di CAPRIMULGUS
Per quanto i titoli di studio siano quotidianamente svalorizzati ‒ si nota quando un neolaureato o, peggio, una neolaureata si presenta in un’azienda per un colloquio di lavoro ‒ i parvenu che magari selezionano il giovanotto (o la giovanotta) continuano a ritenere che apporre un bel dottore sulla parete, sulla porta esterna dell’ufficio o su un biglietto da visita sia un passe-partout per entrare nell’élite che conta. Diversamente da quanti lo conseguono con fatiche quotidiane concentrandosi su noiosi tomi e dovendo anche sostenere un esame con barbosi e pignoli docenti, quelli che ottengono il prestigioso riconoscimento di una laurea honoris causa, rilasciata solo a personalità illustri della vita scientifica o sociale, possono pensare di aver fatto decisamente un salto di classe. Se poi l’Ateneo che la conferisce è uno dei più importanti in Italia, si entra nei salotti buoni direttamente dalla porta principale.
Questa non è la storia di uno di noi ma del dott. Fabio Franceschi, proprietario di Grafica Veneta, una media azienda veneta, per l’appunto, con circa 330 dipendenti diretti che negli ultimi vent’anni si è espansa stampando libri in 24 ore: dalla saga di Harry Potter, all’instant book pubblicato da Barack Obama alla vigilia della sua prima corsa presidenziale, fino ai Royal Notes per Papa Francesco. Una tipografia industriale e, ovviamente, moderna e ipertecnologica, attenta alle relazioni interpersonali. Così almeno l’ha definita nel 2014 l’allora Rettore dell’Università di Padova, professor Giuseppe Zaccaria, nella solenne cerimonia di consegna del papiro di laurea honoris causa al Franceschi. L’allora Direttore del Dipartimento di Ingegneria, professor Andrea Stella, che aveva promosso il conferimento sottolineava che l’azienda era riuscita a «ottenere risultati eccellenti in termini di velocità dei processi produttivi, qualità del prodotto e salvaguardia ambientale, con investimenti ingenti nel fotovoltaico». Il professor Stella è uno che di titoli di studio si occupava già da tempo, partecipando fin dai primi anni 2000 a numerose commissioni ministeriali, tra cui quelle relative alla revisione delle classi di laurea e di laurea magistrale e poi dal 2015 al Comitato consultivo dell’Anvur. Insomma, uno molto dentro al sistema di valutazione e che ha sicuramente analizzato a fondo la situazione del Franceschi prima di mettere in votazione la richiesta di laurea honoris causa, approvata all’unanimità dal Consiglio di Dipartimento di Ingegneria. Eppure, solo tre anni prima, nel 2011, l’allora Consiglio di Facoltà di Scienze Politiche del medesimo Ateneo, chiamato a discutere della proposta del professore Giuseppe Gangemi di laurea honoris causa al sig. Franceschi, aveva deciso di lasciar perdere, date le numerose perplessità tra il personale docente, amministrativo e studentesco.
Già allora Grafica Veneta, più che introdurre particolari innovazioni tecnologiche, acquistava macchinari tecnologicamente evoluti, oltre a fare affidamento su contratti interinali e a termine, nonché sui servizi di una cooperativa le cui lavoratrici (quasi esclusivamente donne rumene) erano chiamate alla bisogna, per soddisfare il just-in-time produttivo. Ai lavoratori diretti assunti a tempo indeterminato non andava meglio, visto che perfino alcune mogli di questi si erano rivolte alla Cgil per protestare contro il numero eccessivo di ore lavorate dai mariti, ricevendo lo sberleffo del Franceschi: «E se fossero senza lavoro o in cassa integrazione cosa farebbero»? Sicché, ciò che non era riuscito a Scienze Politiche dopo tre anni riesce a Ingegneria e il Franceschi, dopo essere diventato Commendatore della Repubblica nel 2010, ottiene l’ambito titolo, sebbene con qualche mal di pancia dentro l’Ateneo. Andrea Zambon, professore associato di Metallurgia all’Università di Padova, pochi mesi dopo la consegna della laurea honoris causa per protesta riconsegna il suo diploma di laurea direttamente nelle mani del Rettore.
Insomma, una vicenda dai contorni piccanti che però stranamente è rimasta ben coperta nelle cronache locali e nazionali che hanno recentemente riguardato Grafica Veneta. Anche perché negli anni successivi il dott. Franceschi si fa sempre notare: prima acquista il 4% delle azioni del «Fatto Quotidiano», poi si candida con Forza Italia nel 2018 e trova il tempo per ripetere il solito ritornello che non si trova manodopera adeguata per la sua azienda dove si viene «accuditi come figli». Nella pandemia fa parlare di sé quando, dopo un breve colloquio con il Presidente della Regione Veneto, dott. Luca Zaia, dona due milioni di mascherine filtranti, lasciate poi quasi tutte marcire in un capannone, facendo poi della propria una delle principali aziende che vendono mascherine chirurgiche e risollevando così il proprio bilancio. Le mascherine che hanno rimpinguato le casse dell’azienda devono essere state una manna dal cielo anche per il giovane rampollo, Alberto Franceschi, perché in caso contrario sarebbe stato complicato arrivare dal benzinaio con la Maserati Ghibli regalata da papà per la laurea (questa, immaginiamo, conquistata sul campo).
Nel luglio del 2021, il dott. Franceschi incappa in un piccolo incidente di percorso che riguarda una piccolissima parte del suo fatturato, circa lo 0,2%. A tanto corrisponde l’appalto per servizi di etichettatura e imballaggio che Grafica Veneta ha stipulato con BM service, con sede a Lavis nel Trentino, società in accomandita semplice senza obbligo di depositare i bilanci. La BM service fa capo a due migranti pachistani, Arshad e Asdullah Badar, e fornisce manodopera per le necessità del sito produttivo di Grafica Veneta a Trebaseleghe, nell’alta padovana. I due titolari della BM, insieme ad altri tre migranti pachistani, alla fine di luglio vengono arrestati, mentre due manager del colosso l’amministratore delegato Giorgio Bertan e il responsabile tecnico Giampaolo Pinton finiscono ai domiciliari. Le accuse sono diverse, ma la vicenda è di quelle che abbiamo già conosciuto varie volte perché costituisce una delle configurazioni dello sfruttamento contemporaneo. La ventina di lavoratori, anch’essi quasi tutti pachistani, che lavorava alle dipendenze dirette di BM service era occupata all’interno di Grafica Veneta con turni che arrivavano anche a 12 ore al giorno per sei, talvolta sette giorni a settimana, e con salari che venivano compressi in vario modo: dal mancato pagamento degli straordinari, alla restituzione forzata di una parte del salario ai boss pachistani, all’obbligo di risiedere in abitazioni in cui pagavano elevati affitti agli stessi padroni. I due imprenditori si avvalevano anche di alcuni collaboratori, sempre pachistani, per tenere buoni a suon di legnate quelli che provavano a ribellarsi. Tuttavia, nonostante la BM negli ultimi anni avesse fatto scientificamente ruotare i propri dipendenti anche con l’assunzione di richiedenti asilo prelevati direttamente in un CAS a un’ora di strada dallo stabilimento, alcuni lavoratori migranti hanno alzato la testa facendo partire l’inchiesta della magistratura, mostrando ancora una volta di essere in grado di contrastare le forme più bieche di sfruttamento.
Dopo gli arresti della Procura di Padova, il dott. Franceschi prima difende i suoi due dipendenti e poi lascia gestire il caso al noto avvocato Emanuele Spata. Di fronte alle misurate richieste delle due organizzazioni che si stanno occupando della vicenda, l’Adl Cobas e la Cgil, l’avvocato telecomandato mette in luce l’arroganza del padrone: nessuna assunzione diretta a tempo indeterminato dei lavoratori pachistani, nessun riconoscimento del lavoro prestato, contestazione delle ore lavorate e addirittura accuse di truffa ai sindacati. Forse non a caso, tra gli indagati sembra esserci anche il titolare di una ditta di informatica che gestiva i badge e a cui era stato richiesto di far sparire ogni dato. Sarebbe perlomeno bizzarro che chi appalta pezzi di produzione a imprese che operano all’interno del suo stabilimento non sia a conoscenza di quanto accade a quei lavoratori. D’altra parte Grafica Veneta, come tutte le tipografie che stampano per grandi editori internazionali, sottoscrive l’obbligo di fornire specifiche certificazioni anche in merito alla forza lavoro occupata. E poi non deve essere difficile calcolare le ore necessarie per il lavoro svolto dai dipendenti della BM service, per un’azienda il cui titolare è stato premiato con una laurea honoris causa per le sue capacità di riprogettazione e ingegnerizzazione delle linee di produzione. Eppure il dott. Spata, l’avvocato che lo rappresenta e a cui lascia apparentemente carta bianca negli incontri con la Prefettura di Padova, ripete il ritornello: «non sappiamo, non conosciamo» e, soprattutto, «non scuciamo un soldo». Altrimenti come sostenere i costi del pieno della Maserati Ghibli e dell’elicottero che sposta il giovane ereditiere da Milano a Trebaseleghe (PD)? Viene però da chiedersi il motivo di tutto questo casino per un appalto che fa risparmiare ben poco all’azienda, considerando la miseria per cui incide sul fatturato. Qualche ben informato suggerisce che forse in tutta questa faccenda ci sarebbero anche un po’ di fondi neri. Niente di che in una media azienda veneta. Intanto dopo alcune settimane, i due manager italiani di Grafica Veneta ai domiciliari hanno trovato un nuovo collegio difensivo: il professore Alberto Berardi, ricercatore presso l’Ateneo patavino, e soprattutto l’avvocato Fabio Pinelli, legale di fiducia della Regione Veneto.
Forse allora la vicenda è più complicata e sebbene solitamente non diamo indicazioni alle Procure, in questo caso possiamo fornire un aiutino: si potrebbe provare a capire se questi imprenditori pachistani abbiano in realtà preso possesso di Grafica Veneta e obblighino il povero dott. Franceschi e il suo collaboratore, l’avvocato Spata, a una pantomima da pantalòn veneziano. Colpa dei migranti: cazzo, averlo pensato prima. Ci pensino i magistrati prima che qualcuno proponga alla prima Rettrice in 800 anni di storia che prenderà il comando dell’Ateneo a ottobre di revocare la sudata laurea honoris causa al dott. Fabio Franceschi.