di DERSIM DOĞAN
Il termine giuridico kayyum deriva dall’arabo e in turco indica un amministratore fiduciario nominato dall’alto. È diventato un termine d’uso comune in Turchia dal 2016, dopo il tentativo del colpo di Stato, perché i funzionari che si oppongono al governo – qualsiasi sia la loro posizione –vengono sostituiti con quelli di nomina governativa. Nei giorni scorsi, gli studenti dell’Università di Boğaziçi (Bosforo), la più prestigiosa università turca, dopo la nomina a rettore di Melih Bulu – un docente proveniente da un’altra università di Istanbul ‒ da parte del capo di Stato Erdoğan, hanno iniziato a protestare gridando «Non vogliamo un rettore kayyum»! Le proteste degli studenti e dei docenti non si sono limitate all’Università di Boğaziçi. In diverse città turche studenti, accademici e alumni stanno manifestando per chiedere le dimissioni del nuovo rettore. Da lunedì 4 gennaio, quando sono iniziate le proteste, la polizia ha attaccato i manifestanti arrestandoli e ha chiuso i cancelli dell’università con delle manette. L’immagine delle manette sul cancello del campus riassume perfettamente la situazione in cui si trova non soltanto il sistema universitario turco, ma tutto il paese. Infatti, non si può capire la nomina alla carica di rettore di un ex-candidato al parlamento tra le fila del partito di Erdoğan, l’AKP (Partito di Giustizia e Sviluppo), senza tenere in considerazione il passato politico della Turchia. Dal 2003 il regime autoritario di Erdoğan si è fatto promotore di cambiamenti subdoli, tutti in nome della «democrazia», che il presidente definisce «un mezzo ma non necessariamente un fine». Il governo, infatti, è riuscito sempre a legiferare attraverso la maggioranza parlamentare, cosicché le sue azioni non risultano «mai al di fuori della legge». Attraverso il passaggio dal sistema parlamentare a quello presidenziale sono stati attribuiti maggiori poteri al capo dello Stato che, diversamente dal passato, ora può rappresentare un partito, come effettivamente è nel caso di Erdogan. Di fatto, si può dire che la Turchia ultimamente viene governata attraverso decreti esecutivi, che hanno praticamente sostituito le «vere» proposte di legge da parte del parlamento.
Proprio con un ordine esecutivo emanato a mezzanotte del primo gennaio Erdoğan ha nominato cinque rettori vicini al suo partito e tra questi il nuovo rettore di Boğaziçi. Così, dopo il colpo di Stato del 1980, l’Università di Boğaziçi ha avuto il suo primo rettore ‘outsider’ non eletto. Erdoğan si è opposto all’elezione dei rettori già nel 2016, quando aveva dichiarato che queste elezioni «appaiono democratiche solo sulla superficie, ma in realtà non lo sono perché creano frazioni e risentimenti all’interno delle università». Secondo lui bisognava cambiare la legislazione «per il bene del paese, perché metteva in una posizione scomoda anche il Presidente della Repubblica e la YÖK (Istituzione di Istruzione Superiore)». La YÖK, fondata subito dopo il colpo di Stato del 1980, è ancora uno dei simboli viventi dell’ultimo regime militare, una delle principali cause per cui la Turchia è stata e continua a essere un paese autoritario. La fondazione della YÖK aveva lo scopo di sottrarre alle università turche la loro autonomia e la libertà accademica, centralizzando e «uniformando» il sistema dell’istruzione superiore cui veniva attribuita la colpa di generare divisione politica, come quella che aveva portato il Paese alla guerra civile negli anni ‘70. Di fatto, dal colpo di Stato del 1980 fino al 2016 le elezioni «democratiche» dei rettori si sono tenute solo per pochi anni e comunque il loro esito era affidato al ‘buon senso’ del Presidente della Repubblica, il quale ha sempre avuto il potere di nominare qualsiasi candidato e non sempre quello più votato dai docenti. Dopo il tentativo di colpo di Stato del 2016, durante lo stato d’emergenza, Erdoğan ha completamente cancellato le elezioni e con il decreto esecutivo del 2018 ha stabilito la nomina diretta del rettore da parte del capo di Stato. In questo modo, ha tolto di mezzo quei passaggi formali che «lo mettevano in una posizione scomoda», alzando al massimo il livello di arbitrarietà con la possibilità di scegliere accademici al di fuori dell’Università in questione. Nel 2016, quando Erdoğan ha nominato un docente che non si era nemmeno candidato (fratello di una deputata del suo partito) al posto della rettrice più votata, le proteste da parte di studenti, accademici e personale dell’Università di Boğaziçi sono state di breve durata, perché quel rettore kayyum era un membro interno di Boğaziçi. In altri termini, hanno confidato nel fatto che la sua internità salvaguardasse la tradizione accademica autonoma di quell’università. Oggi, gli accademici riconoscono che accettare nel 2016 il primo rettore kayyum insider nominato da Erdoğan è stato un errore.
Le proteste di quest’anno a Boğaziçi si sono estese ad altre università del Paese. Gli studenti e gli accademici di diverse università hanno dichiarato che continueranno la loro protesta finché tutti i rettori kayyum non verranno sostituiti con quelli democraticamente eletti. Anche se diversi colpi di Stato e il regime autoritario di Erdoğan hanno tentato di spoliticizzare giovani e studenti cercando di uccidere il pensiero critico, queste proteste dimostrano che non ci sono riusciti. L’assedio del campus di Boğaziçi da parte di un numero sproporzionato di poliziotti dimostra la paura del governo di un’eventuale trasformazione di queste proteste universitarie in manifestazioni di massa come quelle di Gezi Park. Infatti la forza delle proteste, proprio come era successo a Gezi, si trova nel fatto che vi prendono parte accademici e studenti che, anche da posizioni e con orientamenti politici diversi, condividono un obiettivo comune, ovvero l’elezione democratica di tutti i rettori e la libertà accademica sempre più sotto attacco in Turchia. La rabbia delle proteste viene anche dalla constatazione che persino le istituzioni considerate intoccabili non sono più tali. Se, con un decreto emesso nel cuore della notte, il regime autoritario è riuscito a interferire con l’attività di un’università forte e prestigiosa ‒ e proprio per questo ritenuta intoccabile ‒ come quella di Boğaziçi, significa che il problema è più grande di quello che sembra e non si limita all’accademia ma al sistema politico nel suo complesso. D’altra parte, il limite delle proteste sta proprio nel fatto che non si spingono al di fuori dell’università. Quello del kayyum è un sistema che sta in continuità con le giunte militari, non è altro che l’istituzionalizzazione di un colpo di Stato civile. Se c’è una differenza tra il passato e il presente è che prima a essere colpite dalle misure arbitrarie erano prevalentemente le minoranze come i curdi e gli aleviti. Negli anni ’90, infatti, i deputati curdi venivano presi direttamente dal parlamento per essere mandati in carcere, così come oggi ci sono i kayyum che sostituiscono i sindaci curdi, i quali continuano a finire in carcere. A partire dalle ultime elezioni amministrative del 2019, 40 dei 65 sindaci dei comuni/municipi rappresentati dal Partito democratico dei popoli (HDP) sono stati sostituiti con l’accusa di «propaganda terroristica». Nel mandato precedente, il rapporto era di 96 su 102. Oggi tutti quelli che fanno parte dell’opposizione, a prescindere del loro «colore» e dalla loro classe sono colpiti dalle politiche kayyum.
L’annullamento della libertà accademica in Turchia è stato quindi possibile perché l’opposizione che oggi è sottoposta alle politiche kayyum non ha preso posizione accanto alle «minoranze» come curdi, e aleviti, ma non solo. Trattando le loro rivendicazioni come semplici ‘politiche dell’identità’, in quanto tali separatiste, e non come questioni generali che investono la società nel suo complesso, il sistema politico, la possibilità di opporre al regime autoritario di Erdogan una pretesa di libertà e uguaglianza. Per questo, quell’opposizione ha di fatto preso parte alla riproduzione delle gerarchie che solcano la società turca e sono legate a doppio filo alle sorti della sua classe dirigente. La sostituzione dei rappresentati politici, sindaci delle città e dei municipi curdi eletti da milioni di donne e uomini e sostituiti con la forza da parte dei burocrati del governo e finiti in carcere sono altrettanto importanti quanto quelle dei rettori, anzi la questione dei kayyum parte proprio da qui. Sottomettendo e attaccando curdi e aleviti, i regimi autoritari – come quelli militari e nazionalisti – legittimano l’idea che chiunque si opponga loro debba essere schiacciato. Finché l’opposizione, non solo universitaria, continuerà a sorprendersi e arrabbiarsi per essere stata «toccata» da un regime autoritario senza prendere contemporaneamente posizione su tutti i kayyum, a partire da quelli applicati ai comuni curdi, e finché non protesteranno accanto ai curdi, non faranno altro che rafforzare la posizione di AKP e dei suoi elettori, che accusano l’opposizione di elitismo per screditarla.
Erdoğan è riuscito a estendere il suo potere sull’università con la nomina del rettore di quella più prestigiosa e potente al livello locale e più riconosciuta a livello globale. Dopo le università, il prossimo spazio dove arriveranno i kayyum è stato già ufficializzato il 27 dicembre 2020 con l’approvazione in parlamento di una legge omnibus che giustifica un maggior controllo sulle associazioni di tutti i tipi, incluse onlus e organizzazioni non-governative, con il pretesto di vigilare su movimenti monetari e fiscali sospettati di finanziare il traffico di armi di distruzione di massa. L’opposizione la definisce uno strumento designato per cancellare la società civile in Turchia. Se dovesse replicarsi ciò che accadde durante lo stato di emergenza entrato in vigore dopo il tentativo di colpo di Stato del 2016, quando sono state chiuse 370 associazioni tra cui 52 associazioni di donne, i prossimi a essere sciolti o controllati tramite un kayyum potrebbero essere proprio i collettivi e le associazioni di donne e Lgbtq. Un attacco ai movimenti di donne e Lgbtq potrebbe mettere in difficoltà la grande lotta che viene portata avanti da tali gruppi in questo momento pandemico in cui la violenza maschile ha raggiunto livelli senza precedenti. L’approvazione della legge omnibus potrebbe essere interpretata anche come un’invenzione strategica che permette al governo di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul, allo scopo di attaccare e indebolire la lotta femminista che fino a oggi, con la sua potente resistenza, è sempre riuscita a far fare un passo indietro al governo di Erdoğan.
Se la forza di Erdoğan sono le leggi che riesce a far passare, una lotta che non si oppone a tutti gli interventi autoritari da parte del governo ma si limita solo a contestare la singola nomina di un rettore kayyum sarebbe inefficace e finirebbe, come è stato nel caso della penultima nomina del rettore di Boğaziçi da parte di Erdoğan, per accettare il meno peggio. Il fatto che Erdoğan dica oggi «non sto facendo niente al di fuori dalla legge, sto esercitando i poteri spettanti al capo di Stato che sono previsti dalla legge» è anche uno dei motivi per cui i suoi sostenitori «nascosti» – neoliberali laici – non riescono a contrastarlo. Da questo punto di vista il silenzio delle università private e dei loro proprietari sulle nomine arbitrarie dice tanto: tutto è sempre possibile nel rispetto delle leggi, soprattutto quelle fatte su misura. Quindi, come sempre, tutto è nella norma.