di YAĞMUR YURTSEVER (HDK, Assemblea delle e dei migranti, Turchia)
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In Turchia le misure che sulla carta sono state imposte per arginare la pandemia di COVID-19 sono in realtà state un pilastro del fascismo di Stato. Tra queste cosiddette misure per combattere la pandemia vi è il coprifuoco, che è stato introdotto in modo strumentale per impedire le lotte sociali e per impedire qualsiasi opposizione verso il governo turco. Nei primi mesi, il coprifuoco ha portato a numerosi arresti di femministe, rivoluzionari e giovani turchi. Sempre per fini politici, è stata cambiata la legge sull’esecuzione delle sentenze giudiziarie: prigionieri politici sono stati lasciati morire nelle carceri, mentre stupratori e assassini di donne e persone Lgbtiaq+ sono stati rilasciati. La pandemia ha quindi fornito al governo la scusa per la deposizione dall’incarico e per l’incarcerazione dei parlamentari dell’HDP (Partito democratico del popolo) Leyla Güven e Ömer Faruk Gergerlioğlu; per l’incarcerazione di altri politici dello stesso partito; e anche per due cause giudiziarie volte a bandire l’HDP.
Ovviamente, in questo contesto pandemico, non tutte erano al sicuro nelle proprie case. Operaie e operai hanno continuato a lavorare nelle filiere della produzione, e il lockdown è stato esteso per i più giovani al fine di impedire loro di andare a scuola ma consentendo loro di uscire per andare al lavoro, tanto da arrivare quasi a permettere il lavoro minorile. In sostanza, si è cercato di «rinchiudere» lavoratrici e lavoratori nelle fabbriche, per evitare l’interruzione della produzione di merci durante la pandemia. Allo stesso tempo, fin dai primi giorni, il coprifuoco è stato un modo per chiudere in casa donne e persone Lgbtiaq+. Questa segregazione in primis vuol dire lavoro gratuito, domestico e riproduttivo.
Nei mesi successivi, il coprifuoco si è trasformato in un vero e proprio mezzo di sorveglianza della vita quotidiana, tanto da vietare quasi del tutto proteste e raduni. Nonostante ciò, la produzione di merci è continuata come sempre. Da una parte, i codici HES (Hayat Eve Sığar – La vita appartiene alla casa) sono stati sviluppati al fine di prevenire la diffusione del virus, dall’altra sono stati utilizzati per seguire ogni singolo passo di ogni persona, controllando i movimenti in maniera incrociata attraverso carte d’identità, carte di credito, «smart tickets», e così via.
Tuttavia, nonostante l’uso dell’acronimo HES, per donne e persone Lgbtiaq+ la vita non appartiene alla casa. Per loro, la casa rappresenta una scena del crimine. Da più parti, è stato mostrato come, per tutte le donne in Turchia, tanto il lavoro domestico quando il massacro delle donne e delle persone Lgbtiaq+ sono aumentati drammaticamente durante la pandemia. Il ministro della famiglia e delle politiche sociali – le donne, infatti, esistono unicamente in quanto parte della famiglia e in Turchia non esiste un ministero per le donne – ha annunciato che la crescente violenza verso le donne durante la pandemia è «tollerabile».
Lo stesso vale per il carico di lavoro domestico gratuito e dunque per lo sfruttamento delle donne. Durante la pandemia, abbiamo assistito a esempi di solidarietà tra le donne lavoratrici, tra cui il «lavoro di cura a rotazione» come strategia di sopravvivenza alla precarietà e alla flessibilità degli orari di lavoro a loro imposte, poiché non sono state adottate misure di welfare per mitigare l’impatto della pandemia sulle donne. Anzi, con la mancata ‘riconciliazione’ tra il lavoro produttivo svolto a casa e il crescente carico di lavoro domestico, la didattica a distanza ha reso le donne anche insegnanti. Il lavoro domestico gratuito delle donne è aumentato con la cura quotidiana di bambine e bambini che non andavano più a scuola.
È necessario sottolineare che le persone Lgbtiaq+ sono tra coloro che hanno subito gli attacchi più duri da parte del fascismo di Stato. Durante la pandemia, la posizione ufficiale del governo sulle politiche di protezione delle persone Lgbtiaq+ è passata dalla negazione della loro esistenza alla definizione di Lgbtiaq+ come «organizzazione terroristica». Le bandiere del movimento Lgbtiaq+ – soprattutto quella arcobaleno – sono state vietate nelle proteste. Gli studenti dell’Università di Boğaziçi sono stati arrestati solo perché avevano con sé queste bandiere. A questi studenti e studentesse è stato chiesto, durante il processo, se sono «membri del Lgbtiaq+», proprio come se fosse un’organizzazione terroristica. Persone Lgbtiaq+ sono anche state attaccate dalla polizia nel corso delle manifestazioni dell’8 marzo, e poi arrestate al termine delle manifestazioni. Ali Erbaş, capo dell’Amministrazione affari religiosi, ha addirittura accusato la comunità Lgbtiaq+ di essere responsabile della diffusione della pandemia.
Inoltre, in Turchia, le donne curde e migranti che svolgono lavoro informale hanno visto crescere enormemente la propria povertà durante la pandemia. Mentre la produzione continua, e non vengono implementate misure di welfare né sussidi per le spese sostenute a casa a causa del lavoro svolto a casa, con il coprifuoco il lavoro informale salariato quotidiano delle donne è diventato impossibile. Per le e i migranti, la violazione del coprifuoco è diventata una scusa per la deportazione fuori i confini della Turchia. Infatti, le e i migranti, proprio come le persone Lgbtiaq+, sono stati presi di mira e considerati responsabili della diffusione della pandemia. Il razzismo presente in Turchia ha rappresentato per il partito di governo AKP la carta «Esci gratis di prigione» del Monopoli, per coprire i suoi evidenti fallimenti di gestione della pandemia.
Di fronte a tutti questi attacchi, però, la nostra lotta è stata più forte. In Turchia, numerosi raduni e proteste, con migliaia di partecipanti, sono stati organizzati contro questi attacchi patriarcali. Migliaia di donne e persone Lgbtiaq+ si sono opposte alla polizia e allo Stato, contro i suoi attacchi alle persone Lgbtiaq+, alle donne, alla Convenzione di Istanbul e a tutto ciò che siamo riuscite a ottenere nel corso degli ultimi anni con la nostra lotta. In ogni quartiere, le donne e le Lgbtiaq+ si stanno organizzando per il primo luglio. Perciò chiamiamo tutte e tutti ad alzare la testa, lottare con noi il primo luglio, e gridare: «Se permettete violenza e massacri contro donne e persone Lgbtiaq+, noi bloccheremo tutto»!
→ Qui l’evento transnazionale della mobilitazione del primo luglio: Stop the patriarchal attack! Transnational day of struggle
→ Qui l’appello di Non Una di Meno alla mobilitazione in Italia: Primo luglio transfemminista e transnazionale