domenica , 22 Dicembre 2024

Occhi sull’India: i contadini uniti contro le riforme agricole

di CHITRA — tradotto da MASHA e NICOLA

Pubblichiamo un contributo sui motivi e sull’andamento della protesta dei contadini indiani contro le nuove leggi sull’agricoltura emanate dal governo Modi. Omettiamo i cognomi delle compagne indiane che hanno scritto e tradotto questo contributo per ∫connessioni precarie, per evitare loro rischi di ritorsione. Le leggi approvate da Modi mirano tra altre cose a eliminare gli attuali mercati agricoli regolati dagli Stati, i mandi, dove avvengono aste pubbliche gestite da mediatori. La nuova legge prevede di favorire un mercato aperto dei prodotti agricoli tramite attori privati e piattaforme elettroniche che garantiscano tempi certi nei pagamenti e un sistema trasparente dei prezzi. Nonostante riconoscano i problemi del sistema attuale, i contadini temono un peggioramento della propria condizione a causa del disinvestimento statale nel settore agricolo e l’esposizione alle decisioni arbitrarie dei gruppi privati. La riforma promossa da Modi interviene su un terreno già attraversato da tensioni, omogeneizzando le condizioni senza alcuna considerazione per le specificità locali nell’organizzazione della produzione e del mercato. Oggi forme ‘tradizionali’ di organizzazione sono in grado di sostenere per mesi una mobilitazione di massa nella quale si riversano diversi motivi di opposizione al governo Modi. Quella che viene definita come la ‘protesta dei contadini’ è infatti già molto più di questo. L’attivista sindacale Dalit Nodeep Kaur, arrestata dalla polizia in un presidio contro la sede degli industriali di Kundli, ha dichiarato che contadini e operai devono lottare insieme, e ha evocato lo sciopero generale ricordando le lotte delle donne e il trattamento subito dai lavoratori migranti durante il lockdown. Queste dichiarazioni sono esemplificative delle diverse faglie di scontro che attraversano l’India e hanno trovato nella protesta dei contadini un momento di comunicazione. Questa mobilitazione stia diventando un problema per il governo. Pochi giorni fa, Modi ha sostenuto che «lavoratori» e «intellettuali» sono diventati degli «attivisti di professione» che si uniscono come «parassiti» a tutte le manifestazioni. Con un gioco di parole, il presidente ha aggiunto che mentre il governo parla di «Foreign Direct Investments» (Investimenti diretti esteri) la nazione si deve salvare da un nuovo FDI, la «Foreign Destructive Ideology» (ideologia straniera distruttiva), accusando così la protesta di essere nei fatti anti-indiana e guidata dall’esterno. Diversi militanti hanno replicato che gli «attivisti di professione» sono quelli che hanno guidato la lotta anticoloniale. La protesta «dei contadini» è dunque diventata una faglia di scontro esiziale per il regime nazionalista hindu guidato da Modi. Le poste in gioco sono tante a partire da come si continueranno a costruire lotte di liberazione che sappiano tenere insieme non solo contadini e operai, ma questioni di rilevanza globale come la lotta contro il patriarcato, il razzismo sistemico e la questione ambientale.

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L’inverno è una stagione produttiva. In India per gli agricoltori è la stagione del rabi, in cui vengono coltivati alimenti essenziali come grano, orzo, lenticchie, piselli e patate. Poiché le colture di rabi hanno bisogno di un clima caldo per germogliare e di un clima freddo per crescere, vengono piantate durante la stagione dei monsoni e raccolte in primavera. Questo inverno, tuttavia, gli agricoltori di tutta l’India sono stati costretti a lasciare i campi e le risaie per dedicarsi a un diverso tipo di lavoro. Sono passati più di due mesi da quando si sono accampati ai confini di Delhi in una dharna dalla durata indefinita. Sebbene dharna possa essere semplicemente tradotto con «sit-in», in hindi, il termine non implica solo l’occupazione fisica dello spazio ma anche un esercizio di perseveranza: fissare la propria mente su un obiettivo o risultato chiaro. In termini pratici, una dharna di solito si svolge alla porta di un delinquente o di un debitore ed è uno strumento mediante il quale le componenti più vulnerabili della società possono costringere un soggetto più potente a rispondere delle loro richieste. Ad esempio, una dharna potrebbe essere messa in scena fuori dall’ufficio di un esattore delle tasse, del capo di una azienda o della casa di un proprietario. Nel caso della protesta dei contadini, il colpevole sembra essere il governo centrale che, mentre presiedeva gli uffici parlamentari di Delhi, ha approvato una serie di progetti di legge che ribaltano completamente il modo in cui si fa l’agricoltura in India.

Il punto cruciale delle 3 proposte di legge può essere riassunto come segue: la creazione di nuovi spazi commerciali che aggirano le restrizioni esistenti sulla vendita e l’acquisto di prodotti agricoli; l’abilitazione dell’agricoltura a contratto con obblighi minimi (a differenza dell’attuale accordo, gli agricoltori saranno in grado di commerciare in diversi Stati); la rimozione delle restrizioni sulle scorte di merci essenziali (il che significa che i grandi acquirenti possono trarre profitto dall’accumulazione).

Gli agricoltori devono essere consapevoli dei molteplici fattori che influenzano la crescita, la resa e il commercio dei raccolti. Ciò include la conoscenza dei tempi di maturazione del raccolto, delle variazioni del clima e della qualità del suolo, nonché il prezzo di fertilizzanti e benzina, e anche fattori logistici come la disponibilità di strutture di trasporto e stoccaggio. In questo modo, l’agricoltura è un’attività che comporta molti rischi e variabili che vanno oltre il solo lavoro degli agricoltori. Capire questo aiuta a chiarire meglio perché le nuove riforme proposte dal governo indiano stanno subendo una resistenza così feroce da parte di coloro che hanno passato tutta la vita a lavorare la terra. Nonostante la retorica neoliberale usata per persuadere gli agricoltori ‒ ad esempio che le nuove riforme garantiscono loro una maggiore «libertà» di vendere a qualunque prezzo e di farla finita con gli intermediari ‒ gli agricoltori temono che l’apertura di uno spazio di mercato parallelo, come propone il primo disegno di legge, porterà inevitabilmente al crollo del sistema mandi attualmente in vigore.

In India, i mandi sono spazi d’asta regolamentati in cui i prodotti agricoli vengono acquistati e venduti in base a una serie di accordi specifici dello Stato. In questi spazi, i commercianti all’ingrosso e al dettaglio non possono acquistare direttamente dagli agricoltori e le transazioni vengono invece effettuate tramite commercianti autorizzati che garantiscono contro le speculazioni. Il sistema mandi dovrebbe anche garantire agli agricoltori un prezzo minimo di sostegno (MSP) per determinate colture, ovvero un prezzo al quale lo Stato deve acquistare i loro prodotti. Ciò garantisce che il lavoro del raccolto non vada sprecato, sebbene gli agricoltori dicano che spesso finiscono comunque per ricevere un prezzo al di sotto del minimo. Anche se da tempo gli agricoltori chiedono riforme nel sistema, sono convinti che la soluzione non sia abolirlo. In stati come il Bihar, dove i mandi sono già stati sciolti con il pretesto di promesse simili, ciò ha solo portato a una maggiore volatilità dei prezzi dei cereali e alla monopolizzazione dei mercati da parte delle grandi aziende agricole. Gli agricoltori del Bihar, che sono tra i più poveri del paese, riferiscono anche che le loro scorte possono rimanere inutilizzate per mesi senza ricevere alcun pagamento e che sono spesso costretti a vendere a prezzi sconvenienti per liberarsene.

Non c’è libertà a meno che non ci venga garantito un prezzo minimo o garantita la possibilità di far sentire la nostra voce all’alta corte o alla Corte Suprema. Ora hanno detto (secondo le nuove proposte di legge) che puoi solo andare all’SDM (tribunale inferiore) e, come sappiamo, l’SDM appartiene a chi ha i soldi.

L’elenco dei problemi che circondano le leggi è ampio. In India, i piccoli agricoltori (che possiedono meno di due ettari di terra) costituiscono l’86,2% di tutti gli agricoltori, ma possiedono solo il 47,3% della superficie coltivata. Inutile dire che questi agricoltori sono destinati a essere più colpiti rispetto ai proprietari terrieri più grandi e probabilmente alla fine saranno costretti a vendere la loro terra. Tuttavia, anche queste statistiche trascurano una quota fondamentale della forza lavoro agricola: le donne. Poiché l’agricoltura è vista prevalentemente come una professione «maschile», le donne sono troppo spesso escluse dalla narrazione sull’ agricoltura indiana. Questo accade nonostante le donne rappresentino la maggioranza dei lavoratori agricoli complessivi (70%) e lavorino più ore rispetto agli uomini, pur possedendo solo il 12,8% dei terreni agricoli. Le donne contadine, alle quali viene accordato scarso potere decisionale in famiglia ‒ per non parlare del potere di negoziare con le grandi compagnie ‒ saranno senza dubbio quelle che soffriranno di più a causa dei nuovi accordi agricoli dell’India. Oltre a dover affrontare una riduzione dei mezzi di sostentamento (con scarse possibilità di occupazioni alternative), dovranno anche sostenere il peso di gestire la carenza di cibo in casa, che è quasi inevitabile se alle imprese viene consentito di accumulare beni essenziali.

A differenza del lavoro agricolo e del suo collegamento ai cicli stagionali, il lavoro dei governi fascisti è più in sintonia con i cicli di crisi e opportunità. E quale migliore opportunità per approvare una serie di proposte di legge contro i poveri, contro le donne e contro gli agricoltori che nel bel mezzo di una crisi sanitaria globale? Tuttavia, nel rendersi conto delle conseguenze sulle loro vite, gli agricoltori del Punjab (il terzo Stato per produzione agricola in India) sono stati tra i primi a mobilitarsi dopo le leggi promosse in Parlamento lo scorso settembre. Avendo avuto luogo senza alcuna consultazione pubblica o il coinvolgimento esplicito dei governi statali, molte persone hanno anche sottolineato l’incostituzionalità delle leggi. Tuttavia, dopo due mesi di proteste locali e nessuna risposta da parte del governo centrale, i contadini del Punjab hanno deciso di lanciare un appello per assaltare la capitale, portando le loro lamentele direttamente al Parlamento. Con lo slogan di #dillichallo (andiamo a Delhi), la chiamata è stata sostenuta dagli agricoltori del vicino Stato di Haryana che si sono uniti a loro. È solo dopo essere arrivati ​​ai confini di Delhi che i contadini sono stati fermati dalla polizia pesantemente armata e dalle forze di azione rapida (RAF). Eppure qualcosa di incredibile era già avvenuto nel processo.

Dopo aver arrestato numerosi studenti e attivisti e dopo aver smantellato le leggi sul lavoro e sulla protezione dell’ambiente, il governo Modi sperava che le leggi sull’agricoltura passassero inosservate, messe in ombra dalla pandemia. Dal punto di vista di chi vive nella capitale, forse inizialmente sembrava anche così. Tuttavia, mentre gli agricoltori del Punjab si facevano strada verso di noi, siamo rimasti incollati ai nostri social e alle possibilità politiche che si stavano aprendo davanti ai nostri occhi. Le autostrade dell’India sono state improvvisamente trasformate in un palcoscenico per eroici atti di disobbedienza, con una proliferazione di video di persone che lanciavano le barricate della polizia nel fiume e trattori che tiravano via lastre di cemento. Facendosi strada tra cannoni ad acqua e lanci di gas lacrimogeni, i contadini erano riusciti a capovolgere la situazione: non era la marcia che si andava indebolendo, ma la brutalità dello Stato che veniva smascherata. Una battaglia era certamente iniziata, e mentre il governo era impegnato a scavare buche per la strada, ogni ostacolo che i contadini riuscivano a superare alimentava solo ulteriormente lo spirito collettivo.

All’inizio abbiamo sentito che Delhi è così lontana, cosa faremo una volta arrivati? Ma ogni trattore e camion ha riempito da 5 a 10mila rupie di diesel per arrivare qui perché sappiamo che se non prendiamo una posizione ora, non saremo in grado di prenderne più.

Una volta raggiunta Delhi, anche gli agricoltori di molti altri Stati dell’India hanno cominciato ad affluire, insieme agli studenti, ai sindacati dei trasporti e agli alleati di diversi settori. Questi dormono in dieci in un camion, o al riparo in una stazione di servizio abbandonata, o in tende improvvisate tra pneumatici di trattori e carrelli, e attualmente stanno occupando le cinque principali autostrade che portano in città. L’atmosfera è gioiosa, con cucina, giochi di carte, discorsi e kirtan dal vivo (un canto devozionale) che si svolgono l’uno accanto all’altro. Secondo la pratica sikh, numerose cucine comunitarie (langar) sono state istituite in tutto il sito e chiunque passi di lì può sedersi e mangiare. Con rifornimenti freschi in arrivo dai villaggi del Punjab e dell’Haryana ogni giorno, i contadini si vantano di avere abbastanza cibo da sfamare se stessi e l’intera Delhi. Nei primi giorni della dharna, l’India ha anche assistito al più grande sciopero della storia mondiale, con oltre 250 milioni di lavoratori che si sono schierati a sostegno degli agricoltori. Sotto la bandiera di #bharatbandh (chiusura dell’India), si sono svolte marce in varie città del paese, con canti di kisaan majdoor ekta zindabad (lunga vita all’unità dei contadini e dei lavoratori) che hanno riempito le strade.

L’intero paese si è riunito. Se Modi non avesse fatto questa legge non avremmo saputo della situazione degli agricoltori in luoghi diversi. Non saremmo stati in grado di unirci … ora non puoi tracciare distinzioni tra di noi!

Tuttavia, le attuali proteste dovrebbero essere viste come il punto di svolta all’interno di una lunga storia di problemi del settore agricolo, che sono solo peggiorati da quando Modi è salito al potere nel 2014. Sono indicativi i tassi catastrofici di suicidio degli agricoltori in India, con oltre 20.000 agricoltori che si sono tolti la vita tra il 2017 e il 2019. Le principali ragioni di questi suicidi sono state identificate nello stress legato a prestiti predatori, nell’aumento degli oneri del debito e in quello della pressione che questa situazione esercita sui rapporti personali. Naturalmente ci sono anche fattori meno visibili di cui tenere conto. Gli agricoltori in India, come nel resto del mondo, sono i primi a essere esposti alla crisi climatica e ai cambiamenti nelle condizioni meteorologiche. Anche le politiche di pianificazione in India hanno a lungo trascurato le aree rurali, dedicando invece risorse statali allo sviluppo di economie produttive e di servizi. Di conseguenza, i sindacati degli agricoltori si sono da tempo organizzati in tutto il paese, in particolare intensificando le azioni in risposta alle politiche neoliberiste introdotte con Modi. Oltre alla mobilitazione sindacale, è necessario riconoscere che gran parte della forza dietro l’attuale agitazione proviene dagli agricoltori sikh della regione del Punjab, per i quali l’agricoltura è parte integrante parte dell’identità culturale. Dopo aver subito la divisione del Punjab (la loro patria originale) nel 1947, e un genocidio per mano dello Stato indiano nel 1984, anche la comunità sikh è stata sistematicamente cacciata e imprigionata per decenni a seguito delle guerre segrete dell’India contro le cosiddette «minacce alla sicurezza». Questa storia di lotta e il particolare rapporto che instaura con lo Stato indiano rafforza il movimento contro le tattiche di divisione dello Stato. Per questa ragione, tra le diverse bandiere sindacali, viene issata anche la Nishaan Sahib (una bandiera Sikh).

Nonostante i molteplici colloqui tra leader sindacali e funzionari governativi, la situazione è allo stallo politico. Gli agricoltori, da un lato, sono risoluti a non accettare niente di meno che il ritiro completo delle proposte di legge e hanno inoltre richiesto che l’MSP sia convertito in legge per tutte le colture e in tutti gli stati, poiché questo è l’unico modo per garantire la sua corretta attuazione. Il partito al potere, d’altra parte, è impegnato nelle sue campagne di propaganda, demonizzando i contadini come terroristi o come incapaci di comprendere i contenuti delle leggi. Più di recente, hanno anche inviato dei sicari per prendere a sassate i manifestanti e abbattere le loro tende – un attacco che si è verificato due giorni dopo che i contadini avevano guidato una storica marcia di trattori nella capitale nel giorno della Repubblica indiana (26 gennaio). Tuttavia, fino a ora, ogni attacco è stato risposto da un numero ancora maggiore di agricoltori arrivati sul posto. In un paese di oltre 1,3 miliardi di persone, dove il 70% dei mezzi di sussistenza è legato all’agricoltura, i numeri sono forse uno dei maggiori punti di forza degli agricoltori.

Anche la mia figlia più piccola mi dice di non tornare a mani vuote. Legate Modi e portatelo di nuovo qui (in Punjab) su un trattore.

Eppure, l’inverno è anche la stagione più dura. Soprattutto i mesi di dicembre e gennaio, nei quali le temperature sono scese fino a 1° a Delhi. È importante notare che la vasta maggioranza di coloro che sono accampati alle frontiere sono anziani. Oltre 160 contadini sono morti dall’inizio delle proteste a settembre, molti sono morti a causa del freddo e della fatica. Altri sono morti per incidente stradale o suicidio. Tuttavia, la dharna continua. Tutti gli agricoltori con i quali ho parlato hanno detto che non avevano intenzione di andarsene fino a quando le loro richieste non sarebbero state soddisfatte, non importa quanti mesi o anni questo avrebbe richiesto. Gli agricoltori stanno lottando non solo per le loro vite, ma per quelle dei loro figli e dei figli dei loro figli. In India, la terra non costituisce solo la fonte di reddito e sicurezza sociale, ma è anche profondamente legata alla nozione di famiglia. Essa implica un senso di continuità; una promessa tra antenati e generazioni future che l’attuale generazione di agricoltori intende mantenere.

A partire dal 29 gennaio, il governo indiano ha chiuso i servizi Internet nei vari siti di protesta situati ai confini di Delhi. Anche l’elettricità e l’acqua sono state interrotte e barriere di metallo sono state cementate sulla strada per impedire l’arrivo di altri manifestanti. Con il dispiegamento della sicurezza intensificato alle frontiere e il crescente numero di arresti e detenzione di giornalisti, trasformare Delhi in una fortezza è l’ultima strategia per isolare gli agricoltori e reprimere il movimento. Adesso è un momento critico. Questo governo è guidato da un uomo che ha già commesso due massacri sponsorizzati dallo Stato. Abbiamo bisogno di occhi sull’India.

*l’articolo sarà pubblicato in inglese sul prossimo LavaLetters

 

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