di FELICE MOMETTI
La versione breve di questa recensione è stata pubblicata su «Il Manifesto» del 20 agosto 2021
Uso capitalistico e uso di classe del territorio. Nuova geografia della forza-lavoro e il territorio come luogo e mezzo della produzione sociale. Questo è l’approccio teorico e politico che, nella seconda metà degli anni ’70, caratterizza la riflessione dei «Quaderni del Territorio». Il retroterra sono alcuni capisaldi del pensiero operaista: l’assetto territoriale è l’effetto specifico della risposta capitalistica a un ciclo di lotte e causa di una serie di comportamenti di classe. La geografia della forza-lavoro viene letta attraverso il rapporto tra composizione tecnica e politica di classe e l’inchiesta nei territori non è uno strumento neutrale, ma serve a mettere in relazione sociale e politica i ricercatori (studenti e docenti) con i soggetti che agiscono pratiche di trasformazione nelle aree metropolitane. I «Quaderni del Territorio» sono l’esito di ricerche che, dal ‘68 in poi, si sviluppano innanzitutto nella Facoltà di Architettura di Milano. Gruppi di docenti, ricercatori e studenti che fanno inchiesta territoriale, nell’area metropolitana, e che cambiano alla radice anche le forme e i contenuti della didattica. Al gruppo milanese si aggiungeranno presto collettivi redazionali in altre città, tra le quali Torino, Firenze, Napoli e Bari. La pubblicazione, a cura di Alberto Magnaghi, di Quaderni del Territorio. Dalla città fabbrica alla città digitale (DeriveApprodi, 2021) e la digitalizzazione completa della rivista scaricabile dal sito Machina di DeriveApprodi, a più di quarant’anni di distanza da quella esperienza, riveste un interesse che va oltre l’aspetto puramente storico.
Negli ultimi anni si è assistito a un recupero e a una reinterpretazione del pensiero di Henri Lefebvre sullo spazio urbano, soprattutto attraverso i lavori di David Harvey e Neil Brenner: la città come proiezione della società sul territorio e il diritto alla città non sono visti come un processo di soggettivazione ma come diritto all’accesso al «bene comune» urbano. Nei quattro numeri usciti dei «Quaderni del Territorio» (1976-78) e nel volume La riconversione del terziario (1981) metodo e analisi multidisciplinare non sono separabili e la prospettiva è completamente ribaltata rispetto all’impostazione lefebvriana. Il territorio, nel testo di Magnaghi che apre il primo numero della rivista, è al tempo stesso mezzo dell’organizzazione sociale della produzione e luogo della riproduzione dei rapporti capitalistici. In altri termini la produzione dello spazio urbano e del territorio fa parte, a tutti gli effetti, del processo di accumulazione e valorizzazione del capitale. Un’ipotesi che viene verificata, con le inchieste sul campo inizialmente in Lombardia, da parte di nuclei territoriali di ricercatori e studenti che nella loro ricerca/azione trasformano i saperi disciplinari e le relazioni tra università e territorio. A questo proposito si vede l’influenza esercitata dal pensiero di Romano Alquati sull’inchiesta e la conricerca. La fabbrica nella società è il titolo del terzo numero della rivista che esce nel giugno del ’77, a pochi mesi di distanza dell’esplosione di un movimento sociale che ha posto in termini innovativi il rapporto tra i vari soggetti che davano vita alla composizione di classe di quegli anni. Il rapporto con quel movimento, l’analisi della sua politicizzazione nello spazio urbano – non più città-fabbrica ma fabbrica diffusa – diventano tra i temi centrali della rivista. Ed è ancora Alquati, nel suo saggio Note su ricomposizione di classe e crisi del mercato del lavoro, che mette in guardia dall’errore di «tornare a separare nella lotta del proletariato la produzione dalla riproduzione, o la produzione dal sistema politico statuale».
Nel dicembre del ’77 un coordinamento delle riviste di «Quaderni del Territorio», «Aut Aut», «Primo Maggio», «Critica del Diritto», «Marxiana» organizza un convegno su Occupazione giovanile e fabbrica diffusa alla Facoltà di Architettura di Milano. Gli atti sono pubblicati sul quarto e ultimo numero dei «Quaderni del Territorio». Nell’editoriale di presentazione si fa esplicito riferimento al non relegare concettualmente il «movimento dei valori d’uso» nella conquista dei diritti civili o nelle economie marginali o, ancora, nell’ipotesi di una «ipostatizzazione indefinita nello Stato assistenziale». E la metropoli e il territorio non sono mai altro rispetto a un modo di produzione sociale. Già qualche anno prima Alberto Magnaghi in Aree metropolitane e ristrutturazione produttiva (Clup, 1974) coglieva la trasformazione dello spazio urbano da città-fabbrica a una struttura metropolitana che si forma con l’intersezione di più cicli di produzione, dalla concentrazione di «comando e informazione, di servizi, dalla concentrazione di mercati di forza-lavoro». La combinazione di questi elementi definisce un’individualità, una propria identità della metropoli come fabbrica sociale entro la divisione internazionale del lavoro. In nuce si vede ciò che diventerà evidente alcuni decenni più tardi: la metropoli è un processo urbano e sociale e non un’entità geografica o amministrativa. Il progetto di ricerca dei «Quaderni del Territorio» subisce un duro colpo, si può dire decisivo, con l’arresto di Magnaghi nel dicembre del ’79 nell’ambito della cosiddetta inchiesta del 7 Aprile. Verrà assolto otto anni dopo, non senza aver subito una lunga e dura carcerazione preventiva.
Cosa resta oggi dei «Quaderni del Territorio», qual è l’eredità? Sergio Bologna nel suo contributo al libro traccia un’ambivalenza tra abbagli e anticipazioni. Il capitalismo veniva raffigurato come una macchina perfetta «dotata di una sala di comando in grado di tenere tutti sotto controllo» ma allo stesso tempo non si può negare che i ricercatori dei «Quaderni del Territorio» abbiano individuato alcune tendenze del capitalismo «con cui avremmo dovuto fare i conti nei decenni successivi». Seguendo questa linea interpretativa lo stesso si può dire per le analisi del governo del territorio e del processo decisionale nella pianificazione urbanistica. Non convincenti sono invece i contributi che ricercano l’eredità dei «Quaderni del Territorio» nel successivo pensiero territorialista, che tiene insieme una coscienza di classe delle differenze spaziali a una coscienza di luogo da parte di comunità operose. Dove la dimensione locale è assunta come fondamentale di un territorio inteso come bene comune. Le politiche e i processi di incessante riqualificazione e rigenerazione urbana delle aree metropolitane stanno ancora a indicare la relazione che sussiste tra le dinamiche del capitalismo contemporaneo e le trasformazioni del paesaggio metropolitano. Un’indicazione di metodo che proviene dai «Quaderni del Territorio», che costituisce una preziosa eredità da mettere di nuovo in gioco.