazione? Abbigliamento decoroso’», ricorda Giorgia, trentacinquenne romana. Peccato che, per lavorare per la Presidenza del Consiglio, sia stata necessaria una formazione piuttosto rapida: «una giornata di spiegazioni in fretta e furia il sabato prima di iniziare il lunedì». Un’indicazione rimane aperta tutto il tempo di lavoro sulla pagina di log: «Ricorda di indossare un abbigliamento decoroso all’altezza della tua professionalità». E, nonostante il distanziamento, la mascherina obbligatoria per tutto il tempo di lavoro rende ancor più faticosa la giornata: «praticamente ti sputi in faccia da solo per ore», ci racconta Luca. La selezione del personale è piuttosto veloce, anche perché non mancano quelli che se ne vanno, come nel caso di Marina che ricorda come «durante il colloquio hanno utilizzato anche la retorica nazionale di quanto dovremmo comunque essere orgogliosi di partecipare allo sforzo del paese per uscire dall’emergenza».
La gestione rimane quella del classico call center, non certo di un servizio pubblico, anche perché Gruppo Distribuzione opera prevalentemente per marchi commerciali quali Sky e Tim: i capireparto o, in ossequio agli anglicismi che vanno per la maggiore negli ultimi trent’anni, i team leaders, si muovono continuamente nei «corridoi» dell’open-space e si piazzano dietro all’operatore per controllare la prestazione lavorativa, tempi, pause, tono di voce. Alle volte, quando il flusso delle chiamate è più importante, si limitano a mettere pressione gridando «accelerare! accelerare!». Anche per i giovani alle dipendenze (in)dirette della Presidenza del Consiglio, a contare è sempre la velocità con cui chiudi le chiamate, pena l’essere richiamato in modo sbrigativo. Il punto rimane quello di «sbolognare» il prima possibile il cittadino, senza superare i 7 minuti previsti: «mi sono capitati casi in cui il team leader mi ha ripreso perché stavo troppo a dare retta, oppure quando chiedevo come comportarmi con domande complesse che mi venivano poste, il senso era ‘sticazzi fregatene, digli di sì’», racconta Marco, che c’ha lavorato per due mesi e poi ha deciso di cercare altrove. Quando si lavora a pieno regime tra una chiamata e l’altra non passano più di 10 secondi, mentre nei tempi morti il centralinista è «obbligato a guardare lo schermo: non si può né guardare il cellulare, né chiacchierare con i vicini, né navigare su internet», ricorda Maria. Una pausa di 15 minuti cronometrata dal portale con una sorta di countdown ogni 2 ore raramente garantisce il ripristino delle forze fisiche e mentali.
Quando poi l’operatore chiede un permesso per potersi vaccinare è necessario auto-organizzarsi chiedendo uno dei due cambi turno a disposizione a settimana con qualche collega disponibile. Situazione beffarda per il centro di prenotazione vaccinale della Presidenza del Consiglio dei Ministri attorno a cui ruota la campagna nazionale. D’altra parte, il dipendente positivo deve dichiarare ai capireparto con chi è stato a stretto contatto, questi lo comunicano ai soggetti a rischio che andranno in una quarantena non pagata, ovviamente. Migliore fortuna, si fa per dire, ha chi risulta positivo al Covid-19 perché almeno risulta in malattia, pagata. Lo smart working non è stato previsto neanche durante l’ultima zona rossa «perché da casa non possono controllare».
Come in molti altri posti di lavoro anche qui vige la regola di non lamentarsi troppo della situazione lavorativa per evitare che «si incrini il rapporto di fiducia», come ripetono velenosamente i capetti. Non potersi fidare dei propri lavoratori ‒ ops!… collaboratori ‒ porta direttamente al licenziamento, o più semplicemente a non vedersi rinnovato il contratto che in ogni caso non supera i due/tre mesi.
Al di là della retorica patriottarda del presunto rilancio italiano garantito dal PNRR e dal mare di primule ostentato nei padiglioni vaccinali, il vero miracolo italiano per gli anni a venire è riuscire a rendere felici e fedeli i collaboratori della Presidenza del Consiglio dei Ministri perché possono contare su un contratto di lavoro a termine e uno stipendio di un migliaio di euro. Dietro al velo della retorica della comunità e del bene comune, pare che la struttura complessiva attraverso cui estrarre profitto continui indisturbata. E se, senza alcun pudore, è lo stesso servizio pubblico vaccinale a subire un tale trattamento, sarebbe bene guardarsi dall’adottare troppo facilmente un lessico dai toni etici, impregnato da concetti astratti e ambigui quali egoismo e altruismo, che non ci è mai appartenuto. Il rischio, neanche troppo lontano, è infatti quello di ritrovarsi a fare i guardiani della buona morale. Per citare le parole del Tronti che fu, «avete mai visto una lotta operaia con una piattaforma di rivendicazioni genericamente umane?».